Questa tesi analizza le teorie dell’apprendimento più attuali, che mirano al raggiungimento di competenze concrete e che pongono lo studente al centro del proprio apprendimento. Lo studio ha rivolto particolare attenzione all’approccio cosiddetto "costruttivista" e alla modalità didattica CLIL (Content and Language Integrated Learning) al fine di analizzare, in base a un percorso formativo concreto, i vantaggi e i punti critici delle metodologie didattiche moderne.
In occasione della tesi, le riflessioni teoriche e le indicazioni metodologiche emerse dagli studi sulla didattica hanno costituito il punto di partenza per la progettazione di un percorso di apprendimento concreto. In particolare si è voluto mettere a punto un percorso didattico articolato in base alle esigenze messe in luce dalle teorie analizzate: esso è stato utilizzato per studiare la storia dell’arte romana in lingua tedesca in quattro classi del Liceo linguistico Sophie Scholl di Trento. Di tale itinerario formativo la tesi offre l’intera composizione organizzativa e una riflessione critica sui risultati ottenuti.
Dal percorso formativo svolto sono risultati, complessivamente, una partecipazione attiva degli studenti e un buon livello di apprendimento. Le metodologie moderne si sono dimostrate più adatte a un apprendimento autonomo e più esigenti rispetto alle metodologie tradizionali. Si è però giunti alla conclusione che, per un’applicazione più efficace di percorsi analoghi a quello proposto dalla tesi, sarebbe opportuno rivedere alcuni aspetti fondamentali dell’insegnamento, come la flessibilità organizzativa e ambientale nelle scuole, una collaborazione più efficace tra i docenti e la formulazione di piani di studio più orientati alle competenze da raggiungere.
Indice
Indice
Introduzione
1. CLIL – Content and Language Integrated Learning
1.1. Una definizione
1.2. Nascita e diffusione in Europa
1.2.1. La situazione italiana
1.2.2. Il Trentino e il trilinguismo
1.3. I docenti CLIL
1.4. Le finalità del CLIL
1.4.1. Le 4 “C” del CLIL
1.5. I ruoli: contenuto e lingua
1.5.1. Il contenuto
1.5.2. La lingua
1.5.2.1. Lezione monolingue, bilingue e il code-switching
1.5.2.2. Le strategie di apprendimento
1.5.2.2.1. Le strategie per la lettura
1.5.2.2.2. Le strategie per l’ascolto
1.5.2.2.3. Le strategie per la produzione scritta
1.5.2.2.4. Le strategie per la produzione orale
1.6. La valutazione degli apprendimenti
1.7. La storia dell’arte come materia CLIL
2. Lifelong learning – apprendere per la vita
2.1. Un’esigenza europea
2.2. Il lifelong learning in Italia
2.3. Competenze, abilità e conoscenze
2.3.1. Le competenze chiave
2.3.2. Le competenze chiave di cittadinanza attiva
2.3.3. Le competenze di base
2.4. Progettare per competenze
2.5. Insegnare per competenze, apprendere le competenze
2.6. Valutare per competenze
2.6.1. Le finalità della valutazione
2.7. Le competenze in Storia dell’arte - il piano di studio trentino
3. La didattica costruttivista
3.1. La nascita del Costruttivismo
3.2. La costruzione di verità
3.3. L’apprendimento nello sguardo costruttivista
3.4. Il Costruttivismo in classe
3.4.1. Le metodologie del Costruttivismo
3.4.2. La motivazione
3.5. Le dinamiche sociali durante la lezione
3.5.1. Il ruolo del docente
3.5.2. Il ruolo dello studente
3.6. Le metodologie
3.6.1. Le metodologie tradizionali
3.6.1.1. La lezione frontale
3.6.1.2. Il lavoro individuale
3.6.1.3. Il lavoro di coppia
3.6.1.4. Il lavoro di gruppo
3.6.2. Le metodologie orientate allo studente e all’operatività
3.6.2.1. Task-based learning - Orientamento al compito
3.6.2.2. Ricerche e presentazioni
3.6.2.3. Il Cooperative Learning, l’apprendimento cooperativo
3.6.2.4. Lavoro per progetti e la didattica modulare
3.6.3. Il laboratorio
3.6.4. Il portfolio
3.7. L’ambiente di apprendimento
4. La storia dell’arte romana: un percorso CLIL
4.1. Il percorso di apprendimento
4.1.1. Il contesto
4.1.2. Le competenze per la storia dell’arte romana in lingua tedesca
4.1.2.1. Le competenze disciplinari
4.1.2.2. Le competenze linguistiche
4.2. Alla ricerca del senso
4.3. La selezione dei contenuti
4.4. La dispensa
4.4.1. La struttura della dispensa
4.4.2. Attivazione delle conoscenze pregresse
4.4.3. I testi introduttivi
4.4.4. I materiali multimediali
4.4.5. I compiti
4.5. I prodotti
4.5.1. La produzione scritta
4.5.2. La produzione orale
4.5.2.1. Riflessione e discussione
4.5.2.2. Le presentazioni
4.6. La valutazione
4.6.1. La valutazione degli apprendimenti
4.6.2. La valutazione del percorso formativo
5. Conclusioni
Abbreviazioni
Bibliografia
Allegati
Editorial Note: Parts of this work, especially regarding the statement of taks in the context of school and lessons, have been removed due to copyright issues.
Introduzione
La didattica è in continua evoluzione e, ciclicamente, vengono sviluppate nuove teorie cognitive sull’apprendimento per divulgare tecniche e modalità di studio tese a modificare e migliorare significativamente l’esperienza culturale e scolastica nel suo complesso. Si cerca di creare condizioni sostenibili per uno studio consapevole, fruttuoso ed efficace, capace di reggere le sfide della contemporaneità e di generare, negli studenti, il desiderio di continuare ad ampliare, nel corso della vita, i propri orizzonti culturali, comprendendo la relazione inscindibile tra il sapere e l’agire.
In particolare, nell’ambito della didattica delle lingue straniere, le teorie dell’apprendimento si sviluppano con una velocità notevole, fatto dovuto anche alla richiesta di formare cittadini europei e internazionali, per rispondere alle esigenze di un mondo globalizzato e in continuo cambiamento. Anche il mercato del lavoro esige sempre di più persone con ampia flessibilità tecnica e culturale, aperte ai cambiamenti rapidi e disposte a incrementare le proprie conoscenze e ad aggiornarsi continuamente. E’ naturale che in questa prospettiva si inserisca la richiesta di un utilizzo saldo e disinvolto delle lingue straniere per poter sostenere, con maggiore perizia, la mobilità e la fluidità sociale e politica.
L’idea di abbinare l’apprendimento di contenuti disciplinari a una lingua straniera, ha fatto nascere il Content and Language Integrated Learning (CLIL), inizialmente con l’obiettivo di migliorare l’acquisizione di una lingua straniera, ma dimostrando che questa specifica modalità non comporta solo un vantaggio per l’accrescimento linguistico, bensì consente di affrontare ancora meglio i contenuti, proprio per quelle specifiche modalità di lavoro privilegiate in questo tipo di lezione. Per questi motivi, il CLIL ha visto, negli ultimi anni, uno sviluppo notevole e l’inserimento nel curricolo scolastico di molti paesi.
Questa nuova modalità di insegnamento ha portato, inizialmente, alla formazione di due schieramenti: da un lato i sostenitori, i quali hanno subito riconosciuto le potenzialità di questo tipo di pratica didattica e lo hanno inserito, anche in via sperimentale, nel piano scolastico. Fanno parte di questo schieramento linguisti, pedagogisti e docenti i quali, avendo avuto esperienza lavorativa diretta, vedono nel CLIL un’apertura che facilita l’ingresso e la comprensione nel e del mondo moderno, e che consente alle nuove generazioni maggiore capacità orientativa e risolutiva di questioni complesse. Tali studiosi hanno evidenziato una serie di vantaggi derivanti dalle metodologie specifiche della didattica CLIL e hanno dimostrato che questi vantaggi rispondono perfettamente alle richieste della didattica moderna, voluta anche dal Consiglio Europeo, il quale sottolinea la necessità di un apprendimento che si sviluppi lungo l’arco della vita, il lifelong learning, e l’urgenza di introdurre una didattica per competenze, che vada a sostituire quella basata esclusivamente sui puri saperi disciplinari.
L’altro schieramento culturale è formato da persone scettiche, le quali temono un deterioramento della lingua madre e un apprendimento dei contenuti disciplinari più esile e meno saldo rispetto allo studio nella lingua madre. A prendere questa posizione sono, di solito, docenti che non hanno mai partecipato a esperienze CLIL, e genitori, i quali temono un’acquisizione disciplinare di minore valore e consistenza.
Un altro elemento a favore della lezione CLIL proviene dalla realtà scolastica quotidiana: la forte mobilità sociale porta alla composizione di classi sempre di più multietniche, nelle quali la lingua madre può essere diversa per molti studenti; le modalità didattiche del CLIL possono agevolare la transizione di contenuti da una lingua all’altra con maggiore determinazione e risultati positivi.
Pertanto, il presente lavoro ha come obiettivo quello di riflettere sulla metodologia CLIL, partendo da osservazioni personali, maturate sul campo, e sui vantaggi formativi della didattica moderna, con particolare riferimento al CLIL. L’obiettivo principale è quello di evidenziare i risultati dell’applicazione delle teorie di apprendimento, per analizzarne la fattibilità e rilevarne punti di forza e di debolezza. Inoltre, si cerca di comprendere, attraverso l’analisi di un caso concreto, se teoria e pratica sono conciliabili, se le metodologie moderne – orientate allo studente, e con un ruolo apparentemente più passivo per il docente – producano migliori risultati e vantaggi per gli studenti.
La Storia dell’arte è una disciplina particolarmente adatta a un insegnamento in modalità CLIL, essendo le immagini una risorsa significativa in un contesto di apprendimento in lingua straniera. In Italia, la disciplina viene insegnata nel secondo biennio e nell’ultimo anno del Liceo linguistico, perciò una scelta CLIL risulta vantaggiosa anche grazie al livello linguistico acquisito.
La presente tesi, di conseguenza, consiste di due parti: una parte teorica suddivisa in tre capitoli, ognuno dei quali prende in esame un argomento basilare: il primo propone una definizione del CLIL e ne evidenzia le caratteristiche più importanti; il secondo analizza la didattica per competenze, illustrandone le principali peculiarità e le richieste specifiche contenute nelle linee guida per la redazione dei piani di studio della Provincia di Trento; il terzo capitolo illustra le metodologie didattiche più diffuse, partendo dalla teoria del Costruttivismo, la quale posiziona lo studente al centro del suo apprendimento, modificando in modo radicale il ruolo del docente, per analizzare, al termine, alcuni principi della didattica moderna orientata alle competenze e all’operatività dello studente.
La parte empirica consiste nell’illustrazione di un percorso didattico creato e svolto da chi scrive con quattro classi terze del Liceo linguistico Sophie Scholl di Trento. In questa parte si analizza il materiale, in base alle teorie didattiche precedentemente illustrate, e si propongono i pareri degli studenti, raccolti tramite un questionario specifico. Il percorso formativo è autoprodotto, ma si lavora principalmente con dei materiali autentici, cioè testi, video etc. prodotti per i fruitori madrelingua, come richiesto dalle teorie didattiche, le quali raccomandano un ambiente di apprendimento che si avvicini il più possibile a una situazione autentica extra-scolastica. Per questo motivo la dispensa elaborata rappresenta una sorta di guida, corredata da brevi brani introduttivi e da molte attività pratiche ed esercitazioni.
Le attività proposte mettono lo studente al centro del processo di apprendimento e sono pensate per essere svolte in piccoli gruppi, secondo la teoria del cooperative learning, la quale prevede un apprendimento in gruppo, con studenti che imparano insieme e l’uno dall’altro. Il docente si limita alla creazione del materiale e a piccoli interventi per spiegare le attività o per sostenere i gruppi in momenti specifici. Gli argomenti riguardanti l’arte romana sono collegati a questioni di attualità, tramite l’invito a riflettere e a confrontare posizioni distanti fra loro nel tempo, per consentire un avvicinamento ulteriore degli studenti ai contenuti trattati che, altrimenti, potrebbero risultare astratti.
L’analisi complessiva del percorso didattico porta a evidenziare dei punti di forza e di debolezza. Nelle conclusioni vengono espresse alcune riflessioni sull’andamento dell’apprendimento complessivo e su possibili prospettive per l’applicazione di una didattica efficace a scuola.
Si spera che il presente lavoro possa offrire ulteriori elementi alla riflessione – ancora in corso – intorno a una pratica didattica dal notevole valore formativo.
1. CLIL – Content and Language Integrated Learning
1.1. Una definizione
L’acronimo CLIL sta per “Content and Language Integrated Learning” ed è stato coniato nel 1994 da David Marsh e Anne Maljers per riferirsi a un particolare approccio pedagogico diretto allo studio di una disciplina non linguistica (DNL), da svolgere in lingua straniera (L2). Dalla fusione di due ambiti disciplinari nasce uno spazio culturale e metodologico nuovo, finalizzato all’apprendimento di contenuti disciplinari e all’acquisizione di maggiori competenze comunicative in una lingua non materna. La definizione attuale del CLIL, accolta nel contesto europeo, elaborata dagli autori Do Coyle, Philip Hood e David Marsh (Coyle, Hood, Marsh 2010: 1) indica:
“Content and Language Integrated Learning (CLIL) is a dual-focused educational approach in which an additional language is used for the learning and teaching of both content and language.”
Il valore aggiunto di questo nuovo approccio educativo è, pertanto, la dualità formativa, caratteristica che distingue la lezione CLIL dalla tradizionale lezione di lingua straniera o dalla cosiddetta “immersione”, nella quale l’apprendimento linguistico avviene semplicemente utilizzando la L2 (Wolff 2013: 20). Anche se, attualmente, la denominazione CLIL viene utilizzata per raggruppare tutti i tipi di lezioni bilingue (Mehisto 2008: 13). Burmeister sostiene, infatti, che l’immersione faccia parte della pratica CLIL e che ne sia la variante più impegnativa da realizzare dal punto di vista temporale1 (Burmeister 2013: 160).
Anche in Italia, generalmente, si usa l’acronimo inglese oppure si parla di “lingua veicolare”, ma esiste anche la traduzione italiana AILC, ovvero “Apprendimento Integrato di Lingua e Contenuti” (Wolff 2013: 20).
Si tratta, quindi, della fusione di due discipline, intenzionate a camminare su una linea comune, a fondersi in un unico ambito e a sperimentare aree innovative dal punto di vista dell’apprendimento simultaneo della lingua straniera e di un particolare contenuto disciplinare. Contenuto e lingua non sono scindibili e hanno entrambi il loro peso concreto.
Coonan offre una definizione più precisa del CLIL, ponendo in essere anche la questione metodologica:
“Il CLIL è un tipo di percorso educativo, più o meno lungo, caratterizzato da scelte strategiche, strutturali-metodologiche, atte ad assicurare l’apprendimento integrato duale - lingua e contenuto non-linguistico - da parte di discenti che imparano attraverso una lingua non-nativa.” (Coonan 2006b: 23)
Per sottolineare l’estensione culturale di questo tipo di approccio didattico, Coyle, Hood e Marsh illustrano come le strategie metodologiche utilizzate nel CLIL inaugurano un’esperienza educativa nuova, più olistica (Coyle et al. 2010: 1) e totalizzante rispetto alla tradizionale pratica didattica. Sottolineano, di conseguenza, l’attenzione e la precisazione chiara, rigorosa e trasparente degli elementi fondanti e delle strutture teoriche di riferimento2 (Coyle et al. 2010: 2).
La pratica CLIL prevede, dunque, metodologie innovative e campi di azione didattica non del tutto sperimentate nella scuola tradizionale, che consentano agli studenti di essere al centro della costruzione duale – lingua e contenuto – del percorso formativo e di essere capaci di applicare nel concreto della vita quotidiana quanto nel tempo viene culturalmente a costruirsi.
Questo tipo di approccio metodologico risente della matrice epistemologica del Costruttivismo, il quale sottolinea la costruzione partecipata ed integrativa dei saperi, il fare esperienza culturale diretta e la relazione circolare tra i protagonisti – docenti e discenti – come piattaforma feconda e privilegiata per un apprendimento efficace e duraturo nel tempo. L’interazione autentica tra discenti si è mostrata particolarmente proficua per l’apprendimento (Wolff 2011: 2).
1.2. Nascita e diffusione in Europa
Apprendere una disciplina in una lingua diversa dalla lingua madre può sembrare una pratica didattica moderna, in realtà era presente già nell’antica Roma, a seguito dell’espansione dell’Impero verso la Grecia (Coyle et al. 2010: 2), allorquando gli studenti romani, grazie allo studio della lingua greca, avevano la possibilità di dominare contestualmente all’apprendimento della lingua, saperi e conoscenze nuove in ambito artistico, letterario, filosofico e politico e di estendere le opportunità lavorative e la capacità di convivenza con altri popoli. La medesima abilità traduttiva, che consente il possesso culturale diverso, trova spazio nel Medioevo, dove è il latino a diventare la lingua di insegnamento in tanti paesi europei, così come nel Settecento e nell’Ottocento il francese è diventato la lingua di studio per i ceti sociali più alti (Haataja 2009: 6).
Inizialmente, essendo l’obiettivo originario quello linguistico, l’insegnamento di materie in lingue diverse avveniva solo in luoghi di confine e/o bilingui: esistevano in alcune di queste regioni europee già negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, piani didattici per “l’educazione bilingue”. Queste pratiche didattiche – nel loro affinarsi ed evolversi e nel tenere in considerazione le esigenze cognitive degli studenti – si aprono a nuove dimensioni concettuali: si parla di “immersione” (Coyle et al. 2010: 7).
A livello europeo si parla negli anni Settanta, per la prima volta, dell’importanza di studiare le lingue (La Commissione Europea del 14.06.1978) e nel 1983 il Parlamento europeo chiede alla Commissione di sostenere un nuovo programma per migliorare l’apprendimento delle lingue straniere. Nel 1985, a Bruxelles, i Ministri dell’istruzione europei sanciscono coralmente l’importanza dello studio delle lingue e sostengono la necessità urgente di conoscere altre lingue europee. Due anni dopo, nel 1987, il Consiglio Europeo lancia l’Erasmus – European Region Action Scheme for the Mobility of University Students – il programma di mobilità studentesca finalizzata a sostenere occasioni di scambio culturale nelle scuole superiori, nelle università e nei centri culturali.
Negli anni Novanta, la Commissione Europea e il Consiglio europeo, nel promuovere l’integrazione e la cittadinanza europea, si occupano di questioni linguistiche. Nel 1992 è il trattato di Maastricht a sottolineare l’importanza di formare cittadini europei plurilingui. Nel Libro Bianco di Edith Cresson, del 1995, White Paper Teaching and Learning: Towards a Learning Society, si chiede di non limitare il plurilinguismo a una élite e a non estenderlo solo per questioni geografiche; si chiede di promuovere la competenza in almeno tre lingue comunitarie per tutti i cittadini europei, creando le condizioni affinché l’inizio dell’apprendimento della prima lingua straniera si situi già a livello pre-scolastico e la seconda nella scuola secondaria, grazie anche all’insegnamento di una o più discipline curricolari in lingua straniera (Cresson 1995). L’importanza della conoscenza delle lingue comunitarie viene ribadita in più occasioni dalla Commissione Europea e declinata nei piani di studio ministeriali delle regioni europee.
Si assiste a un susseguirsi di progetti, piani di cooperazione culturale, ricerche specialistiche, pubblicazioni e la creazione di portali informatici, che hanno contribuito a diffondere il dibattito intorno alla questione della lingua, a elaborare spazi e livelli di abilità linguistica, a ricercare e sperimentare metodologie integrative e maggiormente accattivanti. Le metodologie più pertinenti e il livello superiore di autenticità sono finalizzati anche ad una maggiore motivazione degli studenti3 (Coyle et al. 2010: 5).
Attualmente, l’applicazione del sistema di apprendimento CLIL varia molto da nazione a nazione. Wolff illustra alcuni dati: la Francia riserva 2-4 ore al CLIL e la Spagna ne riserva 9 ore, in alcune isole di autonomia linguistica (Wolff 2013: 21). Si auspica, pertanto, un allargamento calibrato e maggiormente strutturato.
Per quanto riguarda le discipline da insegnare nella formula CLIL, si può affermare che tutte le discipline, sia quelle dell’area umanistica che di quella scientifica, sia l’Educazione fisica, la Musica e la Storia o la Storia dell’arte, possono accogliere tale modalità di insegnamento. Il limite oggettivo riguarda la disponibilità dei docenti: l’esiguo personale qualificato condiziona la pianificazione e la sperimentazione dei percorsi (Wolff 2013: 22).
Negli ultimi dieci anni lo sviluppo quantitativo e qualitativo della modalità CLIL è stato notevole nei paesi europei4 (KMK 2013: 2). Il rapporto del MIUR cita la pubblicazione del 2012 di Eurydice, che indica solo quattro paesi – la Danimarca, la Grecia, l’Islanda e la Turchia – ancora lontani dall’offrire dei percorsi CLIL. In tutti gli altri paesi europei vengono contemplati dei percorsi di studio CLIL, in alcuni, però, di natura selettiva, come nella Repubblica Ceca, in Slovacchia e in Bulgaria: qui gli studenti possono accedere alle lezioni CLIL solo dopo aver superato un test di accesso.
1.2.1. La situazione italiana
Anche in Italia, il CLIL ha iniziato la sua presenza negli anni Novanta, e da quel momento si è registrata una continua diffusione. La legge del 1999 sull’autonomia scolastica dà ampio spazio decisionale alle singole scuole, lasciando a loro la libertà di introdurre piani di lavoro che “rispondono alle esigenze delle singole scuole”, con la possibilità di introdurre anche l’insegnamento di discipline non linguistiche in lingua straniera. Ciò ha dato luogo a utili sperimentazioni, sia nelle scuole primarie che in quelle secondarie, validate dal Regolamento D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (Langé, Cinganotto 2014: 13).
Negli ultimi anni si è tentato di uniformare le pratiche didattiche. Così, nel 2010, il ministero dell’istruzione ha decretato l’introduzione del CLIL nei Licei e negli Istituti tecnici, obbligando le scuole a offrire lezioni in modalità CLIL. Per quanto riguarda i Licei linguistici, l’introduzione deve avvenire al terzo anno, per proseguire fino al quinto anno.
Le esperienze CLIL vengono monitorate dal 2013 dal MIUR.
1.2.2. Il Trentino e il trilinguismo
Il Trentino, insieme all’Alto Adige, in considerazione delle vicende storiche e delle questioni di confine con l’Austria, giustificano, di fatto, l’importanza attribuita all’apprendimento prioritario della lingua tedesca, già dalle scuole primarie.
Il Piano Trentino Trilingue, ancora in via di modificazioni a livello applicativo, vuole mettere in primo piano le lingue inglese e tedesco. Questa idea del trilinguismo è già applicata, invece, all’università di Bolzano, dove fin dal primo anno accademico le discipline vengono insegnate in una delle seguenti lingue: italiano, tedesco e inglese, in modo che gli studenti possano frequentare fin dal primo anno le lezioni nelle tre lingue. L’eccezionalità e l’unicità dell’innovazione costituisce un importante apripista per le altre università italiane.
Grazie allo Statuto di Autonomia che dà al Trentino-Alto Adige poteri legislativi anche in ambito scolastico e culturale, il progetto linguistico trentino può aprirsi all’introduzione graduale del CLIL in tutte le scuole e consolidare i progetti educativi già in atto.
La grande attenzione per la modalità CLIL per le scuole superiori in Trentino si nota già nella rilevazione della PAT del 2011, dalla quale risulta che il 70% delle classi negli Istituti superiori del Trentino aveva avuto esperienze CLIL (Turri 2011: 28).
1.3. I docenti CLIL
Negli ultimi anni, molte energie e riflessioni sono state dirette a definire e qualificare le precise competenze del docente che insegna in modalità CLIL.
Il modello formativo universitario italiano, proprio perché è specialistico, comporta una difficoltà per chi dovrebbe avere una formazione disciplinare e linguistica, oltre alla formazione per l’insegnamento nelle scuole. Nel caso un docente volesse aprirsi a tale modalità, dovrebbe possedere una doppia qualifica, che in Italia, si può ottenere solo con due percorsi di laurea distinti; mentre in Germania, per esempio, un percorso universitario per la formazione di un insegnante può includere lo studio della didattica di una lingua straniera oltre a quella di una disciplina non linguistica (DNL).
Inizialmente, sono stati per la maggiore i docenti di lingua ad essere interessati a questo nuovo approccio. Ogni paese ha scelto delle modalità diverse per selezionare i docenti CLIL: in alcuni paesi sono i docenti di lingua ad acquisire le competenze nella DNL, in altre i docenti DNL acquisiscono le competenze linguistiche. In Italia si punta sulla formazione linguistica di docenti DNL (Wolff 2013: 22). In base alla disponibilità di questi docenti, si scelgono le materie CLIL, da inserire nelle scuole.
Si può evincere che la presente struttura genera una carenza di risorse e una certa difficoltà nel garantire uniformemente l’applicazione della modalità CLIL in tutte le scuole, nonostante l’incitamento e il sostegno che provengono dalla Legge Provinciale n. 5 del 7 agosto 2006, che prevede che l’insegnamento CLIL venga “introdotto in modo graduale a partire dall’anno scolastico 2015-16 e comunque in relazione alla disponibilità di docenti e alla loro formazione.”5
Da una raccolta dati del MIUR, che mostra le competenze linguistiche dei docenti DNL nei Licei e negli Istituti tecnici, si apprende come “la scelta ministeriale di introdurre la modalità CLIL nell’anno terminale del secondo ciclo sia funzionale alla carenza di risorse.“ (Turri 2011: 27).
Sicuramente, non bastano le competenze linguistiche specifiche, ma i docenti CLIL devono, soprattutto, possedere con sicurezza un ampio bagaglio metodologico, didattico e pragmatico CLIL, conoscere bene i processi neuro-cognitivi di acquisizione linguistica6 (Leisen 2013: 98), dominare le conoscenze specifiche di un determinato ambito culturale e porsi in modo innovativo e integrativo rispetto alla semplice lezione in lingua straniera. Per quanto riguarda la lingua, in Italia, per accedere all’insegnamento CLIL, bisogna possedere una certificazione linguistica livello B2/C1, che può creare qualche perplessità, se consideriamo, per esempio, che al liceo linguistico gli studenti concludono il percorso liceale con la certificazione B2/C1.
Il più importante punto di riferimento teorico e programmatico per i docenti è il documento The CLIL Teacher’s competences grid di Pat Bertaux, Carmel Mary Coonan, María Jesús Frigols-Martín e Peeter Mehisto, del 2010. Un altro punto di riferimento è il documento Europäisches Rahmenprogramm für die Ausbildung von CLIL-Lehrkräften, del Consiglio Europeo, curato da David Marsh, Peeter Mehisto, Dieter Wolff e ancora María Jesús Frigols-Martín. In tutti i documenti si precisa che queste competenze dovrebbero essere valide per le lezioni in generale, non solo per le lezioni in modalità CLIL.
Si spera che in futuro ci siano maggiori percorsi formativi che consentano di insegnare in modalità CLIL. Per ora, è difficile affidarsi solo ai docenti volenterosi, disposti a farsi carico di una formazione ulteriore; così com’è difficile immaginare che un docente, per poter insegnare secondo la modalità CLIL, debba assumersi l’onere di avere due lauree.
Una rilevazione curata dal Dipartimento Istruzione Trentino ci offre un quadro per poter riflettere intorno all’attuale insegnamento CLIL in tedesco. Il numero di docenti CLIL alle scuole superiori è sedici, “di questi, 11 sono di ruolo, 4 sono di madrelingua straniera, reclutati ai sensi dell’art. 93 comma 3 bis della legge provinciale 5 del 7 agosto 2006 n. 5. 5 sono docenti di disciplina e 8 di lingua straniera” (Turri 2011: 36). Turri elenca anche le modalità di individuazione dei docenti: vi sono docenti DNL con le competenze linguistico-comunicative, già in servizio presso le scuole; ci sono docenti assunti direttamente dal Dirigente scolastico, che hanno competenze documentate sia linguistico-comunicative che metodologiche-didattiche, oltre chiaramente alle competenze circoscritte alla materia. Una modalità ulteriore viene data dalla compresenza di un docente DNL e un docente di lingua, possibilità finanziata dal Fondo Qualità della scuola. L’art. 93 comma 3 bis della legge provinciale 7 agosto 2006 n. 5 prevede anche l’assunzione di docenti madrelingua di DNL (Turri 2011: 39-40).
1.4. Le finalità del CLIL
Quando si pensa al CLIL, viene spontaneo pensare che sia un modo per migliorare le competenze linguistiche (Coonan 2006 p. 41). Tuttavia, il vero obiettivo per l’introduzione del CLIL è supportare e accompagnare le competenze comunicative e interculturali degli studenti per formare dei cittadini europei multiculturali e multilingue. I motivi per proporre delle lezioni in modalità CLIL sono stati individuati dalla Commissione Europea:
- costruisce una conoscenza ed una visione interculturale
- sviluppa abilità di comunicazione interculturale
- migliora le competenze linguistiche e le abilità di comunicazione orale
- sviluppa interessi e una mentalità multilinguistica
- dà opportunità concrete per studiare il medesimo contenuto da diverse prospettive
- permette ai discenti un maggior contatto con la lingua obiettivo
- non richiede ore aggiuntive di insegnamento
- completa le altre materie invece che competere con le altre
- diversifica i metodi e le pratiche in classe
- aumenta la motivazione dei discenti e la fiducia sia nelle lingue sia nella materia che viene insegnata7
La Commissione Europea sostiene che ogni cittadino europeo debba conoscere almeno due lingue europee oltre alla propria lingua madre. La lezione CLIL è stata individuata come modalità privilegiata per sostenere e incentivare lo studio della lingua, senza dover ricorrere a un aumento delle lezioni di lingua. Inoltre, la lezione CLIL può essere un’occasione per conoscere in modo più autentico le prospettive di altre culture8 (Königs 2013: 38) e, quindi, limitare pregiudizi verso gli altri.
Ricci Garotti evidenzia la componente politica che sostiene la scelta del CLIL, parla di “plurilinguismo e pluriculturalità” e spiega come nel Trattato di Maastricht si dia notevole peso all’istruzione “dei giovani europei, richiamando l’attenzione sulla necessità di acquisire una apertura che garantisca la comprensione tra culture diverse con linguaggi diversi” (Ricci-Garotti 2006: 49).
L’obiettivo europeo di formare cittadini responsabili e capaci di vivere e lavorare in contesti europei diversi può, di fatto, incentivare il fattore motivazionale, dando un senso concreto a questo tipo di apprendimento. Inoltre, la modalità CLIL promuove il miglioramento delle capacità d’espressione complessive e le capacità di usare, in modo disinvolto, una lingua in contesti quotidiani diversi. Dona, inoltre, un vantaggio culturale immediatamente spendibile, al di là del lento e astratto apprendimento strutturale della lingua. Questo fattore viene evidenziato anche dal ministero della cultura tedesca nel rapporto del 2013 sulle esperienze CLIL: qui si parla del valore di questa metodologia riguardo all’apprendimento delle lingue nel loro utilizzo concreto; per questo si consiglia di rendere accessibile la lezione CLIL a più studenti possibili9 (KMK 2013: 7).
Bonnet e Breidbach evidenziano la vastità degli obiettivi della lezione CLIL, affiancando alle competenze (linguistiche, della materia e interculturali) anche quelle metacognitive e autoreferenziali, ma anche effetti emozionali-attitudinali10 (Bonnet 2013: 28).
Ma perché scegliere la lezione CLIL invece della tradizionale lezione di lingua? Le motivazioni sono molteplici. Laddove il contenuto è in primo piano, la lingua diventa solo un mezzo, quindi essa è un oggetto implicito e viene percepito come meno “minacciosa” ed esclusiva. Si ha, quindi, meno paura di sbagliare rispetto alla lezione di lingua, proprio perché l’attenzione è spostata sul contenuto. Wolff e Quartapelle vedono la lezione CLIL proprio per questo motivo più vicina alla vita quotidiana, dato che “il CLIL antepone i contenuti alla lingua, alla quale attribuisce una funzione strumentale, così come accade normalmente nella vita quotidiana“ (Wolff, Quartapelle 2011: 57).
Gli esperti del settore insistono, inoltre, sulla rielaborazione più approfondita dei contenuti disciplinari nella lezione CLIL, proprio per via delle difficoltà linguistiche che comprometterebbero altrimenti la comprensione (Wolff, Quartapelle 2011: 57).
I risultati di vari studi hanno dimostrato una partecipazione degli studenti più motivata e un interesse più elevato rispetto agli studenti che studiano la disciplina nella propria lingua, forse, dovuto anche al fatto che viene chiesto uno sforzo ulteriore nell’ampliare i confini della lingua per poter accedere ancor meglio ai contenuti. E’, quindi, la curiosità verso i contenuti che spinge lo studente a studiare una lingua. Gli studenti avrebbero anche affermato che la lezione è più divertente (Wolff 2011: 80). La motivazione intrinseca, pertanto, è un fattore determinante, poiché la partecipazione intenzionale dello studente nel comunicare in una lingua può favorire maggiormente l’apprendimento dei contenuti della disciplina (Coyle et al. 2010: 11).
1.4.1. Le 4 “C” del CLIL
Coyle, Hood e Marsh parlano di 4 “C”, riferite a: contenuto, comunicazione, cognizione e cultura (Coyle et al. 2010: 41). Contenuto sta per il contenuto disciplinare (“subject matter”), comunicazione sta per l’apprendimento e l’uso della lingua (“language learning and using”), cognizione sta per i processi di apprendimento e riflessione (“learning and thinking processes”) e cultura per lo sviluppo di comprensione interculturale e cittadinanza globale (“developing intercultural understanding and global citizenship”). Tale schematizzazione rende esplicita la finalità: integrare l’apprendimento di contenuto e lingua all’interno di contesti specifici tramite il rapporto simbiotico tra questi elementi (Coyle et al. 2010: 41):
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Per quanto riguarda il contenuto, il CLIL può essere applicato per qualsiasi disciplina scolastica. Dei contenuti specifici vanno sempre analizzate le richieste linguistiche per presentarli in modo comprensibile agli studenti (Bentley 2010: 7). I termini “comunicazione” e “lingua” sono intercambiabili: affinché si verifichi apprendimento, infatti, deve esserci comunicazione nella lingua veicolare (Coyle et al. 2010: 42). Dato che gli studenti devono produrre lingua disciplinare sia in forma scritta che orale, deve esserci interazione significante nella classe (Bentley 2010: 7).
La modalità CLIL deve stimolare, negli studenti, gli aspetti cognitivi: ragionare, pensare creativo e valutare. E devono apprendere la lingua che serve loro per esprimere le proprie idee e i propri pensieri (Bentley 2010: 7).
Abbiamo già detto che uno degli obiettivi principali del CLIL è la formazione di cittadini che interagiscono con altre culture in modo positivo. Potendo introdurre una vasta gamma di contesti culturali con il CLIL, si possono formare studenti che hanno attitudini positive e che diventano consapevoli delle responsabilità globali e di cittadinanza (Bentley 2010: 7) Inoltre, l’autenticità all’interno nelle lezioni è fondamentale per apprendere con successo. (Coyle et al. 2010: 11)
1.5. I ruoli: contenuto e lingua
Tutti gli studiosi concordano nel ritenere fondamentale il legame stretto tra contenuto e lingua, aspetti che procedono di pari passo e non sono scindibili11 (Leisen 2013 p. 96-97). Civegna illustra l’importanza delle situazioni autentiche create in classe e come la lingua in questo modo diventi “veicolare”:
“L’agire linguistico costituisce una base importante di ogni insegnamento in lingua seconda o straniera (CLIL). Esso nasce da un’azione autentica in lingua straniera in situazioni reali, e non in situazioni simulate, ossia soltanto realistiche. La lingua straniera, allora, non è più considerata come l’oggetto dell’insegnamento, ma diventa lingua veicolare. Essa serve per trasmettere informazioni e pone al centro dell’attenzione i contenuti. Il lavoro in lingua diventa così funzionale all’apprendimento di nuovi saperi. Quest’attività porta i discenti ad una flessibilità sempre più marcata in lingua straniera.” (Civegna 2006: 115)
Ricci Garotti, sottolineando la necessità di una competenza metodologica e didattica dell’insegnante, torna sull’importanza della lingua in concomitanza con il contenuto, che dovrà caratterizzare, al medesimo tempo, anche le competenze dei docenti, oltre a quelle degli studenti:
“[…] è necessario garantire il plusvalore del CLIL proprio anche sulla sua tenuta linguistica, che vede indubbiamente nell’input in LS un ingrediente di primaria importanza. La costruzione dell’integrazione, parola chiave per la didattica del CLIL, passa appunto per l’alto livello di competenza, paritario, della lingua e della disciplina che riguardano sia il docente sia il discente CLIL.” (Ricci Garotti 2006: 49)
Si capisce, quindi, il saggio equilibrio che bisogna creare tra lingua e contenuto. Coonan spiega che “il solo raggiungimento degli obiettivi di contenuto non è sufficiente. Il CLIL esige che ci si prenda cura anche della lingua veicolo, in modo che la lingua cresca attraverso la materia (o i contenuti di essa) e la materia cresca attraverso la lingua, contemporaneamente.” (Coonan 2006b: 29) L’autrice sostiene, però, che nella definizione degli obiettivi bisogna partire dal contenuto, dato che “dal punto di vista degli obiettivi, quindi, la direzione di crescita prevista ed auspicata per la lingua veicolare (che possiamo chiamare “obiettivi” linguistici del percorso CLIL) è condizionata dagli obiettivi della materia. Gli “obiettivi” linguistici sono quindi secondari, essendone derivati.” (Coonan 2006b: 29).
Wolff e Quartapelle parlano di apposite strategie per questo apprendimento integrato, per fare in modo che gli studenti si possano avvalere di „metodi di lavoro e tecniche di apprendimento calibrati sulle esigenze di un insegnamento/apprendimento integrato. Queste strategie sono in parte quelle proprie della didattica della lingua straniera e in parte quelle della didattica della disciplina non linguistica e devono essere modificate per essere adeguate alle lezioni CLIL.“ (Wolff, Quartapelle 2011: 37)
In molti evidenziano l’autenticità necessaria della lezione CLIL, perché “l’acquisizione della lingua necessita di contenuti autentici, deve condurre ad una comunicazione sensata, naturale, utilizzabile in contesti culturalmente diversi.” (Franceschini 2011: 22)
1.5.1. Il contenuto
Ancora oggi, l’insegnamento in modalità CLIL viene spesso considerato un mezzo per migliorare le competenze linguistiche. Di conseguenza, alcuni ritengono ancora che i contenuti si apprendono meglio nella propria lingua, temendo un impoverimento di questi nella lezione CLIL.
Gli studi hanno, però, dimostrato proprio il contrario e la modalità CLIL non è pensata per migliorare le competenze linguistiche, che, al contrario, viene anche considerato un “apprendimento incidentale”, che avviene in modo più naturale proprio l’attenzione è focalizzata sul contenuto, e non sulla lingua.
Nel CLIL i contenuti vengono appresi a livello più approfondito e, soprattutto, sono conoscenze che perdurano nel tempo. Perché proprio la difficoltà linguistica porta gli studenti a esaminare i testi in modo più approfondito, ad ascoltare con più attenzione e a formulare le espressioni verbali con molta cura. Per questi motivi la lezione CLIL risponde alle esigenze dell’apprendimento moderno, dato che “l’obiettivo non è più quello di descrivere fatti o esprimere concetti, bensì di elaborarli, rifletterli, in una parola: appropriarsene attraverso l’agire linguistico” (Ricci Garotti 2006: 44)
Nelle lezioni CLIL, come per le lezioni di lingua straniera, è fondamentale l’utilizzo di materiali autentici che sono quelli non creati per fini didattici, ma che si rivolgono invece a un pubblico potenzialmente madrelingua. Questo tipo di materiale è caratterizzato dall’utilizzo veicolare della lingua, quindi l’attenzione si focalizza sul contenuto. Di conseguenza, “gli studenti che lavorano con materiali autentici, coinvolgenti e motivanti, concentrano la loro attenzione prevalentemente sui contenuti proposti e imparano la lingua perché sono attratti dai contenuti” (Wolff, Quartapelle, 2011: 61).
1.5.2. La lingua
La questione più spinosa del CLIL riguarda, probabilmente, proprio la lingua. Idealmente c’è una proficua collaborazione tra il docente DNL o CLIL e il docente di lingua, in modo che, nella lezione di lingua, gli studenti possano imparare ciò che ad essi serve per l’interazione in L2 durante la lezione CLIL (Ricci Garotti 2006: 45). Ma la realtà non prevede sempre queste situazioni ideali. E’ più facile quando si tratta di un teaching team, cioè nel caso di lezioni di compresenza, dove l’insegnante di lingua può concordare i contenuti con il docente DNL, e vedere da sé, su quali ambiti bisogna intervenire durante le ore di lingua. Negli altri casi si pone il problema se la lingua vada trattata nella sua struttura sintattica e formale nella lezione CLIL o meno. Qui ci sono pareri anche contrastanti: Ricci Garotti non trova opportuno “dedicare spazio durante le ore del CLIL a riflessioni o ad esercitazioni sistematiche che rinforzino la competenza linguistica del discente” perché “si ricadrebbe nella classica lezione di L2” (Ricci Garotti 2006: 45). Wolff sostiene che bisogna mettere il “focus” sulla lingua, quando serve (Wolff 2013: 23). Forse una via di mezzo la troviamo con Vollmer, il quale esclude un apprendimento sistematico della lingua all’interno della lezione CLIL, che può avvenire solo all’interno della lezione di lingua, mentre è possibile trattare in modo mirato le parti di lingua necessarie alla materia12 (Vollmer 2013: 125). Leisen riassume il legame tra lingua e contenuto in modo sintetico, definendo la lezione CLIL come “lezione di materia sensibile alla lingua”13 (Leisen 2013: 97).
Coyle, Hood e Marsh distinguono tra lo studio della lingua, che avviene in modo intenzionale, e l’acquisizione linguistica, che avviene in modo incidentale, spiegando come la lezione CLIL - grazie alla creazioni di ambienti simili alla vita reale - porti all’acquisizione della lingua in modo più naturale14. (Coyle et al. 2010: 11) Sicuramente la modalità CLIL non deve essere intesa come traduzione della L1 alla L2, sperando che gli alunni imparino come apprendere in un’altra lingua (Coyle et al. 2010: 27).
Cummins, nell’ambito delle sue ricerche sul bilinguismo, distingue due tipi di lingua: il BICS (Basic Interpersonal Communicative Skills) e il CALP (Cognitive/Accademic Language Proficiency) (Cummins 1980: 84). Mentre nella categoria BICS entrano capacità comunicative di base, necessarie per una comunicazione interpersonale in situazioni quotidiane, la categoria CALP include competenze linguistiche cognitive scolastiche, che servono nell’ambito cognitivo accademico. E’, evidentemente, un processo più lungo acquisire le competenze CALP, le quali servono per comprendere il linguaggio spesso astratto e formale delle discipline; tra queste troviamo competenze come quella del saper motivare opinioni, fare ipotesi e interpretare fatti (Bentley 2010: 8).
Leisen definisce il CALP di Cummins „Bildungssprache“, specificando che questa lingua viene appresa sia quando si studia nella lingua madre sia quando la si studia in una lingua straniera15 (Leisen 2013: 97).
Possiamo concludere constatando che la dualità di contenuto e lingua prevede che la base linguistica sia solida, per poter apprendere il contenuto. Ma per la lezione CLIL non bastano conoscenze linguistiche consolidate: servono degli strumenti mentali per poter accomodare, adattare e aggiustare, anche nel caso non fossero presenti competenze linguistiche adeguate in un momento preciso.
Il ruolo della lingua è, comunque, da non sottovalutare poiché per potersi definire CLIL l’apprendimento deve seguire degli obiettivi sia di contenuto che di lingua, proprio perché il “CLIL esige che ci si prenda cura anche della lingua veicolo, in modo che la lingua cresca attraverso la materia (o i contenuti di essa) e la materia cresca attraverso la lingua, contemporaneamente” (Coonan 2006b: 29), anche se bisogna considerare la priorità del contenuto e degli obiettivi disciplinari rispetto agli obiettivi linguistici. Anche Ricci Garotti torna sulla priorità del contenuto, sostenendo che “qualora si dovesse stabilire una priorità all’interno del progetto CLIL, questa spetterebbe di certo all’aspetto disciplinare e non a quello linguistico” (Ricci Garotti 2006: 39).
Ricci Garotti spiega, inoltre, come bisogna distinguere tra i vari tipi di lingua che ci sono all’interno dalla lezione: “La lingua del docente […] va distinta nettamente dalla lingua del discente e tutte e due vanno distinte dalla lingua del materiale. Si tratta di una triade in scala, i cui due estremi sono: il discente, che passa dalla fase del monolinguismo a quella del bilinguismo passivo e successivamente a quella dell’interlingua, e il materiale, che utilizza esclusivamente la LS.” (Ricci Garotti 2006: 47). Coonan insiste proprio sulla qualità della lingua, perché “se manca la qualità, viene meno anche lo spessore dell’apprendimento sia della lingua che del contenuto.” (Coonan 2006b: 62)
Molto curiosa la constatazione di Wolff, che parla della lingua “accademica” trascurata nella lezione tradizionale DNL, mentre nella lezione CLIL la qualità è più alta dato che viene sostenuto proprio l’apprendimento della lingua (Wolff 2011: 81).
1.5.2.1. Lezione monolingue, bilingue e il code-switching
Un punto molto spinoso è la quantità di L1 e la L2. Come per la lezione di lingua straniera tradizionale, ci sono sostenitori della lezione monolingua, dove si parla esclusivamente la L2, mentre la L1 viene bandita. Le nuove tendenze, a partire dagli anni novanta, sono meno rigide (Ricci Garotti 2006: 151) e si è affermato il concetto di “code-switching“, il quale definisce la competenza di alternare le lingue in modo spontaneo. In questo modo, si crea una nuova sensibilità linguistica (Coonan 2006b: 31-32), più vicina al concetto di bilinguismo.
Ricci Garotti cita Wildhage con il motto “quanta L2 possibile, quanta L1 necessaria”, e riferisce gli scenari da lui elencati, dove un’alternanza di L1 e L2 è possibile:
- “quando devo comparare fonti, testi e lingua;
- se ci sono ambiguità linguistiche e soprattutto terminologiche;
- per precisazioni di contenuto;
- nelle fasi di discussione, in particolare per poter spiegare concetti centrali;
- nelle fasi di ripetizione e sintesi.” (Ricci Garotti 2006: 152)
In Germania già la denominazione “Bilingualer Sachfachunterricht” suggerisce un insegnamento bilingue. Königs spiega, infatti, il vantaggio della lezione bilingue rispetto a quella monolingue (solo in L2), che sta nel fatto di sviluppare e rendere accessibili le competenze disciplinari in due lingue16 (Königs 2013: 36-37). L’autore sottolinea come altrimenti la comprensione può risultare pesante e impegnativa dal punto di vista temporale e che l’esclusione della L1 può portare al distanziarsi dal punto di vista emozionale e affettivo dalla disciplina17 (Königs 2013: 175). Altri motivi che elenca a favore dell’inclusione della L1 è l’aumento delle competenze in L1, grazie all’estensione e passaggio naturale delle competenze in L2, che vale soprattutto per studenti per i quali la L1 non è la lingua madre, e la conoscenza di prospettive diverse in determinate materie (Königs 2013: 176-177).
Probabilmente la soluzione è proprio la via di mezzo, utilizzando il più possibile la L2, in modo da assicurare una alta quantità e qualità di input in L2, senza, però, demonizzare la L1, la quale può avere un ruolo importante. Da considerare, inoltre, che gli studenti dovrebbero essere in grado di esprimere fluidamente ciò che studiano anche nella propria lingua. Coonan interviene in questo modo: “L’opzione per un insegnamento “bilingue” dei contenuti [...] assicura che gli studenti acquisiscano un bagaglio linguistico specifico [...] anche nella lingua madre o, comunque, in quella della scuola” (Coonan 2006: 105). Anche lei sottolinea, però, che “la questione dell’alternanza linguistica (L1 e LS) non può essere lasciata al caso. L’alternanza o meno delle due lingue deve essere frutto di una decisione ponderata se non altro perché ci possono essere delle conseguenze sia per lo sviluppo della LS che per l’apprendimento del contenuto” (Coonan 2006b: 130).
Wolff e Quartapelle parlano di “monolinguismo illuminato”, denominazione coniata dalla glottodidattica, che “indica che la madrelingua degli studenti deve essere parte integrante delle lezioni e giocare addirittura un ruolo fondamentale per la comprensione e l’apprendimento di lessemi e strutture della lingua straniera” e sostengono che “il lavoro contrastivo tra madrelingua e lingua straniera migliori il processo di apprendimento della lingua straniera e faciliti l’assimilazione delle sue strutture” (Wolff, Quartapelle 2011: 62).
Per quanto riguarda il code-switching, cioè la competenza di saltare da una lingua all’altra in modo spontaneo, Königs ritiene non sia un aiuto o modo di apprendere facilitato, ma che faccia parte della lezione CLIL, la quale prende in considerazione due lingue insieme18 (Königs 2013: 177). Anche Vollmer è a favore dell’uso della L1 per contrastare le parole e per la sensibilizzazione interculturale verso le differenze socioculturali19 (Vollmer 2013: 124-125).
Civegna sostiene il bisogno che “i docenti sviluppino una maggiore tolleranza verso eventuali errori formali. Per garantire il successo va accettato anche il code-switching e nelle classi inferiori anche il code-mixing.“ (Civegna 2006: 118), perché non si può pretendere che gli studenti usino fin da subito la lingua disciplinare corretta in una forma ineccepibile.
Questo vale anche per i lavori in gruppo, poiché gli studenti, naturalmente, usano la L1 per comunicare tra di loro. Quartapelle e Wolff suggeriscono di “rendere gli studenti consapevoli fin da subito che la lingua straniera si impara soprattutto usandola il più possibile” e consigliano di stipulare contratti formali con gli studenti, così come suggerito dalla pedagogia di Freinet, che è orientata all’autonomia degli studenti (Wolff, Quartapelle 2011: 63). Sempre loro dicono che “gli studenti che lavorano in autonomia in contesti CLIL finiscono per servirsi automaticamente della lingua straniera e sollecitano i compagni, che passano alla madrelingua, a tornare a comunicare in lingua straniera” (Wolff, Quartapelle 2011: 64)
1.5.2.2. Le strategie di apprendimento
Spesso, accade che gli studenti, davanti a un testo scritto o audiovisivo complesso in lingua straniera, si sentano demoralizzati perché dubitano di riuscire a comprendere un testo con molti vocaboli sconosciuti.
Rendersi conto che basta applicare delle strategie mirate per comprendere le informazioni fondamentali, è un processo lungo e impegnativo, ma i risultati sono sempre sorprendenti perché si vede con quale facilità gli studenti riescono a lavorare su testi anche molto difficili, utilizzando semplicemente le strategie adatte.
Per una comprensione più facilitata di un testo occorre un lavoro preventivo, che consiste nell’attivazione delle conoscenze pregresse e la formulazione delle ipotesi. Affrontare un testo dopo questa fase risulta più facile e più motivante, dato che si è incuriositi anche per sapere se le proprie ipotesi vengono confermate dal testo.
Si può iniziare, per esempio, con un brain storming, svolto inizialmente in piccoli gruppi, oppure anche individualmente, con un confronto successivo in un gruppo, prima di procedere alla raccolta delle idee, in classe. Questo comporta che tutti lavorano in modo attivo, mentre la stessa attività svolta subito con il gruppo classe potrebbe portare alla partecipazione di solo alcuni studenti. Si può partire dall’argomento stesso, scrivendolo alla lavagna, oppure da un oggetto o un’immagine. Si prestano anche interviste, piccoli filmati con o senza audio, grafici, etc. Le possibilità sono infinite.
Coonan elenca delle tecniche utili alla comprensione, memorizzazione e consolidazione delle informazioni, quali:
- “attività preparatorie prima dell’ascolto/lettura, durante l’ascolto/lettura, dopo l’ascolto/la lettura;
- sostegno attraverso supporti grafici: mappe, diagrammi, disegni, ecc.;
- maggiore ridondanza verbale e non verbale;
- informare sulla “mappa” della lezione: obiettivi e ordine di presentazione degli argomenti e delle attività;
- distribuzione e/o creazione (con i discente) di glossari;
- riassunti frequenti sui contenuti della lezione;
- interazioni con gli studenti fornendo, su richiesta, conferme e chiarimenti attraverso ripetizioni e riformulazioni.” (Coonan 2006a: 35)
1.5.2.2.1. Le strategie per la lettura
Per la comprensione di un testo scritto ci sono varie strategie che si possono applicare. Dopo la fase dell’attivazione delle conoscenze pregresse si può passare direttamente alla lettura del testo, evidenziando tutte le parole già conosciute. In questo modo l’attenzione non poggia sulla parte difficile, ma sulla parte già familiare.
E’ opportuno, a questo punto, chiarirsi già le idee sul significato globale del testo, attraverso il collegamento delle informazioni che sono state comprese. Questa fase può avvenire anche già in coppia o in piccoli gruppi, poiché consente di completare le informazioni con quelle comprese dagli altri.
Dopo la lettura globale si può passare a una fase di lettura più analitica. Qui si possono individuare delle parole necessarie alla comprensione del testo e si può cercare di capire, magari in un gruppo da 4-5 persone, se il significato è deducibile dal contesto oppure derivando da altre lingue, essendo soprattutto le parole specifiche spesso simili in varie lingue. Si può, infine, cercare di scomporre la parola in singole parti per dedurne il significato contestuale o specifico. Soprattutto nella lingua tedesca, le parole composte sono facilmente comprensibili quando si scompongono le singole parole, prefissi e suffissi.
Per una lettura selettiva, soprattutto se il testo è molto lungo, è opportuno che ci siano delle domande che guidino la lettura. Spesso è più facile comprendere un testo quando si ha un’informazione precisa da ricercare.
In un’ultima fase, se ci sono ancora parole sconosciute che servono alla comprensione dell’argomento, si può passare all’uso del vocabolario o del glossario.
Per mettere in ordine le informazioni, oltre alla risposta alle domande, è opportuno un trasferimento delle informazioni in una forma testuale diversa. A questo proposito, si offrono una serie di tecniche di lavoro, che elenca Civegna:
- “tecniche di note-taking e note-making anche al fine della preparazione della produzione di testi orali o scritti;
- tecniche di visualizzazione: disegnare immagini, diagrammi, schemi o organigrammi che indichino anche condizioni di causa – effetto, che integrino i saperi colti dai testi, creino collegamenti con saperi pregressi anche in forma visiva e sostengano la produzione di testi etc.;
- tecniche di scrittura: tecniche di strutturazione (indici), di redazione e rielaborazione etc.;
- tecniche di comunicazione verbale: mediazione linguistica, traduzione, parafrasi, code-switching etc.” (Civegna 2006: 117)
Anche Wolff e Quartapelle elencano come strategia per memorizzare le informazioni quelle di fissarle “con disegni, schemi e organigrammi che permettano di mettere in evidenza la struttura di un testo complesso e di memorizzare il contenuto (Wolff, Quartapelle, 2011 S. 38-39).
Questo procedimento dimostra quanto è più lungo e impegnativo il lavoro con il testo in una lezione CLIL. Non bisogna, però, sottovalutare quanto questo lavoro dettagliato possa contribuire a tenere in mente le informazioni apprese, poiché un testo che viene compreso subito, magari nella propria L1, può essere letto in modo molto più superficiale di un testo difficile in L2, che necessita di un’attività cognitiva molto complessa.
1.5.2.2.2. Le strategie per l’ascolto
Le strategie per l’ascolto sono particolarmente importanti nella lezione CLIL, svolgendosi la lezione in L2. Comprendere è riferito a ciò che viene detto dall’insegnante, dagli altri studenti, o nei testi audiovisivi.
Per facilitare la comprensione linguistico-concettuale ci sono varie strategie, molte delle quali basate sulla ripetizione e la ridondanza.
Per l’insegnante Cornaviera suggerisce alcune strategie verbali e non verbali che facilitano la comprensione linguistico-concettuale, quali:
- “esporre in modo chiaro, articolando bene le parole, rallentando il ritmo dell’elocuzione senza arrivare comunque ad una produzione artificiale;
- porre l’enfasi con l’intonazione su alcuni punti, parole o espressioni salienti del discorso;
- controllare continuamente la comprensione degli studenti con domande mirate al suo accertamento, fornire chiarimenti, ripetere i concetti più significativi o riformularli sia a livello sintattico che lessicale, parafrasare.
- utilizzare gesti, mimica, supporti visivi o grafici;
- usare frequentemente la lavagna per annotazioni, schemi, parole chiave per evidenziare le idee fondamentali;
- fornire note scritte per accompagnare quasi in parallelo l’esposizione verbale; portare esempi concreti;
- riassumere spesso nel corso dell’esposizione per punti quanto già espresso ed annunciare quanto sarà trattato successivamente;
- interagire con gli studenti per costruire con loro il significato, modificando anche le proprie verbalizzazioni per sintonizzarsi sulla loro capacità linguistica.[…]” (Cornaviera 2006: 97).
Seguendo questi punti l’insegnante può agevolare notevolmente la comprensione degli alunni.
Per quanto riguarda la comprensione di testi audio o audiovisivi si prestano le stesse attività preparative come per la comprensione di un testo scritto: bisogna attivare le conoscenze pregresse e, successivamente, si possono formulare delle ipotesi.
Se l’ascolto di un testo audio o audiovisivo è accompagnato da domande guida, queste vanno lette prima e le parole chiave vengono evidenziate, in modo da concentrarsi durante l’ascolto sull’essenziale. La comprensione risulta più facile se nelle fasi tra un ascolto e l’altro vengono inserite breve fasi in cui gli studenti possono confrontare i propri risultati con quelli dei compagni, per poter comprenderli e discuterli insieme.
Si consiglia l’ascolto di brevi testi e la visione di brevi filmati, per non rendere la comprensione troppo difficile e demotivante. I testi audio e i filmati possono essere spezzati in varie parti per andare incontro alle esigenze degli studenti.
I compiti e le consegne devono essere mirate e agevolare la comprensione. Sono meno consigliabili le consegne basate su un semplice ascolto o la visione di un filmato senza una guida o con il semplice compito di prendere appunti.
1.5.2.2.3. Le strategie per la produzione scritta
Per quanto riguarda la produzione scritta non è difficile da esercitare in sé, avendo a disposizione molti testi scritti. La difficoltà maggiore consiste nella correttezza linguistica, soprattutto quando si scrive in una L2.
Il sostegno maggiore che l’insegnante può dare è fornire dei modi espressivi (Redemittel), che si usano per i vari registri e le diverse tipologie di testo.
Anche mettere a disposizione uno scheletro generale, per esempio per una descizione e analisi di un’immagine, può aiutare gli studenti ad orientarsi e a sviluppare, man mano, modi più differenziati e articolati per esprimersi.
E’ opportuno procedere con un metodo ciclico di apprendimento, in modo che gli studenti possano fin da subito esprimersi, aumentando, col tempo, la complessità e la qualità dell’espressione scritta.
Per incentivare e facilitare una auto-correzione, l’insegnante può sottolineare gli errori nei testi scritti dagli studenti, senza proporre una correzione. Gli studenti possono, successivamente, apportare le correzioni in piccoli gruppi, ognuno per sé ma con l’appoggio degli altri membri del gruppo, nel caso di bisogno. Mentre una correzione apportata dall’insegnante può avere un effetto molto lieve, l’analisi del proprio errore, con una eventuale spiegazione e discussione in gruppo, può comportare un apprendimento più solido.
1.5.2.2.4. Le strategie per la produzione orale
Nella lezione CLIL l’apprendimento della L2 viene supportato e accompagnato in modo concreto. Mentre nell’immersione si conta su un’apprendimento più naturale, come per l’apprendimento della prima lingua, i teorici del CLIL sono convinti che “la semplice esposizione alla lingua non basta ad accrescere la competenza linguistica; occorrono un’attenzione mirata ed un’azione didattica specifica, in particolare per la produzione orale” (Cornaviera 2006: 98).
E’ stato ampiamente dimostrato che l’abilità orale è quella, normalmente, più difficile da imparare. Non si ha del tempo a disposizione per riflettere, come nella produzione scritta, e la lingua è, di conseguenza, molto più spontanea e deve essere ben interiorizzata.
Svolgendosi la lezione CLIL in L2, l’output deve essere non solo adeguato dal punto di vista del contenuto, ma anche comprensibile dal punto di vista linguistico.
Innanzitutto, gli studenti devono rendersi conto che ogni momento in classe è un’occasione imperdibile per esercitare il parlato. Ogni attività svolta secondo le metodologie più moderne è basata sulla comunicazione. Anche se ci sarà sempre il ricorso alla L1, è necessario che la comunicazione avvenga il più possibile nella L2. Non deve trattarsi di una costrizione imposta dall’insegnante ma una consapevolezza che gli studenti devono acquisire, sapendo che ogni momento in cui si fa ricorso alla L1 può risultare un’occasione persa per migliorare le competenze nella L2.
L’insegnante può aiutare con esempi, può ripetere i termini e offrire strutture d’appoggio indispensabili per una corretta formulazione. Queste possono essere anche raccolte separatamente, o confluire nel glossario, anche in forma tabellare, ed essere utilizzate contestualmente per agevolare l’attività futura.
L’utilizzo di questi modi di dire può essere inserito anche all’interno della griglia di valutazione, per rendere gli studenti consapevoli del loro utilizzo.
Ciò che può risultare demotivante in una lezione CLIL è proprio la difficoltà espressiva: si avrebbero tanti pareri da esprimere – come succede spesso nella lezione di Storia dell’arte, per tentare un’interpretazione delle immagini – ma mancano i mezzi per poterlo fare. La situazione ideale viene descritta da Ricci Garotti che spiega come “il CLIL dovrebbe garantire l’annullamento della discrepanza tra ciò che il discente vorrebbe esprimere e ciò che è in grado di esprimere” (Ricci Garotti 2006: 43).
Per arrivare a ciò, Cornaviera propone di “lasciare spazio di parola ai discenti, immaginando strategie che li stimolino a partecipare attivamente, predisponendo un ambiente in cui la lingua sia usata in contesto significativo o in una dimensione esperienziale” e suggerisce a questo proposito “domande che indagano il perché, il come, alle quali non si può rispondere con un sì o un no, che richiedono uno sforzo di spiegazione, di valutazione, di opinione personale” (Cornaviera 2006: 99).
1.6. La valutazione degli apprendimenti
E’ chiaro che per il CLIL anche la questione valutazione è più complessa, dato che “deve dare informazioni sul raggiungimento degli obiettivi di apprendimento di due discipline diverse.” (Wolff, Quartapelle 2011: 92)
Come in tutti i casi di valutazione, è fondamentale che ne siano chiari, espliciti e concordati i criteri, sia per una questione di trasparenza, sia per dare agli alunni la possibilità di comprendere i giudizi. Wolff e Quartapelle sostengono che è “particolarmente importante fornire chiari criteri di valutazione, in modo che anche gli studenti possano giudicare le proprie prestazioni.“ (Wolff, Quartapelle 2011: 92)
In generale, la valutazione del contenuto disciplinare viene messa in primo piano (Wolff 2013: 23), sostenuto anche da Ricci Garotti: “[...] vengono valutate dapprima le abilità di esprimere concetti e contenuti, NON la forma linguistica.” (Ricci Garotti 2006: 43).
La valutazione è probabilmente la parte più difficile dell’insegnamento, in quanto si affida al voto numerico una molteplicità di situazioni e di variabili, con l’evidente rischio di essere non sempre rispettosi della natura cognitiva e psicologica del discente.
Un aiuto efficace può essere l’applicazione delle griglie, le quali permettono di fornire una valutazione più precisa ed equa, seguendo gli indicatori che sommano contenuto e lingua. Il concetto che il CLIL non possa accontentarsi dei metodi di valutazione „tradizionali” trova d’accordo vari studiosi. Perini suggerisce “modalità di valutazione più efficaci per un’esperienza educativa così complessa e per certi versi ricca di incognite.” (Perini 2006: 200). L’autrice distingue tra prodotto e processo, evidenziando come il secondo è percepito come “un intreccio di relazioni e di significati che determinano reazioni e legano i soggetti e il contesto di esperienza.” (Perini 2006: 200).
Anche Serragiotto torna sulla valutazione di prodotto, spiegando come sia fondamentale “considerare sia una valutazione del prodotto, nel senso di verificare le competenze e i risultati degli studenti attraverso delle prove predisposte e standardizzate, sia una valutazione del processo, in modo da osservare ed analizzare come si è arrivati a certi risultati considerando un intreccio di relazioni e di significati che determinano reazioni e legano i soggetti e il contesto di esperienza.“ (Serragiotto 2006: 183).
Wolff e Quartapelle distinguono tra valutazione sommativa e quella formativa: la prima “prende in considerazione i risultati dopo ogni fase di insegnamento e adotta prevalentemente procedure di valutazione formali“, e la seconda, che dovrebbe accompagnare la prima, “da una valutazione di tipo formativo che, sulla base di osservazioni informali, dia maggiori informazioni sui processi di apprendimento degli studenti e li renda consapevoli dei progressi fatti.” (Wolff, Quartapelle 2011: 91) La valutazione, infatti, deve rifarsi a “compiti poco guidati della vita reale che consentano di valutare delle competenze e siano adeguati alle specificità della disciplina.” (Wolff, Quartapelle 2011: 91-92)
Lucietto riprende anche le cinque regole di Johnson (1994) per la valutazione: (Lucietto 2006: 126)
1. il processo di verifica e valutazione deve essere effettuato nei gruppi. Ogni discente è testato e valutato individualmente, ma le procedure sono molto più efficaci se portate avanti nei gruppi;
2. le verifiche orali e scritte devono essere sistematiche e frequenti;
3. i discenti devono essere coinvolti direttamente nella valutazione dei livelli di rendimento, sia dei propri sia di quelli dei compagni;
4. la valutazione si deve basare su criteri oggettivi;
5. le tipologie di verifica devono essere varie (basate sul processo, sulla prestazione, e sull’utilizzo delle competenze in contesti reali).“
Dato che bisogna valutare due aspetti separati, è importante che nella griglia le voci siano elencate in modo separato e che ci siano indicatori per il contenuto e per la lingua.
Serragiotto evidenza anche l’importanza dell’autovalutazione, dato che i discenti sono protagonisti, al centro del loro apprendimento.” (Serragiotto 2006: 195).
E’ chiaro che la valutazione della lingua preoccupa molto gli alunni, i quali pensano di potersi preparare più facilmente sul contenuto che sulla lingua; pertanto, coloro con le competenze linguistiche più deboli si sentono facilmente svantaggiati dalla verifica in lingua con conseguente valutazione di questa. Lucietto parte da questa preoccupazione per incentivare le prove che assomigliano ai compiti svolti in gruppo, per motivare e sdrammatizzare il momento della verifica (Lucietto 2006: 128).
Per quanto riguarda la valutazione dei contenuti, Wolff e Quartapelle sottolineano come le conoscenze debbano essere contestualizzate, in modo che lo studente agisca come nella vita quotidiana: “In ciò entrano in gioco capacità cognitive, competenze comunicative e agire sociale, tutti elementi fondamentali dell’insegnamento CLIL di cui bisogna quindi tenere conto nella valutazione” (Wolff, Quartapelle 2011: 92). Gli autori sostengono che “lo studente deve mostrare come sa spiegare i concetti specifici della disciplina e come sa comunicare agli altri le proprie conoscenze e le proprie capacità, come sa affrontare i problemi discutendone con altri, come ottiene risultati e come li mette a disposizione di altri, etc.” e che “le procedure di valutazione devono assomigliare il più possibile a reali situazioni di applicazione.” (Wolff, Quartapelle 2011: 93).
Gli stessi autori sottolineano l’importanza di un’autovalutazione da parte degli studenti, con chiari criteri di valutazione, per poter giudicare le proprie prestazioni (Wolff, Quartapelle 2011: 91-92).
1.7. La storia dell’arte come materia CLIL
La storia dell’arte si presta da molteplici punti di vista a un apprendimento in modalità CLIL poiché la presenza costante di immagini può facilitare molto la comprensione, anche di termini specifici.
Se vediamo, in particolare, la storia dell’arte antica, ci sono molte parole specifiche derivate dal latino, che sono simili sia in tedesco che in italiano. Nel linguaggio specifico dell’arte ci sono anche molti anglicismi.
Il lavoro con le immagini si presta, inoltre, molto a un apprendimento orientato al compito e all’attività: si possono descrivere ed analizzare, ma si possono realizzare anche lavori più creativi, come dei cartelloni, brochure e presentazioni.
Anche l’esigenza di autenticità è molto facile da accontentare con la storia dell’arte, dato che questa si presta a molte sfumature che si legano alla vita quotidiana: la semplice fruizione e discussione sulle opere, la possibilità di svolgere giochi di ruolo, la stesura di critiche e di recensioni, etc., così come l’utilizzo di testi scritti e audiovisivi autentici.
L’arte offre anche molteplici occasioni per la comunicazione e si presta per gli incontri sociali e contatti tra persone. Propone, inoltre, occasioni per la rappresentazione del sé, con l’utilizzo di mezzi verbali e non-verbali20 (Eid et al. 2002: 188).
Le immagini offrono, inoltre, occasioni per attività linguistiche che si lasciano collegare con la teoria del Costruttivismo, quali l’osservazione, la percezione e il cambio di prospettiva21 (Siebert 2008: 88).
[...]
1 Burmeister si riferisce alla necessità di avere un contatto con la lingua di almeno 50%: “Immersion (von engl. immerse = eintauchen) ist die zeitaufwendigste Variante von CLIL, da die Kontaktzeit zur L2 in Kindertagesstätten bzw. Schulen über mehrere Jahre hinweg mindestens 50% ausmacht.”
2 “CLIL provides pathways to learning which complement insights now emerging from interdisciplinary resarch within the neurosciences and education.“
3 “[...] need for better linguistic and communicative competence, more relevant methodologies, and higher levels of autenticity to increase learner motivation.“
4 KMK (2013), Konzepte für den bilingualen Unterricht – Erfahrungsbericht und Vorschläge zur Weiterentwicklung, Beschluss der Kultusministerkonferenz vom 17.10.2013
5 LP 5 del 7 agosto 2006, Art 56bis, comma 2
6 “Fachlehrkräfte sollten wissen, wie Sprachlernprozesse ablaufen, wann und wie welche Sprache(n) gelernt wird (werden), in welchem Verhältnis Sprachlernen, Fachlernen und Fremdsprachenlernen zueinander stehen, wie Bilingualer Unterricht anzulegen und zu gestalten ist, wie mit Standardsituationen umzugehen ist und wie sie mit Leseverstehen, Sprachfehlern, Bewertung etc. umgehen sollen.”
7 http://www.torredibabele.com/en/Teacher_Training_and_Refresher_Courses/Seminari_di_aggiornamento/CLIL_Content_and_Language_Integrated_Learning.html (consultato il 05.09.2015)
8 “[…] weil es ihm eben nicht (nur) um Sprachvermittlung um ihrer selbst willen geht, sondern weil er den Schülerinnen und Schülern einen authentischen Anwendungsfall für fremdsprachliche Kompetenzen und einen natürlichen Raum für das Verstehen unterschiedlicher kulturbedingter fachbezogener Perspektiven bietet.”
9 KMK (2013), Konzepte für den bilingualen Unterricht – Erfahrungsbericht und Vorschläge zur Weiterentwicklung, Beschluss der Kultusministerkonferenz vom 17.10.2013
10 “Damit ergibt sich für Bilingualen Unterricht als CLIL ein Zielspektrum mit folgenden Dimensionen: fremdsprachliche Kompetenz, sachfachliche Kompetenz, interkulturelle Kompetenz, metakognitive und selbstbezogene Kompetenzen, emotional-attitudinale Effekte.”
11 “Die originäre Aufgabe des DFU ist das Sprachlernen im Fach. Denn ohne das Sprachlernen im Fach gibt es auch kein Fachlernen.”
12 “Ein systematischer Fremdsprachenerwerb kann im Bilingualen Unterricht ohnehin nicht erfolgen (dazu braucht es nach wie vor den Fremdsprachenunterricht), wohl aber können jene Teile der Fremdsprache gezielt vermittelt werden, die fachlich notwendig sind.”
13 “DFU muss demnach als sprachsensibler Fachunterricht konzipiert sein.”
14 “[…] greater understanding depends on recognizing the subtle overlap between language learning (intentional) and language acquisition (incidental). Successful language learning can be achieved when people have the opportunity to receive instruction, and at the same time experience real-life situations in which they can acquire the language more naturalistically.”
15 “Es geht dabei um das Lernen der Bildungssprache […] Das gilt für jeden Fachunterricht unabhängig davon, ob er in der Muttersprache oder der Fremdsprache […] erteilt wird.”
16 “Weitgehend besteht ein Spezifikum und damit auch eine wesentliche Leistung des Bilingualen Unterrichts darin, das Sachfachwissen in zwei Sprachen verfügbar zu machen, zum Teil sogar erst zu entwickeln.”
17 “Zum einen lässt sich unter Anlehnung an die ‘Aufgeklärte Einsprachigkeit’ argumentieren, dass eine Semantisierung schwieriger fremdsprachlicher Bedeutungselemente ohne Rückgriff auf die Erstsprache mental belastender und zeitlich ineffektiv sind. Zum Zweiten darf die Ausblendung der Muttersprache nicht zu einer emotionalen bzw. affektiven Distanzierung vom Thema des Sachfachunterrichts führen.”
18 “Zum einen wird der Wechsel in eine andere Sprache nicht als Hilfsmittel oder Aneignungsprinzip gesehen, sondern als gegenstandsgenuiner Bestandteil eines Sachfachunterrichts, der zwei Sprachen gleichermaßen in den Blick nimmt.”
19 “Und neben der Fremdsprache könnte dann auch gezielt auf die jeweilige L1 zurückgegriffen werden, etwa bei Begriffsvergleichen oder bei interkultureller Sensibilisierung gegenüber gesellschaftlich-kulturellen Unterschieden zwischen Sprachgemeinschaften bzw. Fachkulturen – was der Förderung wirklicher Bilingualität dienlich wäre.”
20 Gli autori sostengono che la lezione di arte sia molto ricca di spunti per la comunicazione: “Auch das Unterrichtsverfahren selbst kann der Kommunikationsförderung dienen. Der Kunstunterricht ist besonders reich an Kommunikationsmöglichkeiten und besonders offen für soziale Begegnungen und zwischenmenschliche Kontakte. Er vermittelt viele Möglichkeiten der Selbstdarstellung, die über den sprachlichen Bereich hinausgehen und die zu ganz neuen Beziehungen innerhalb einer Gruppe führen können.”
21 “Im Konstruktivismus spielt die Semantik der Bilder eine große Rolle: Beobachtung, Wahrnehmung, Perspektivenwechsel[…]”
- Arbeit zitieren
- Anita Ghane (Autor:in), 2016, La didattica della Storia dell'arte in lingua tedesca. Un percorso sull'arte romana in un liceo linguistico, München, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/511607
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