La tesi riguarda uno degli storici più importanti della Scozzia del Settecento, William Robertson. Nel suo lavoro breve, Philippe Wesquet cerca di illustrare qual'è l'importanza della storia e di uno storico come William Robertson. Il lavoro è centrato sulle opere principali di Robertson e sul significato per il loro tempo e il mondo di oggi. Wesquet si assume il difficile compito di analizzare in una stessa opera la caduta dell'Impero romano, la nascita del mondo medievale, l'espansione europea e il culmine dell'Illuminismo nella rivoluzione francese per mostrare quali sono le caratteristiche principali della storia europea. Egli evidenzia un fattore meno considerato nella storia che riguarda la sparizione del mitraismo, culto iniziatico dell'Impero romano alla fine dell'esistenza dell'Impero romano d'Occidente e la riapparenza sulla scenza della storia della massoneria nell'Europa del Settecento. La tesi "Alcune considerazioni sull'opera storica di William Robertson" cerca un collegamento tra entrambi i periodi, e mette alla luce uno storico illuminato che venne riscoperto negli anni 60.
Inhalt
Introduzione
Primo Capitolo
La storia e l’Illuminismo. Un amore per il progresso dell’umanità.
Secondo Capitolo:
La vita di William Robertson (1721-1793)
Da presbiteriano alla carica di rettore dell’Università di Edimburgo.
Terzo Capitolo
Considerazioni sulle opere di Robertson
The Situation of the World at Christ's Appearance (1755)
History of Scotland (1759)
History of the Reign of Charles V, with a View on the progress of the society in Europe from the subversion of the Roman Empire to the reign of Charles V (1769)
History of America (1777)
Disquisition on the Knowledge which the Ancients had of India (1791)
Quarto Capitolo:
Una stessa epoca vista in modi diversi.
Versioni complementari della fine dell’Impero Romano e della nascita dei regni barbarici.
Conclusioni
Introduzione
Secondo le ricerche scientifiche e grazie al satellite Planck[1], sappiamo che l’universo ha un’età di 13,82 miliardi di anni, mentre per il 95 % dell’esistenza umana, gli uomini erano selvaggi[2]. In altre parole, considerando questi due estremi, l’esistenza umana, che è di circa 50000 anni, è solo un briciolo dell’età dell’universo. Sono dati che gli uomini si possono immaginare solo difficilmente, ma possiamo concludere che siamo solo all’inizio della civiltà. La civiltà viene generalmente definita come “complesso delle strutture e degli sviluppi sociali, politici, economici, culturali che caratterizzano la società umana”[3]. Essendo molto generica come definizione, riferiamoci a Sciolla che nel suo Sociologia dei processi culturali sovrappone alla civiltà l’opera della cultura, come coltivazione dell’animo umano, perché riguarda ciò che rende colti gli uomini dallo stato d’incolti. L'idea di coltivare l'animo è alla base di ciò che nel Rinascimento viene chiamato humanitas, che a distanza di due secoli entra a fare parte del vocabolario illuminista, che lo arricchisce di un richiamo alla razionalità e una guerra al pregiudizio e all'errore.[4] Per essere ancora più precisi, specifichiamo che la superstizione e i pregiudizi sono entrambi dovuti all’“ignoranza”, la prima essendo l’attribuzione a cause soprannaturali di ciò che si può spiegare razionalmente, mentre la seconda è un’idea errata e anteriore alla diretta conoscenza di fatti o persone. L’avanzamento e il progresso della scienza contribuiscono dunque al cancellare l’ignoranza con la spiegazione razionale di fenomeni soprannaturali.
Questi temi, come la civiltà, l'umanesimo, la superstizione sono al centro del presente lavoro incentrato sulla figura di William Robertson, uno degli storici eminenti del periodo dell’Illuminismo.
Il concetto di tolleranza entrò a far parte del portato culturale europeo solo a partire dall'illuminismo dal momento che nella Bibbia, come ha recentemente sostenuto Uriel Simon, è assente del tutto «l’accettazione volontaria, per quanto penosa, dell’altro, e questo malgrado la sua diversità e repulsione»[5]. Benché l'illuminismo abbia portato nel pubblico dibattito numerosi argomenti in favore della tolleranza la strada da percorrere è ancora lunga non solo per i paesi lontani dall'illuminismo europeo ma per la stessa Europa. Basti citare l'ultimo secolo e le sue terribili due guerre mondiali come monito a coloro che ritengono la tolleranza un valore scontato e non da riaffermare sempre.[6]
Se il concetto di tolleranza è frutto dell'illuminismo non bisogna oscurare le radici profonde che hanno permesso alla tolleranza di radicarsi ed espandersi in Europa. In particolare nell'anno del millesettecentesimo anniversario dell’editto di Milano[7], emanato nel 313 d.C. dall’imperatore romano Costantino, è particolarmente suggestivo e fruttuoso l'accostamento tra la modernità degli illuministi con il periodo tardo antico dell'impero romano. Nonostante non si chiamasse editto di tolleranza, tale editto è comunque un atto di tolleranza per la libertà concessa ai cristiani e a tutti di professare il proprio credo.
Considerando il periodo della fine dell’Impero romano occidentale, si nota che l’ascesa del cristianesimo non fu del tutto immediata, ma era in concorrenza con altri culti, di cui il più rilevante era il mitraismo con seguaci in tutti l’Impero, sia nelle città che nell’esercito, ma non dimentichiamo la sconfitta dell’arianesimo che negava la natura divina del Cristo. L’impero romano tollerava e incitava culti diversi, mentre i cittadini dell’impero dovevano comunque adeguarsi al culto dell’imperatore. I cristiani, essendo convinti di aver ereditato l’unica vera rivelazione dagli ebrei, non volevano sottomettersi a tale condizione e venivano di conseguenza perseguitati apertamente e spesso per ordine dello stesso imperatore. Questa situazione cambiò radicalmente con l’imperatore Costantino che concesse la libertà di culto ai cristiani, avendo posti le basi per la futura affermaze del cristianesimo. Costantino è anche l'imperatore che cercò di puntellare la cadente struttura dell'impero con una decisione sorprendente: dividere in due parti l'impero e in seguito spostare la capitale ad oriente. La divisione era spiegabile alla luce della doppia minaccia che incombeva sulla civiltà romana: a nord il limes era divenuto sempre più indifendibile dalle continue incursioni delle numerose popolazioni barbariche, ad est un nemico formidabile, i Parti, non avevano mai cessato di sfidare gli eserciti romani infliggendo alla macchina bellica pressoché invincibile dei romani pesanti sconfitte (Adrianopoli nel 378 era la sconfitta più importante). Luttwak spiega in maniera eccellente nel suo The Grand Strategy of the Roman Empire[8] che una differenza sostanziale rimaneva tra le due minacce: ad est le popolazioni come i Parti avevano sviluppato una cultura complessa che poteva adattare le proprie tradizioni al portato della civiltà romana, a nord, invece, era l'elemento bellico a prevalere e quindi i nuovi arrivati avevano come obiettivo la distruzione di qualsiasi elemento riconducibile alla storia romana.
Costantino, avendo dunque trasferito la capitale in Oriente, aveva posto le basi dell'abbandono dell'occidente romano alle invasioni dei barbari che iniziarono ad accettare elementi della civiltà romana grazie al cristianesimo che unificò i popoli d’Europa fino alla Riforma. Con l’avvento del Rinascimento[9] e la caduta di Costantinopoli, la cultura romana tornava inaspettatamente in Occidente, anche se non era mai sparita completamente, con la presenza della lingua romana usata principalmente dalla Chiesa e l’emulazione dell’Impero romano con il Sacro Impero romano della nazione tedesca.
Il lavoro è diviso in quattro capitoli, di cui il primo si occupa principalmente della storia, per accennare in maniera semplice come è giunta allo stato di scienza. Il primo capitolo serve soprattutto per spiegare cosa significa la storia, di che cosa si occupa, quali sono le sue caratteristiche, la sua influenza nel mondo odierno, i limiti e le metodologie di questa disciplina.
Nel primo capitolo si propone un confronto tra la maniera di scrivere storia che avevano illuministi come Robertson e Voltaire, parte di una medesima corrente, ma con distinzioni non irrilevanti nell'intendere la storia dell’umanità.
Il secondo capitolo cerca di illustrare in maniera breve la vita di Robertson, quale fu il suo percorso partendo da semplice presbiteriano fino a diventare storico ufficiale della Scozia, rettore dell’Università di Edimburgo e figura preminente dell’Illuminismo.
Nel terzo capitolo, si presenterà una selezione di alcune parti delle sue opere, per illustrare il suo stile e i temi principali dei quali si occupò. Nel 1755 egli tenne un sermone sullo stato del mondo al momento della comparsa di Gesù Cristo, elogiando nei più alti toni la sua venuta[10] [11] e la vittoria del cristianesimo sul mondo antico segnato dalla corruzione universale, dalla schiavitù, dalla bigotteria e dalla superstizione. Quattro anni più tardi, nel 1759, Robertson pubblicò la Storia della Scozian, con la quale egli cercò di accompagnare la sua terra alla soluzione dei conflitti interni e per toglierla dallo condizione di subalternità in cui versava per renderla protagonista sulla scena mondiale. Nel 1769 Robertson terminava il suo capolavoro: la Storia del Regno di Carlo V[12] [13] [14], con una premessa sul progresso della civiltà dalla caduta dell’Impero romano fino a Carlo V. Come si vedrà, con questo testo, Robertson conquistò la repubblica delle lettere dell’Illuminismo. Nel 1777 usciva la Storia dell’American, capolavoro dal punto di vista storiografico e antropologico dell'epoca. L’ultima opera del 1791, intitolata la Disquisizione storica sul sapere degli Antichi sull’India14, ci fornisce ulteriori informazioni fondamentali per comprendere la traiettoria storiografica intrapresa da Robertson.
Se il terzo capitolo serve per mostrare come Robertson intendeva la storia, facendola diventare una storia mondiale, e qual era lo spirito con il quale si accostava alla storiografia, il quarto capitolo è dedicato interamente alla caduta dell’Impero romano occidentale, mostrando in maniera semplice e attraverso dimostrazioni che i problemi dell’antichità non fossero ancora stati risolti.
Il quarto capitolo è dedicato interamente alla caduta dell’Impero romano occidentale, perché confrontando le cinque opere di Robertson appena citate, si nota che l'autore scozzese dedicò sempre grande attenzione alla fine dell'impero romano anche in opere dove i romani sembravano non far parte del quadro. Inoltre pur essendo un vero fil rouge robertsoniano, la fine della civiltà romana è sempre impiegata in una chiave di lettura differente dall'illuminista scozzese.
Conviene segnalare che è impossibile approfondire in maniera completa l’opera storica di Robertson, per la vastità dei temi ai quali si interessa e per la crescita esponenziale degli studi storici dai suoi tempi fino ai giorni nostri.
Primo capitolo: La storia e l’Illuminismo. Un amore per il progresso dell’umanità.
Parlare di storia è come parlare del mondo: non esiste la possibilità di vedere tutto con i propri occhi. Quando si parla di storia, si tratta in più di vedere la realtà del passato, di conseguenza l’impossibilità di afferrare l’intera realtà cresce in maniera esponenziale perché portata indietro non solo nello spazio ma anche nel tempo. Uno degli storici più grandi del Novecento, tra i fondatori della famosa scuola delle Annales, Marc Bloch affermava che:
Qualunque conoscenza dell’umanità, quale che ne sia, nel tempo, il punto di applicazione, attingerà sempre alle testimonianze altrui per una gran parte della sua sostanza.[15]
Bloch non si riferisce solo alla storia ma all’intera conoscenza dell’umanità, che è dunque realizzabile per una gran parte solo con le testimonianze di persone terze. In altre parole significa che qualsiasi conoscenza è una costruzione mediante il materiale lasciato da altri testimoni, perché una persona non può vedere tutto da solo.
Queste testimonianze sono chiamate fonti e possono essere costituite da un numero quasi infinito di documenti, oggetti, e qualsivoglia segno lasciato dagli uomini nella storia. Quando si considerano le fonti è necessario distinguerne i diversi tipi. Esistono quelle intenzionali, come atti ufficiali, bollettini e gazzette o cronache del tempo, e quelle non intenzionali, come possono essere uno scambio di lettere, un diario o una semplice agenda, ovvero materiale prodotto non con l’intenzione di lasciare una traccia della propria epoca alle generazioni future.
Il discorso sulle fonti è molto complesso come appena anticipato perché quasi tutto è una fonte che può servire per una ricostruzione del passato. Non è soltanto infinito il numero di fonti che esistono per la storia, ma è anche molto complessa l’interpretazione di esse. Una candela trovata in una stanza abbandonata può avere significati diversi. Poteva essere che il suo proprietario la abbia usata per una cena romantica, oppure in caso di emergenza qualora fosse saltata la corrente. Altre ipotesi possono essere avanzate nel caso della candela: magari serviva per sigillare lettere oppure per celebrare un compleanno? Da questo esempio banale risulta chiaro che l’uso di un semplice oggetto può essere interpretato in diverse maniere. Altri oggetti, come scarpe, vestiti o pentole possono indicare qualcosa in relazione allo sviluppo di una civiltà, sui materiali usati o ancora lo stato di benessere di una persona. Aumentando questa componente di difficile identificazione di una fonte, la ricostruzione è davvero complessa. La ricerca dello storico può anche essere ostacolata o resa impossibile qualora interi archivi o biblioteche siano stati bruciati, oppure se documenti sono stati nascosti o falsificati. Quando ci occupiamo di società che hanno il segreto[16] come parte essenziale della loro esistenza, come la massoneria («uno dei capitoli più complicati e intriganti della vicenda socio-culturale del continente»[17] ), il lavoro dello storico è ancora più complesso, ma non per questo meno affascinante.
Una cosa è certa e anche se evidente è bene sottolinearla fin dall’inizio di ogni ricerca storica: la storia è una ricostruzione del passato, non la ricostruzione del passato. Più si risale nel tempo, più diventa complessa e incompleta la ricostruzione. Inoltre ad un numero pressoché infinito di fonti si aggiunge il problema rilevante di individuare i fatti storici al centro della narrazione dello storico.
Bloch offre una preziosa analisi sulla natura delle fonti e dei fatti storici:
la varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che l'uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui(...).
'opera d'una società, che rimodella secondo i suoi bisogni il suolo su cui vive, è, tutti lo avvertono istintivamente, un fatto eminentemente storico.[18]
Secondo tale definizione, un fatto storico è dunque tutto ciò che è legato al rapporto tra gli esseri umani che cambiano il suolo dove decidono di stabilirsi secondo le loro esigenze. La storia di conseguenza non è l'elenco di una serie di eventi o una cronaca più o meno attentamente redatta, piuttosto essa comprende tutte le scienze perché il suo oggetto di studio è la società umana tout court}[19]
Quando si scrive la storia dei romani per esempio, si prende in considerazione tutto della loro cultura: dal modo di produrre cibo, alla costruzione delle case, dalle tecniche belliche alla loro perizia nello scrivere le leggi, e così via per tutti i campi dell'azione umana.
Nel Settecento, lo studio della storia veniva considerato come una via all’erudizione, strumento essenziale per il miglioramento della mente.[20] Il sapere storico era visto come la precondizione del progresso della civiltà, fondamento dello sviluppo delle scienze, perché permetteva alle generazioni future di incrementare le loro condizioni a partire dallo studio della storia delle generazioni precedenti.
In più lo studio della storia per la cultura illuministica europea contribuiva a ciò che si può chiamare lo sviluppo dell’immaginazione e dell’intelletto. Il fine ultimo sarebbe l’insegnamento alla virtù come era già stato teorizzato prima dagli storici romani, come Tito Livio e Svetonio, e poi era stato ripreso dagli umanisti quali gli italiani Machiavelli e Guicciardini.[21]
Il compito dello storico consiste nello spiegare le cause e le ragioni profonde per meglio comprendere gli eventi passati. L'arduo compito di ricostruire gli eventi del passato non dà allo storico nessuna licenza di emettere sentenze sul comportamento di altri uomini come ricordava Bloch che richiamava lo storico al valore dell’imparzialità:
“Ma esiste dunque un problema dell'imparzialità? ... Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Essi hanno una radice comune, che è l'onesta sottomissione alla verità.(...) Viene un momento, però, in cui le loro strade divergono. Quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito è concluso. Al giudice tocca ancora emettere la sentenza" .[22]
È importante precisare che lo storico si situa in un campo diverso rispetto a quello del giudice: mentre il primo «come ogni studioso, [...] sceglie e distingue. In una parola, analizza»[23], il secondo deve «emettere la sentenza». In altre parole, lo storico spiega ma non deve giudicare, perchè non fa parte del suo compito. D’altronde, mettendo lo storico sullo stesso piano del giudice, Bloch ne mostra anche l’importanza, perché così come il giudice si trova in una posizione superiore rispetto all’intera società avendo la facoltà di emettere delle sentenze e decidendo della sorte degli individui, lo storico è altrettanto superiore o meglio estraneo all’intera civiltà perché si occupa della sorte di tutti gli individui. Perciò, lo storico essendo in una qualche maniera superiore alla complessità della società civile, la storia va di conseguenza “dall’alto verso il basso”.[24] Per Hegel, la storia ha anche degli attributi divini, essendo il giudice supremo: “L’histoire selon Hegel est le juge suprême. Elle a les attributs de Dieu sans en avoir les exigences morales”.[25] Già nell’Illuminismo si cercava nella storia un’investigazione nella mente divina: “From this it follows that an investigation of human history is also an investigation into the mind of God”.[26]
Lo storico non è però estraneo alla civiltà in cui vive, e non sempre il suo lavoro riguarda la ricostruzione del passato. Può anche consistere nella costruzione del presente o del futuro, basti pensare al ruolo centrale avuto dagli storici nella costruzione delle identità negli Stati-nazione moderni nel corso dell'Ottocento. La consapevolezza di rischiare la proiezione dei propri criteri su epoche passate era ben viva già ai tempi di Voltaire che considerava la storia come un genere letterario per cui venne rimproverato duramente da William Robertson che sottolineò l’importanza di curare la citazioni delle fonti fino ai minimi dettagli, considerando la storia una materia scientifica con regole precise.[27]
Nel suo studio dell'Illuminismo scozzese Broadie sottolinea l’importanza e l’esclusività della storia per la sua strettissima associazione se non assoluta identificazione con la realtà. L’occuparsi della realtà distanzia lo storico dal filosofo: a differenza del filosofo, che descrive le persone in maniera astratta, lo storico si occupa di persone vere:
Unlike the philosopher who describes people only abstractly and does not attend to us in our uniqueness, the historian writes about real flesh and blood people.[28]
Come è già stato anticipato prima, il periodo principale al centro di questo lavoro è l’Illuminismo. Prima di passare a definirlo, non sarà superfluo dare le coordinate temporali di questo periodo e i modelli politici ai quali ricorrevano i maggiori pensatori del tempo.
L'Illuminismo si può far coincidere con il secolo che intercorre tra la Rivoluzione inglese del 1688 e quella francese del 1789. In questo secolo il modello di riferimento in ambito politico era quello offerto dalla classicità greco-romana. Jean-Jacques Rousseau ben esprimeva questo debito verso gli antichi quando esclamava: “je me croyais Grec ou Romain“.[29]
Il riferimento ai romani e alle loro istituzioni non era però l'unica via percorribile nell'ambito del pensiero politico del tempo come ben dimostra la vicenda straordinaria di Anacharsis Cloots e il sogno dell’Illuminismo: la nascita di una Repubblica del genere umano.
Jean-Baptiste du Val-de-Grâce, barone di Cloots, nato nel 1755, presso Clèves. Esso sognava «un’umanità illuminata e riunita che farebbe scomparire le frontiere tra le nazioni in una Repubblica del genere umano». Questa sua visione era una visione di un genere umano unico e indivisibile “sovrano di una repubblica che ingloba l’umanità intera”. Esso cercava anche di farsi un nome nella Repubblica delle lettere, che si situasse al di là delle divisioni religiose e delle frontiere statali. Purtroppo, il suo sogno di una repubblica del genere umano che comprendesse l’umanità intera, era in contrasto con il “'patriottismo basato sullo Stato-nazione rivoluzionario” e in effetti il sogno di una repubblica mondiale veniva spezzato con la condanna a morte nell’anno II[30].
A caratterizzare in modo unico il secolo dei Lumi è la coscienza da parte degli intellettuali e filosofi del tempo di appartenere a tale movimento. Tale coscienza emerge con chiarezza nel riferimento continuo ad alcune figure del mondo intellettuale europeo del tempo come Isaac Newton e John Locke.
Il primo con i Principia, pubblicati nel 1687, cambiò radicalmente il mondo della scienza e lasciò il segno per più di un secolo. Newton aveva così impressionato e dominato la scena del suo periodo e dei suoi successori, che tutti cercavano di imitarlo nel proprio campo. La scoperta della gravità da parte di Newton aveva una valenza universale: «The knowledge won by Newton is plainly universal in scope, for every body in the universe is subject to this law».[31] L’articolo “Newtonisme” apparso nel Dictionnaire des Lumières mostra chiaramente come nessun altra scoperta avesse avuto una eco così ampia come quelle dello scienziato inglese: chacun veut être le Newton du monde moral, on veut mettre de l'attraction dans les plantes ou dans l'histoire des hommes pour le meilleur et pour le pire, la grande figure de Newton domine la pensée scientifique du XVIIIe siècle. Les Principia parus en 1687, ont fait et transformé profondément la culture et la science.[32]
I Principia avevano dunque trasformato profondamente la cultura e la scienza del suo tempo. Guercio precisa che le opere newtoninane (in primo luogo i Principia) - lette direttamente o semplicemente orecchiate - costituirono per la cultura settecentesca un punto di riferimento obbligato e indussero ad estendere il modello conoscitivo che in esse era stato messo a punto ai diversi campi del sapere.[33]
Mentre sul piano scientifico, l’esempio da seguire era Newton, sul piano politico, il periodo tra la Rivoluzione Gloriosa e il Congresso di Vienna del 1815, era segnato da sette guerre tra la Francia e l’Inghilterra[34], di cui la vittoria del 1763, conclusa con la pace di Parigi, significava l’espansione massima e il consolidamento dell’impero britannico come prima potenza mondiale.[35]
Per ritornare alla nascita dell’Illuminismo, Guerci la colloca negli anni tra le opere di Newton[36] e Lo>A voler essere drastici, potremmo dire che l'illuminismo nasce tra il 1687, anno di pubblicazione dei Principia di Newton, e il 1690, anno di pubblicazione del Saggio sull'intelletto dell'uomo di Locke. Benché la lezione newtoniana e lockiana non s'affermasse subito dappertutto, l'apparizione di quelle due opere segnò una svolta nella storia del pensiero europeo: le cose non furono più come prima.[37]
Aggiungiamo che in quegli anni, si svolge la Gloriosa Rivoluzione che avrà tra i suoi più grandi lasciti la “Legge sulla Tolleranza”, generalmente considerata come “una delle pietre miliari nella lotta per la libertà religiosa“[38]. Tale legge segna lo spartiacque tra i due secoli precedenti, caratterizzati dall’uso estensivo della pena di morte per eresia e dalle “incarcerazioni”, e il diciottesimo secolo, l’età dell’Illuminismo caratterizzata dalla tolleranza e dalla lotta alla superstizione, al fanatismo e al bigottismo.[39]
In questa lotta condotta da pensatori e filosofi dell'importanza di Spinoza e Locke, la Chiesa era considerata come l'avversario principale:
The Church was systematically intolerant and was therefore also systematically opposed to Enlightenment. ... The historic mission of the Church, as making a claim on all souls, was seen as imperialism without bounds. It was a small part of humanity that believed itself to have the God-given role of approppriating for itself the whole of humanity, and therefore to have the God-given sanction to annihilate whatever stood in its path.[40]
Nonostante ciò, non va dimenticato che il cristianesimo non era del tutto assente nell’Illuminismo, anzi non è fuori luogo parlare di un Illuminismo cristiano alla ricerca di una coesistenza del pensiero illuministico con la tradizione della chiesa. Come vedremo nel corso di questo lavoro, Robertson fu esemplare nell'elogiare il cristianesimo e allo stesso tempo battersi per i valori umanistici dell’Illuminismo.
La Legge sulla Tolleranza e la scoperta della legge della gravità da parte di Newton costituiscono i nuovi poli d'orientamento per un orizzonte che escludeva del tutto la rilevanza del divino nelle azioni umane:
L'Illuminismo sceglie risolutamente l'al di qua. Il suo orizzonte è mondano e terreno. Non più da Dio all'uomo, bensì dall'uomo all'uomo, o anche dall'uomo a Dio, ma sempre con la meditazione dell'uomo, il quale appare ormai "nuovo centro d'interesse" e "sede di tutti i valori" (G.Gusdorf), I grandi pensatori del Seicento meditavano su Dio... Come hanno insegnato Newton e Locke, bisogna concentrarsi sul mondo dei fenomeni, rinunciando a inabissarsi nelle sterili speculazioni circa inafferrabili sostanze ed essenze.[41]
Quest’ultima affermazione è comunque da relativizzare, visto l’esempio precedente dell’Illuminismo scozzese che considerò lo studio della storia umana anche come studio della mente divina.
La centralità dell'uomo nella storia era stata affermata già con l’umanesimo del Quattrocento, che aveva portato alla riscoperta della cultura greca:
Dal punto di vista dei teorici della ricezione, il Rinascimento ha contribuito alla creazione dell'antichità almeno nella stessa misura in cui l'antichità ha contribuito alla creazione del Rinascimento. [42]
Mentre il Rinascimento aveva dunque contribuito alla rinascita dell’epoca antica, l’Illuminismo invece contribuì alla creazione di una cultura nuova e con la nascita degli Stati Uniti il mondo politico cambiò radicalmente.
Gli uomini del Settecento erano consapevoli di vivere un’epoca nuova della quale si sarebbe parlato in futuro nei termini coi quali la descrivevano loro:
A parlare di "secolo dei lumi” o "età dei lumi”, di "secolo illuminato” o "età illuminata", furono gli stessi contemporanei. Per la prima volta nella storia siamo di fronte ad un'età che definisce se stessa "come entità specifica, dotata di volontà propria e tendente alla realizzazione di obiettivi chiaramente formulati(R. Mortier) [43]
In seguito un’ottima descrizione di cos’era il Settecento nel suo complesso:
“Il diciottesimo secolo, come è stato pertinentemente osservato da Alphonse Dupront, ci appare propriamente come un secolo di letteratura: epoca dei philosophes, secolo dei Lumi, regno della Repubblica delle Lettere. I “Lumi” sono soprattutto idee, e idee messe in cicolazione attraverso i testi scritti, meglio ancora attraverso i testi stampati, attraverso i libri, gli opuscoli, i giornali. Circolazione sempre più intensa dei testi a stampa, ma al tempo stesso tutt’una rete di relazioni sociali tra gli spiriti illuminati che si consolida via via. I luoghi di incontro sono sempre più numerosi non solo nelle capitali, ma anche nelle città di provincia: logge massoniche, società scientifiche, salotti, teatri, eccetera.
Unità della cultura che si riferisce a una comunità di idee, ma anche unità di “buone maniere” proprie alle “persone illuminate” che hanno in comune una certa educazione (dovuta in particolare ai collegi, il cui insegnamento è continuamente criticato dalle élites, ma che assicura loro l’accesso alla cultura classica), la conoscenza delle lingue, in particolare del francese, il vestire con una certa eleganza (opposta spesso, per esempio, in Polonia, ai costumi tradizionali della nobiltà, e ai grossolani abiti popolari). Abiti maschili, vezzo femminili: si trovano ancora nei musei bambole inviate da Parigi verso tutte le capitali europee, i cui vestiti miniaturizzati permettevano alle signore eleganti di seguire l’ultima moda.
Queste reti specifiche di circolazione delle idee, dei costumi e delle persone formano altrettanto condizioni necessarie al cosmopolitismo.”
In più, nel Settecento nasce anche l’opinione pubblica che si affermò addirittura come potenza culturale.[44] In tale opinione pubblica, i testi di Robertson si imposero come lettura essenziale. L’élite della seconda metà del Settecento era alla conoscenza degli scritti storici di Robertson: “Benjamin Franklin, Thomas Jefferson, John Adams, Alexander Hamilton, Benjamin Rush and Nathaniel Carter”.
Non stupisce che un'epoca dove gli intellettuali avevano una chiara coscienza della discontinuità con la mentalità dei secoli precedenti potesse sviluppare una nuova storiografia nella quale il corso degli eventi umani non era in alcun modo riconducibile ad un piano divino..[45] Come ha ben sintetizzato Paul Hazard l'avvento di questa nuova storiografia, espressa magistralmente da Voltaire, ebbe come effetto un cambiamento nel modo di pensare della maggioranza delle persone: «La majorité des Français pensait comme Bossuet; tout d’un coup, les Français pensent comme Voltaire: c’est une révolution»[46]. Tale cambiamento diffuso di mentalità non poteva rimanere senza conseguenze e portò, secondo la ricostruzione del grande intellettuale Alexis de Tocqueville, alla Rivoluzione francese.[47] Tocqueville considerava la filosofia del Settecento come una dottrina anticlericale tout court non considerando in modo adeguato la peculiarità dell'illuminismo scozzese nel quale un chierico come William Robertson ebbe un ruolo fondamentale in quel circolo di amici e intellettuali interessati al "progresso della società".[48] Infatti lo stesso Robertson, pur stimando le opere storiche redatte da Voltaire, non si esimeva dall'avanzare critiche alla modalità con la quale l'intellettuale francese trattava la presenza degli ebrei in seno ai regni cristiani in modo sprezzante.[49]
Dopo aver messo in risalto come Robertson, pur appartenendo al movimento illuministico, si distinguesse dalle posizioni voltairiane in merito alla storia, non sarà inutile presentare i principi fondativi del metodo storiografico adottato nelle opere scritte dallo storico scozzese.
Robertson definisce la storia come strumento di istruzione per i re e per i popoli ma è ben consapevole che per nessuno studioso, per quanto preparato e versato nelle numerose discipline necessarie per scrivere di storia, possa pretendere di offrire una storia universale.[50] Di fronte all'impossibilità di abbracciare in un'unica narrazione la storia delle diverse comunità umane sparse nei diversi continenti, Robertson non demorde e invita ad occuparsi della storia del proprio paese e limitarsi alle relazioni di questo con i regni vicini. In questo Robertson non intende continuare il tentativo di comporre una bibliografia universale alla stregua di Conrad Gesner e le sue due monumentali opere come la Bibliotheca Universalis (1545) e le Pandectae (1548-9).[51]
La maggior difficoltà da sormontare per Robertson è il severo scrutinio di fonti che spesso per quanto riguarda la storia della Scozia si perdono in leggende popolari o sono esclusivamente latine per i primi secoli.[52] Il caso della Scozia non era isolato ma concerneva anche gli Stati Uniti e in generale tutti i popoli che non potrebbero scrivere della loro storia se non per un periodo molto ridotto se non venissero prese in considerazione, in maniera critica e scientifica, anche fonti come le tradizioni e le leggende antiche.[53]
Per concludere questo capitolo dedicato al rapporto tra storia e Illuminismo, pare opportuno riportare la finalità con la quale Robertson scrisse i suoi numerosi lavori storici come storia dello sviluppo della mente umana:
In order to complete the history of the human mind, and attaint to a perfect knowledge of its nature and operations, we must contemplate man in all those various situations wherein he has been placed. [54]
[...]
[1] http://www.satellite-planck.it/content/view/92/!/ , sito consultato il 1 aprile 2013, alle ore 14; per ulteriori approfondimenti sulla missione del satellite Planck, si rimanda a: N. Mandolesi, F. Villa, L. Valenziano, The Planck Satellite, in: Adv. Space Res., Vol. 30 2002, pp. 2123-2128.
[2] V.G. Childe, Prime Forme di Società, in: Storia della tecnologia, p. 44.
[3] Lo Zingarelli minore, Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna 2007, p. 240.
[4] L. Sciolla, Sociologia dei processi culturali, Mulino, Bologna 2007, pp. 15-17.
[5] U. Simon, II concetto di tolleranza ha un fondamento nella Bibbia?, in: La Rassegna Mensile di Israel, voi. 63, 1997, pp. 107-120; Uriel Simon è professore di storia della ricerca ebraica all’Università Bar Ilan in Israele; http://www.jewishpub.org/author.php?id=64.
[6] Di recente, il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in occasione della riunione dell’Alleanza delle civiltà a Vienna, ha invitato i leader mondiali a promuovere la tolleranza, riconoscendo l’importanza del dialogo interculturale e interreligioso per la tolleranza e la forza della collaborazione per risolvere conflitti. B. Ki-moon, in: Vienna Declaration on the Alliance of civilizations, 27 febbraio 2013, scaricabile sul sito, http://www.vienna5unaoc.org/documentation/vienna-declaration/, p.1. L’alleanza delle nazioni conta attualmente 136 paesi membri. Al quinto forum globale dell’Alleanza delle civiltà, dal 27 al 28 febbraio 2013, hanno partecipato i ministri degli affari esteri, riaffermando i princìpi dalla carta delle Nazioni Unite, della Dichiarazione Universale dei diritti umani e della dichiarazione universale dell’Unesco sulla cultura, promuovendo la tolleranza perché tutte le culture, civiltà e religioni contribuiscono al arricchimento dell’umanità. La diversità culturale è vista come fattore di pace e di sviluppo. In tal senso si combatte l’intolleranza basata sull’etnicità, la razza, il colore, la religione o la credenza.
[7] C. Odahl, God and Constantine: Divine Sanctionfor Imperial Rule in the First Christian Emperor's Early Letters and Art, in: The Catholic Historical Review, vol. 81 1995, pp. 327-352; G.T. Armstrong, Church and State Relations: The Changes Wrought by Constantine, in: Journal ofBible and Religion, vol. 32 1964, pp. 1-7.
[8] E.N. Luttwak, La grande strategia dell’impero romano. Titolo originale dell’opera: The Grand Strategy of the Roman Empire, BUR Rizzoli Storia, Bergamo 2013, pp. 358-369
[9] P. Burke, Il Rinascimento europeo. Centri e periferie, Editori Laterza, Bari 1999
[10] W. Robertson, The Situation of the World at Christ’s Appearance, and its Connexion with the Success of his Religion considered. A Sermon preached before the Society in Scotland for propagating Christian Knowledge. At their anniversary meeting, in the high Church ofEdinburgh. On Monday, January 6th 1755, to which isjoined a short Account ofthe presentState ofthe Society, Printed by Hamilton, Balfour and Neil, Edinburgh 1755
[11] W. Robertson, The History of Scotland. During the Reigns of Queen Mary and of King James till his accession to the crown of England. With a review ofthe Scotch History previous to that period and an appendix containing original papers in two Volumes, A. Millar, London 1759
[12] W. Robertson, The History ofthe Reign of Charles V. With a View ofthe Progress of Society in Europe, from the Subversion ofthe Roman Empire to the Beginning ofthe Sixteenth Century. In three Volumes, Printed for W. And W. Smith, A. Leathley, Faulkner, S. Powell, P. Wilson, J. Exshaw, H. Saunders, W. Whitestone, W. Sleater, L. Flin, B. Grierson, E. Lynch, D. Chamberlaine, J. Potts, J. Hoey. Jun., J. Williams, J. Mitchell, W. Colles, J. Miliken, C. Ingham, and J. Porter, Booksellers, Dublino 1769
[13] W. Robertson, The History of America, Printed for Price, Whitestone, W. Watson, R. Cross, Corcoran, Sleater, Chamberlaine, Potts, J. Hoey, Williams, F. Lynch, M. Hay, S. Watson, T. Stewart, W. Colles, W. Wilson, Moncrieffe, Armitage, Hallhead, Walker, Exshaw, Flin, Burnet, Faulkner, Jenkin, Beatty, Gilbert, Valiance, Wogan, E. Cross, Mills, Gruener, R. Stewart, White, M’Kenly and Magee, Dublino 1777
[14] W. Robertson, An historical Disquisition concerning the Knowledge which the Ancients had of India; and the Progress of Trade with that country prior to the Discovery ofthe Passage to it by the Cape of Good Hope. With an Appendix, containing Observations on the Civil Policy - the Laws and Judicial Proceedings, the Arts - the Sciences - and Religious Institutions, ofthe Indians, Printed for A. Strahan, and T. Cadell in the Strand and E. Balfour at Edinburgh 1791
[15] M. Bloch, Apologia delia storia, Giulio Einaudi Editore, Torino 1998, pp. 41-42.
[16] G. Giarrizzo, Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento, Marsilio, Venezia 1994, p. 39: "La massoneria non è comunque una società segreta, bensì una società che "tratta" segreti: li detiene, li alimenta, li difende e conferisce la conoscenza e i poteri relativi a soggetti cooptati al fine di partecipare alla loro conservazione e trasmissione, e per concorrere così all’obiettivo di cui e struttura e segreti sono strumenti - la salute e la felicità del genere umano". Si rimanda anche al testo di M. Ghezzi e D. Del Bino per il discorso attuale sui princìpi della massoneria: M. Ghezzi, D. Del Bino, Massoneria e Giustizia. Princìpi, valori e diritto nel pensiero della Ubera muratoria universale. Introduzione di Agostino Carrino. Postfazione di Claudio Bonvecchio, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2013.
[17] G. Giarrizzo, op.cit., p. 11.
[18] M. Bloch, op cit., p. 52; 22
[19] M. Bloch, op cit., p. 22 cit. nota 4, Fustel; «La storia non è l'accumulazione degli eventi di qualsiasi genere che si sono verificati nel passato. Essa è la scienza delle società umane».
[20] A. Broadie, The Scottish Enlightenment, Birlinn, Edinburgh 2001, p. 47 «The study of history, as leading towards erudition, leads therefore to an improvament of the mind»
[21] Idem «Furthermore, historical knowledge is a precondition of almost intellectual development. The development of science and the arts would be impossible without it. [...] We make improvaments today in light of results gifted to us by previous generations. [...] These two reasons for studying history relate respectively to the mental powers of imagination and intellect. So far as it amuses the fancy it engages the imagination. So far as it improves science it engages the intellect. [... ]history has the power to engage the faculty of will in direction of virtue»
[22] M. Bloch, op. cit., p. 104.
[23] Ibid., p. 108.
[24] B. Croce, La miafilosofia, Adelphi, Milano 2006, p. 54.
[25] P. Bénéton, Introduction à ¡a politique, PUF, Parigi 1997, p. 83.
[26] A. Broadie, op. cit., p. 57-8.
[27] P. Kryzstof, Che cos’è ¡a storia, Bruno Mondadori, Milano 2001, p.1.
[28] Ibid., p. 48.
[29] J.-J. Rousseau, Les Confessions. Préface de J.-B. Pontalis, Folio Classique, Gallimard, Cher 2011, p. 38.
[30] C. Ossola, Le frontiere da Stato a Nazione. Il caso Piemonte, Bulzoni Editore, Roma 1987, pp. 366-369; Anacharsis Cloots, nato il 24 giugno 1755 nelle vicinanze di Brandeburgo, era un democrato radicale della Rivoluzione francese e diventò leader dell’espansionismo francese in Europa. Nato in una famiglia nobile di origine olandese, Cloots andò a Parigi nel 1776 e prendò parte nella compilazione dell’Encyclopédie di Diderot. Lasciò la Francia nel 1784 per viaggiare attraverso l’Europa e ritornò in Francia nel 1789 dopo lo scoppio della rivoluzione. Membro del Club dei Giacobini dicharò presso l’Assemblea Nazionale che il mondo avrebbe aderito agli ideali democratici della rivoluzione. Si autodichiarò oratore dell’umanità e adottò il pseudonimo di Anarchasis. Nel settembre 1792 era stato eletto nel Convento nazionale, dove il suo richiamo per una crociata rivoluzionaria portò la Francia in guerra con la maggior parte dei paesi europei. Dopo la presa di controllo del governo dei giacobini nel 1793, Cloots si identificò con la sinistra dei giacobini e si schierò dalla parte di Jacques Hébert. Nel mese di dicembre Robespierre espellò Cloots dai Club dei Giacobini per il suo supporto di Hébert per la destruzione di tutte le istituzioni cattoliche romane. Accusato da Robespierre di essere un agente straniero, Cloots veniva guigliotinato il 24 marzo 1794 a Parigi insieme agli altri Hébertistiarti; Jean-Baptiste du Val-de- Grâce, baron de Cloots, in: Encyclopædia Britannica. Encyclopædia Britannica Online Academic Edition. Encyclopædia Britannica Inc., 2013. Web. 13 Apr. 2013; Cloots vedeva la dichiarazione dei diritti dell’uomo come base costituzionale "contract universel" oppure "contract primitive" per una repubblica mondiale Francis Cheneval, Der kosmopolitische Republikanismus: Erläutert am Beispiel Anarchasis Cloots, in: Zeitschrift für philosophische Forschung, Bd. 58 2004, pp. 373-396; Cloots, ammirante di Voltaire, si impose con successo per la panteonizzazione di Voltaire l’11 luglio 1791. Charles A. Gliozzo, The Philosophes and Religion: Intellectual Origins of the Dechristianization Movement in the French Revolution, in: Church History, Vol. 40 1971, pp. 273-283; Pauline Kleingeld, Six Varieties of Cosmopolitanism in Late Eighteenth-Century Germany, in: Journal of the
History of Ideas, Vol. 60 1999, pp. 505-524; G. Avenel, Anacharsis Cloots: l’orateur du genre humain, Lacroix, Verboeckhoven &C.le, 1865 Parigi; opere di Cloots: La République universelle ou Adresse aux tyrannicides, 1792 Parigi; Bases constitutionnelles de la République du genre humain, 1793 Parigi. I diritti umani erano il nucleo fondamentale del pensiero di Cloots, come espresso della seguente citazione: "Le genre humain ne peut avoir d’autre règle que les droits de l’homme: cette règle distingue la société vraiment libre de toutes les société anciennes et modernes, civiles et religieuses.", in: Francis Cheneval, Der kosmopolitische Republikanismus: Erläutertam BeispielAnarchasis Cloots, in: Zeitschrift für philosophische Forschung, Bd. 58 2004, p.380
[31] A. Broadie, op. cit., p. 55.
[32] F. De Gandt, Newtonianisme, in: Dictionnaire européen des Lumière. Publié sous la direction de Michel Delon, PUF, Paris 1997, pp. 775-778.
[33] L. Guerci, L'Europa delSettecento, UTET, Torino 2006, p.364.
[34] P. Wende, Das Britische Empire. Geschichte eines Weltreichs, Verlag C.H. Beck, München 2009, p. 95.
[35] Ibid., p. 99.
[36] Per ulteriori approfondimenti sulle scoperte di Newton: P. J. Boulos, Newton’sPath to Universal Gravitation, in: Science & Education, Vol. 15 2006, pp. 577-595; JA Ruffner, Newton's Degravitatione: a review and reassessment, in: Arch. Hist. Exact Sci Vol. 66 2012, pp. 241-264; J.H. Ryder, From Newton to Einstein, Phys. Educ, Vol. 22 1987, pp. 342-9; L. Dempsey, Written in theflesh: IsaacNewton on the mind-body relation, in: Stud. Hist. Phil. Sci, vol. 37 2006, pp. 420-441; H. Pfister, Newton's First Law Revisited, in: Foundations of Physics Letters, Vol. 17 2004, pp. 49-64; N. Guicciardini, Isaac Newton and the publication of his mathematical manuscripts, in: Stud. Hist. Phil. Sci, Vol. 35 2004, pp. 455-470; R.G.A. Dolby, Three hundred years of Newton's Principia, in: Phys. Educ., Vol. 22 1987, pp. 337-342; C. Lee, Infinity and Newton's Three Laws of Motion, in: Found Phys, Vol. 41 2011, pp. 1810-1828; S. Ducheyne, Newton's notion and practive of unification, in: Stud. Hist. Phil. Sci, Vol. 36 2005, pp. 61-78; A.I. Arbab, The generalized Newton's law of gravitation, in: Astrophys Space Sci, Vol. 325 2010, pp. 37-40; P. Machamer, J.E. MCGuire, H. Kochiras, Newton and the mechanical Philosophy: Gravitation as the balance of the heavens, in: The Southern Journal ofPhilosophy, Vol. 50 2012, pp. 370-388
[37] Ibid., p. 371.
[38] R. Bainton, La lotta perla libertà religiosa, Mulino, Bologna 1963, p. 237.
[39] Ivi., p. 237-238.
[40] A. Broadie, op. cit. p. 113.
[41] L. Guerci, op. cit., p. 360.
[42] Ivi, p. 11.
[43] L. Guerci, op. cit., p. 394.
[44] T.C.W. Blanning, op. cit, p. 112.
[45] Si veda L. Guerci, op. cit., p. 433-4.
[46] P. Hazard, La crise de ¡a conscience européenne, Le Livre de Poche, Paris 1994, p. 1.
[47] «Il n’y eut jamais d’événements plus grands, conduits de plus loin, mieux préparés et moins prévus» in A. De Tocqueville, L'ancien régime et ¡a Révo¡ution française, Folio Histoire, Edition Gallimard, Saint-Ammand, Cher 1985, p. 13.
[48] «David Hume and Adam Smith were not isolated geniuses, but contemporaries and friends of a wider group of thinkers, with whom they shared common interestsa in philosophy, history, political economy and “the progress of society”. This not only enlarged the field of enquiry to include such figures as Francis Hutcheson, Adam Ferguson, William Robertson, John Millar and Thomas Reid» in Robertson John, The EnUghtenment above nationa¡ context: Po¡itica¡ Economy in Eighteenth-Century Scot¡and and Nap¡es, in “The Historical Journal”, vol. 40 1997, n. 3, p. 668.
[49] «Leur gloire est de mettre à feu & à sang les petits villages dont ils peuvenet s’emparer. Nulle politesse, nulle science, nul art perfectionné dans aucun tems chez cette nation atroce» Voltaire, Essai sur l'Histoire Générale et sur les moeurs et l'esprit des nations depuis Charlemagne jusqu'à nos jours. Nouvelle Edition, revue, corrigée, & considérablement augmentée, Amsterdam 1764, p.71. per il giudizio di Robertson su Voltaire si veda: «In all my inquiries (...) I have not once mentioned M. de Voltaire, who, in his Essai sur l’Histoire Générale, has reviewed the same period, and has treated of all these subjects. This does not proceed from any inattention to the works of that extraordinary man, whose genius, no less enterprising than universal, has attempted almost every different species of literary composition. In many of these he exels. In all, if he had left religion untouched, he is instructive and agreeable». in W. Robertson, The History of the Reign of Char¡es V. With a View of the Progress of Society in Europe, from the Subversion of the Roman Empire to the Beginning of the Sixteenth Century. In three Vo¡umesPrinted for W. And W. Smith, A. Leathley, Faulkner, S. Powell, P. Wilson, J. Exshaw, H. Saunders, W. Whitestone, W. Sleater, L. Flin, B. Grierson, E. Lynch, D. Chamberlaine, J. Potts, J. Hoey. Jun., J. Williams, J. Mitchell, W. Colles, J. Miliken, C. Ingham, and J. Porter, Booksellers, Dublino 1769, Vol. 1, Proofs & Illustrations, pp. 477-8
[50] W. Robertson, The History ofthe Reign ofCharles V, Voi. 1, Premessa, p. X
[51] Serrai A., Profilo di storia delia bibliografia, Edizioni Sylvestre, Bonnard, Cremona 2005, p. 40.
[52] «Their condition, and transactions previous to their invasion of the Empire are but little known. All our information with respect to these is derived from the Romans». Ibid., p. 3.
[53] «Even among the most enlightened people, the period of authentic history is extremeley short, and every thing prior to that is fabulous or obscure» in W. Robertson, The History ofAmerica, Vol. 1, p. 296.
[54] Ibid., p. 259.
- Quote paper
- Philippe Wesquet (Author), 2013, Alcune considerazioni sull’opera storica di William Robertson, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/230171
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