Mentre le altre potenze coloniali miravano allo sfruttamento dei propri possedimenti coloniali, l’Italia fascista fece una politica revisionistica (e anacronistica), provando a modificare l’assetto coloniale stabilito a Versailles e lanciando una retorica imperialista.1 Il programma di politica estera con cui il fascismo era salito al governo non rompeva del tutto con il passato dell’Italia liberale. Tuttavia già nell’ ottobre del 1922 Mussolini sosteneva che il Mediterraneo sarebbe dovuto diventare un “lago italiano”. Sino al 1925 la politica estera era stata di sostanziale continuità, però il tono e l’ordine delle priorità stavano cambiando. Mussolini stava inaugurando una politica volta all’aumento della potenza e del prestigio nazionale e in questo quadro la politica africana assumeva una nuova importanza. L’Italia del fascismo avrebbe voluto essere considerata una grande potenza al pari della Francia e dell’Inghilterra. Le colonie servivano di solito - con il loro ampliamento territoriale - al miglioramento della posizione diplomatica, economica e strategica della madrepatria, quindi per poter diventare una grande potenza bisognava furnirsi da qualche colonia.2 Dapprima il governo fascista proseguì le trattative diplomatiche gia avviate dagli ultimi governi liberali. Con la Gran Bretagna si conclusero trattative che datavano dal 1915 e dal 1919, e nel luglio del 1924 l’Italia otteneva la fertile regione dell’Oltregiuba che arrichiedava le desertiche aree della Somalia meridionale. Nel dicembre dell’anno successivo l’Italia ottenenne una rettifica dei confini della Cireneica che agguingeva al territorio italiano l’oasi Giarabub. Il vantaggio dal punto di vista territoriale era minimo, ma il ruolo simbolico di quelle “vittorie diplomatiche” non deve essere dimenticato, anche perché Mussolini le poteva presentare come successi propri. Un altro accordo avrebbe rivelato più chiaramente al mondo le mire imperialistiche d’Italia: l’accordo con la Grande Bretagna sull’Etiopia del dicembre 1925. [...] 1 N. Labanca: Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Mulino Bologna 2002, p. 137 2 Ibidem, p. 143/144
Indice
1. Continuità e cambiamento nella politica coloniale italiana
2. Propaganda e miti
3. Altri interessi: l’economia e la Chiesa cattolica
4. Verso l’aggressione all’Etiopia
5. Sintesi
1. Continuità e cambiamento nella politica coloniale italiana
Mentre le altre potenze coloniali miravano allo sfruttamento dei propri possedimenti coloniali, l’Italia fascista fece una politica revisionistica (e anacronistica), provando a modificare l’assetto coloniale stabilito a Versailles e lanciando una retorica imperialista.[1] Il programma di politica estera con cui il fascismo era salito al governo non rompeva del tutto con il passato dell’Italia liberale. Tuttavia già nell’ ottobre del 1922 Mussolini sosteneva che il Mediterraneo sarebbe dovuto diventare un “lago italiano”.
Sino al 1925 la politica estera era stata di sostanziale continuità, però il tono e l’ordine delle priorità stavano cambiando. Mussolini stava inaugurando una politica volta all’aumento della potenza e del prestigio nazionale e in questo quadro la politica africana assumeva una nuova importanza. L’Italia del fascismo avrebbe voluto essere considerata una grande potenza al pari della Francia e dell’Inghilterra. Le colonie servivano di solito - con il loro ampliamento territoriale - al miglioramento della posizione diplomatica, economica e strategica della madrepatria, quindi per poter diventare una grande potenza bisognava furnirsi da qualche colonia.[2]
Dapprima il governo fascista proseguì le trattative diplomatiche gia avviate dagli ultimi governi liberali. Con la Gran Bretagna si conclusero trattative che datavano dal 1915 e dal 1919, e nel luglio del 1924 l’Italia otteneva la fertile regione dell’Oltregiuba che arrichiedava le desertiche aree della Somalia meridionale. Nel dicembre dell’anno successivo l’Italia ottenenne una rettifica dei confini della Cireneica che agguingeva al territorio italiano l’oasi Giarabub. Il vantaggio dal punto di vista territoriale era minimo, ma il ruolo simbolico di quelle “vittorie diplomatiche” non deve essere dimenticato, anche perché Mussolini le poteva presentare come successi propri.
Un altro accordo avrebbe rivelato più chiaramente al mondo le mire imperialistiche d’Italia: l’accordo con la Grande Bretagna sull’Etiopia del dicembre 1925. Con quel documento la Grande Bretagna riconosceva all’Italia un interesse prevalente nei confronti delle regioni alto-etiopiche in cambio del riconoscimento da parte italiana dell’uso brittannico delle acque del Tana e del Nilo.[3]
Anche nelle colonie il cambiamento della politica si faceva sentire. In particolare in Tripolitania, dove gli Statuti (concessi nel 1919; carta constituzionale che aboliva la sudditanza coloniale, prevedeva una cittadinanza speciale italo-libica e garantiva diritti civili e politici) erano stati abbandonati e il governatore Giuseppe Volpi lanciò “operazioni di grande polizia” che avrebbero sconfitto la resistenza autoctona. Alla fine del 1925 il governo Mussolini poteva affermare di aver messo “ordine” in Tripolitania.[4]
In Somalia fu lanciata una politica di “riconquista”, anche se, in realtà, si trattò di una prima conquista, perché l’Italia non aveva mai avuto tutte le regioni sotto controllo. Il quadrunviro Cesare Maria De Vecchi, inviato nel 1923, fu il protagonista di quella politica di violenza e mancanza di comprensione della realtà locale. Rafforzò la componente bianca della colonia, creò un altro centro di colonozzazione italiana, basato su ampie concessioni di terre e comminciò il disarmamento delle popolazioni somale. Dopo la debole amministrazione dell’età liberale attestata nelle principali città e sulla costa, l’amministrazione fascista di De Vecchi adottava una linea “interventista” contro i capi tradizionali e la popolazione dell’interno. A quel fine le truppe di stanza in Somalia furono rafforzate (da 2.500 a 12.000 uomini), e così divenne possibile l’attacco al Sultano di Obbia nel 1925. Nel giugno 1928, quando De Vecchi lasciò la colonia, la “riconquista” era stata quasi completata, cioè l’Italia aveva un controllo più diretto e diffuso sul territorio somalo.[5]
In quei primi anni del governo fascisto Mussolini aveva introdotto un cambiamento di “stile” seguito da azioni concrete. L’Italia fascista fece uso delle forze armate in maniera più sistematica e generale di quanto fosse stato fatto in precedenza dall’Italia liberale e anche di quanto stavano facendo negli stessi anni le altre potenze. Anche se per esempio il revisionismo rispetto a Versailles e il fatto che questo fu più retorica pubblica che azione diplomatica fanno pensare che la politica era stata alla fine piuttosto continua, non era così.
L’azione coloniale dei primi governi Mussolini rappresentava una miscela di continuità e novità. Poi la prima venne sostituita dalla seconda man mano che la priorità data al tema coloniale e la preferenza per le soluzioni militari ebbero il sopravvento. Perché proprio l’ importanza data alla questione coloniale e il significato strategico che le proiezione mediterranea e africana avrebbe avuto sempre di più costituirono un elemento di discontinuità. Se per i governi liberali la politica coloniale era soltanto un mezzo per essere riconosciuti come grande potenza europea, la potenza coloniale per Mussolini rappresentava un fine strategico in sé. “Se Crispi andava in Africa per dimostrare di essere una grande potenza, Mussolini vi andò perché riteneva di essere una grande potenza”.[6]
2. Propaganda e miti
Un altro elemento nuovo del colonialismo fascista rispetto a quello liberale fu la sua dimensione retorica e propagandistica di massa. Alla politica coloniale decisa in maniera segreta il fascismo aggiunse una dimensione pubblica e una mobilitazione delle coscienze nel quadro del suo populismo reazionario. Per questo aspetto l’avvento del fascimo rappresentò una vera cesura con il passato.[7]
Nel primo dopoguerra e agli inizi degli anni Venti l’Africa non era presente agli italiani molto di piu di quanto non lo fosse nell’immediato anteguerra. Al centro delle preoccupazioni dell’opinione pubblica c’erano altri temi: per esempio, le gravi questioni sociali ed economiche. Però la “nuova politica” del regime, che cercò di eliminare la critica venendo dall’antifascismo e dall’anticolonialismo, diede molto enfasi ai discorsi di Mussolini.[8] La stampa coloniale, riorganizzata nel 1927, garantì ad esempio la massima diffusione alle parole da lui pronunciate da Tripoli nell’aprile 1926, sulla necessità per l’Italia dell’espansione nel Mediterraneo. Tutte le strutture del partito e di uno Stato sempre più totalitario vennero mobilitate per attirare la maggiore attenzione possibile sul colonialismo italiano in Africa. Così fu realizzata una centralizzazione e una omogeneizzazione delle informazioni. Nel 1926 fu introdotta una “Giornata coloniale”, organizzata dal ministero coloniale una volta all’anno.[9]
[...]
[1] N. Labanca: Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Mulino Bologna 2002, p. 137
[2] Ibidem, p. 143/144
[3] E. Collotti: Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939, RCS Libri, Milano 2000, p. 108
[4] N. Labanca: Oltremare, p. 148
[5] E. Collotti: Fascismo, p. 120
[6] N. Labanca: Oltremare, p. 152
[7] N. Labanca: Oltremare, p. 242
[8] Ibidem, p. 153
[9] E. Collotti, p. 114
- Quote paper
- Julia C. M. Willke (Author), 2004, La politica coloniale dell'Italia fascista e l'aggressione all'Etiopia (1922-36), Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/36960
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