L’integrazione del diversamente abile è una tematica di particolare rilevanza nella società odierna. I processi di trasformazione in atto nella scuola e nella società rendono più che mai attuale l’argomento e richiedono un accrescimento dell’impegno da parte di ciascuno, allo scopo di dar voce ai bisogni dei disabili e proporre contenuti e proposte in grado di promuovere e garantire tutti i loro diritti.
La particolare attenzione alla qualità della vita dei disabili ha favorito la nascita sul territorio di numerose associazioni, specializzate nelle diverse tipologie di handicap. Queste, oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica su determinate problematiche attuano, ognuna proponendo un suo peculiare percorso, interventi specificamente finalizzati all’educazione e all’integrazione sociale dei disabili.
Il presente lavoro nasce dall’esperienza sul campo, proprio in collaborazione con una di queste associazioni, l’A.F.I.A. (Associazione Famiglie Ipoacusici Abruzzesi). In particolare l’intervento di cui si fa menzione è rivolto alle persone minorate dell’udito e presenta un’ampia gamma di attività musicali (vocali, ritmico – musicali e strumentali), volte a migliorare la comunicazione dell’audioleso col mondo che lo circonda, favorendone, di conseguenza, l’integrazione nella società.
La scelta di utilizzare proprio la musica con chi è minorato dell’udito è spiegata dal fatto che il sordo profondo è dotato di una percezione uditiva residua che deve essere esercitata ed affinata, parallelamente anche alla percezione tattile che la supporta. Ciò può essere proficuamente attuato svolgendo proprio delle attività sonoro - musicali in un’aula ben attrezzata, con strumenti musicali adeguati, di cui sia facile avvertire al tatto la vibrazione.
La musica, oltre ad agire direttamente sul linguaggio e sulle capacità senso - percettive, agevola nell’ipoacusico la coordinazione motoria, la coordinazione spazio - temporale, la socializzazione e le capacità affettive e relazionali.
I risultati ottenuti con questa esperienza mettono in evidenza come il linguaggio musicale riesca ad offrire, anche a chi è disabile dell’udito, non soltanto dei momenti ludici, di incontro con i coetanei, ma anche delle importanti occasioni di sviluppo della percezione e della musicalità.
INDICE
Presentazione
PRIMA PARTE
1. IL DEFICIT DI PERCEZIONE UDITIVA
1.1 La percezione uditiva
1.2 I parametri della percezione uditiva
1.3 Il deficit uditivo
1.4 Le conseguenze del deficit uditivo
1.5 Le manifestazioni dell’ipoacusia
2. I METODI RIABILITATIVI
2.1 Aspetti generali
2.2 Il metodo gestuale
2.3 Il metodo bilingue
2.4 Il metodo bimodale
2.5 Il metodo orale
2.5.1 Il metodo verbo - tonale
2.5.2 Il metodo multidisciplinare
2.6 Considerazioni
SECONDA PARTE
3. UN’ASSOCIAZIONE PER GLI IPOACUSICI
3.1 L’A.F.I.A: sezione regionale della FIADDA
3.2 Le attività
3.2.1 L’assistenza didattica domiciliare
3.2.2 La consulenza legale e pedagogica
3.2.3 Un’esperienza particolare: l’incontro con la straordinaria “intelligenza musicale” di Evelyn Glennie
4. ESPERIENZE MUSICALI
4.1 Il laboratorio musicale
4.2 Le attività musicali: generalità
4.3 Le attività musicali: correlazioni
4.3.1 L’area motoria
4.3.2 L’area percettiva
4.3.3 L’area affettiva
4.3.4 L’area intellettiva
4.3.5 L’area linguistica
4.4 Le attività musicali: contenuti
4.4.1 Attività per lo sviluppo delle capacità motorie
4.4.2 Attività per lo sviluppo delle capacità percettive
4.4.3 Attività per lo sviluppo delle capacità linguistiche
4.5 Conclusioni
BIBLIOGRAFIA
PRESENTAZIONE
L’integrazione del diversamente abile è una tematica di particolare rilevanza nella società odierna. I processi di trasformazione in atto nella scuola e nella società rendono più che mai attuale l’argomento e richiedono un accrescimento dell’impegno da parte di ciascuno, allo scopo di dar voce ai bisogni dei disabili e proporre contenuti e proposte in grado di promuovere e garantire tutti i loro diritti.
La particolare attenzione alla qualità della vita dei disabili ha favorito la nascita sul territorio di numerose associazioni, specializzate nelle diverse tipologie di handicap. Queste, oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica su determinate problematiche attuano, ognuna proponendo un suo peculiare percorso, interventi specificamente finalizzati all’educazione e all’integrazione sociale dei disabili.
Il presente lavoro nasce dall’esperienza sul campo, proprio in collaborazione con una di queste associazioni, l’A.F.I.A. (Associazione Famiglie Ipoacusici Abruzzesi) sez. regionale della FIADDA. In particolare l’intervento di cui si fa menzione q rivolto alle persone minorate dell’udito e presenta un’ampia gamma di attività musicali (vocali, ritmico - musicali e strumentali), volte a migliorare la comunicazione dell’audioleso col mondo che lo circonda, favorendone, di conseguenza, l’integrazione nella società.
La scelta di utilizzare proprio la musica con chi q minorato dell’udito q spiegata dal fatto che il sordo profondo è dotato di una percezione uditiva residua che deve essere esercitata ed affinata, parallelamente anche alla percezione tattile che la supporta. Ciò può essere proficuamente attuato svolgendo proprio delle attività sonoro - musicali in un’aula ben attrezzata, con strumenti musicali adeguati, di cui sia facile avvertire al tatto la vibrazione.
La musica, oltre ad agire direttamente sul linguaggio e sulle capacità
senso - percettive, agevola nell’ipoacusico la coordinazione motoria, la coordinazione spazio - temporale, la socializzazione e le capacità affettive e relazionali. Ed è importante sottolineare che riesce a raggiungere questi obiettivi rispettando la naturale propensione al gioco propria di un bambino in età scolare.
I risultati ottenuti con questa esperienza mettono in evidenza come il linguaggio musicale riesca ad offrire, anche a chi q disabile dell’udito, non soltanto dei momenti ludici, di incontro con i coetanei, ma anche delle importanti occasioni di sviluppo della percezione e della musicalità. Insomma, attraverso attività vocali e strumentali si possono creare per tutti i bambini le condizioni che favoriscono ogni utile apprendimento, e dunque promuovere in loro non soltanto lo sviluppo di determinate abilità settoriali, ma la loro crescita globale dal punto di vista personale e sociale.
PRIMA PARTE
1. IL DEFICIT DI PERCEZIONE UDITIVA
1.1 La percezione uditiva
Il canale uditivo assume una funzione centrale sin dalle prime fasi della vita del bambino e perfino durante il periodo di vita intrauterina. Già nel grembo materno il bambino è in grado di ascoltare e discriminare suoni diversi come, ad esempio, il battito cardiaco della madre, che egli sa riconoscere, dopo la nascita, da quello di altre donne.
Il neonato utilizza precocemente il canale uditivo per interagire con il mondo esterno, acquisire nuove conoscenze e sintonizzarsi affettivamente con le persone a lui vicine.
Alla nascita e nei primi giorni di vita, il bambino mostra una preferenza per i suoni con tonalità gravi, probabilmente più simili alla tonalità con cui percepiva i suoni all’interno del grembo materno.
Nei mesi successivi il bambino tende a privilegiare l’ascolto di suoni con tonalità acute e questo fenomeno è ben conosciuto dagli adulti, che si relazionano al bambino alterando la propria voce per raggiungere il più possibile tonalità acute.
La funzione uditiva assolve un ruolo cruciale nel compimento delle principali fasi dello sviluppo.
E’ noto che nel rapporto con la madre, il bambino utilizza precocemente il canale audioverbale per comunicare con lei e regolare gli scambi affettivi; la percezione uditiva aiuta il bambino nella costruzione dello schema corporeo, attraverso un processo di integrazione delle nozioni spazio- temporali; essa è determinante per la realizzazione di schemi e strutture cognitive fondate sui collegamenti di suoni, immagini visive e parole.
La propria stessa voce assume per il bambino una funzione nelle interazioni tra mondo esterno e mondo interno.[1]
L'udito, quindi, è un sistema estremamente complesso, quello fra i cinque sensi che si sviluppa per primo, permettendo il contatto con il mondo. Le nostre attività quotidiane richiedono necessariamente l’utilizzo di tale organo, anche se lo diamo per scontato; questo perché l’orecchio compie bene il proprio lavoro senza che ce ne accorgiamo.
E’ proprio l’udito che ci permette di sapere cosa succede nel nostro ambiente senza l’ausilio della vista e questo fornisce importanti vantaggi alla nostra sopravvivenza. Per di più, la struttura della società umana richiede l’utilizzo del linguaggio orale che necessita di una sofisticata e rapida analisi dei suoni di cui è composto, garantita proprio dalle strutture dell’orecchio.
1.2 I parametri della percezione uditiva
Con “percezione uditiva” si intende la funzione di interpretazione ed ottimizzazione dell’informazione acustica proveniente dall’esterno. Tale processo può essere definito come la capacità di riconoscere e discriminare stimoli uditivi e di interpretarli associandoli a precedenti esperienze, mediante una funzione ottimativa ed integrativa dei segnali periferici; questa funzione è in grado di elaborare i contenuti della comunicazione linguistica verbale, della semantica musicale e di qualsiasi suono o rumore esterno.
La percezione uditiva dipende dall’integrità anatomo - funzionale dell’orecchio (esterno, medio e interno) e del sistema nervoso uditivo periferico e centrale.
I parametri della percezione uditiva sono:
- La coordinazione uditivo - motoria; è la capacità di far corrispondere un movimento di risposta ad una stimolazione sensoriale.
Questo parametro q alla base dell’avvicinamento o dell’allontanamento nei confronti di una sorgente sonora, e il suo allenamento prevede un’infinita serie di esercizi a complessità crescente, a partire dall’individuazione e dall’indicazione di una sorgente sonora.
- La separazione figura - sfondo;
rappresenta l’elemento fondamentale e più caratteristico di qualsiasi tipo di percezione; questo parametro concerne la capacità di distinguere la figura dallo sfondo, cioè consiste nel saper scegliere quanto ci interessa, in un determinato momento, secondo i meccanismi del rapporto segnale/rumore, lasciando cadere il rimanente, anche se si tratta della maggior parte del "suono". Ne sono esempi la capacità di seguire qualsiasi segnale acustico nel rumore o di discriminare uno strumento musicale nell’ambito di un’intera orchestra.
Si può osservare come non sia necessariamente il rumore più intenso quello cui si pone maggiormente attenzione, ma quello che interessa di più (non si presta ascolto a chi parla più forte, ma a chi dice le cose che più ci servono o ci piacciono). Questo parametro può essere allenato richiedendo, ad esempio, di riconoscere un determinato timbro di un suono che viene presentato simultaneamente ad altri suoni della stessa intensità, ma di timbro diverso.
- La discriminazione silenzio - sonorità;
consiste nella capacità di prestare attenzione ad una sonorità-stimolo all’interno di un silenzio "convenzionale" (così definito perché nella vita di tutti i giorni esiste un rumore di fondo più o meno intenso). L’analisi dell’andamento nel tempo della presenza o assenza della sonorità permette la costruzione del ritmo sonoro. A livello di progressiva difficoltà può essere tradotto in condotte motorie, grafiche e verbali, ma solo dopo l’inizio della scolarità elementare.
- La costanza timbrica;
rappresenta la facoltà di riconoscere un’individualità sonora solo grazie alle sue caratteristiche timbriche (ad esempio il suono di una chitarra, la voce di una persona conosciuta, il rumore del treno ecc.). Poiché è indispensabile l’acquisizione di questa categoria percettiva (assieme alle altre categorie di costanza della forma di altri apparati sensoriali) per procedere dalla rappresentazione alla simbolizzazione ed alla concettualizzazione, essa costituisce l’elemento condizionante per la realizzazione del vocabolario e quindi del patrimonio semantico.
- La discriminazione suono/rumore; in natura prevalgono i rumori rispetto ai suoni, per cui l’apporto informativo q massimo per i primi e minimo per i secondi.
Nella comunicazione espressiva verbale umana questo rapporto si modifica (in particolare per la lingua italiana) in quanto il rumore, rappresentato dalle consonanti, pur rimanendo la parte che trasmette maggiore informazione è, di norma, piuttosto debole e necessita di maggiore energia, la quale viene apportata dai suoni, rappresentati dalle vocali. Questo parametro deve essere particolarmente sviluppato per intendere, pronunciare, scrivere e leggere correttamente il linguaggio verbale.
- La discriminazione sonorità impulsive/sonorità continue;
le sonorità impulsive (scoppi, oggetti che cadono o che sbattono) sono formate da consonanti occlusive ed esplosive altamente informative, ma che hanno una durata così breve che spesso non q possibile l’analisi completa del fenomeno uditivo da parte del nostro apparato.
Per tale motivo è necessario, ai fini dell’analisi del suono impulsivo, valutare quali alterazioni e modificazioni esse producono sulle sonorità continue che le seguono o le precedono.
Tale capacità permette di differenziare e di descrivere correttamente i suddetti fenomeni sonori impulsivi, differenziandoli da rumori di trascinamento. Nella lingua italiana, questo parametro permette di differenziare tra loro le occlusive continue (/p/, /t/, /b/, /s/, /v/, ecc).
- La percezione delle dinamiche melodiche;
è la capacità di saper giudicare nel tempo l’andamento dell’altezza e, di conseguenza, saper trarre informazioni dal variare nel tempo di suoni semplici e complessi.
In altre parole, una melodia è caratterizzata non dal variare delle altezze (o frequenze) dei suoni che la compongono, ma dal variare del loro rapporto. Il linguaggio parlato fa uso di informazioni basate sulla costruzione melodica della frase, ed utilizza queste caratteristiche per portare o rafforzare le informazioni (si pensi all’uso dell’interrogativo, dell’esclamativo o dell’imperativo).
- La percezione delle dinamiche di intensità;
q la capacità di giudicare nel tempo l’andamento dell’intensità e di trarre informazioni dal variare nel tempo dei rapporti tra le intensità di sonorità successive.
Si tratta di caratteristiche del linguaggio che permettono di evidenziare, con sottolineature, determinate parole o parti del discorso.
- La discriminazione tra suoni continui/suoni continui periodicamente interrotti; consente di distinguere tra suoni continui e suoni continui che hanno interruzioni; ad esempio nella verbalità i fonemi /l/ e /r/ si distinguono soltanto per questo parametro. Questa opposizione è presente nella musica strumentale.
1.3 Il deficit uditivo
Quando si parla di deficit uditivo è opportuno specificare la differenza tra i soggetti sordi e quelli sordomuti. Infatti, nel caso di persone sordomute, ci troviamo di fronte a persone che non possono né sentire, né comunicare verbalmente.
I soggetti affetti da sordità presentano un deficit dell’ udito, ma questo non significa che costoro siano privati della facoltà di parlare e quindi di apprendere una lingua. Per questo motivo è più corretto parlare di audiolesi o ipoacusici, cioè di persone che, pur presentando limitazioni più o meno gravi nel recepire i suoni, mantengono tuttavia intatte altre potenzialità.
L’ipoacusia q la riduzione più o meno grave dell’udito. Molte sono le classificazioni finalizzate alla definizione, sia qualitativa che quantitativa, del danno uditivo. Quella stilata dal BIAP (Bureau International d’Audiophonologie) prevede la valutazione di due aspetti a indirizzo differenziato: medico e pedagogico.
Le classificazioni ad indirizzo medico prevedono:
1. classificazione eziologia;
2. classificazione clinica;
3. classificazione audiometrica tonale e vocale;
4. classificazione della percezione verbale;
5. classificazione psicologica.
Le classificazioni ad indirizzo pedagogico comprendono:
1. classificazione del livello lessicale;
2. classificazione dell’apprendimento scolare.
Si prenderà in esame, in questa sede, la classificazione che riveste maggiore importanza ed alla quale più frequentemente si fa riferimento: quella audiometrica tonale. In questo caso, la valutazione dei livelli di sordità viene effettuata sulle frequenze conversazionali 0,5-1-4 Khz, e il danno uditivo, espresso in decibel, deriva dalla perdita media per le frequenze sopra citate.[2]
1. Normoacusia o udito nei limiti della norma (soglia uditiva circa 20 dB). A tali livelli non si riscontra alcuna difficoltà nella percezione della parola.
2. Sordità lieve (soglia uditiva compresa tra i 20 e i 40 dB). Difficoltà possibile per la normale voce di conversazione (65-70 dB) a un metro; non tutti i fonemi della parola vengono identificati.
3. Sordità media (soglia uditiva compresa tra i 40 e i 70 dB). La soglia vocale si situa ai limiti superiori della zona di intensità della parola normale.
4. Sordità grave (soglia uditiva compresa tra i 70 e i 90 dB). Sono percepite solo le parole amplificate.
5. Sordità profonda (soglia uditiva superiore o uguale 90 dB). La parola amplificata è udita con difficoltà.
All’interno della sordità profonda c’q ancora un’ulteriore suddivisione: 1° gruppo: sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze tra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 decibel;
2° gruppo: sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o maggiore di 90 decibel;
3° gruppo: sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz ad intensità maggiore ai 90 decibel.
1.4 Le conseguenze del deficit uditivo
I diversi gradi di sordità influiscono in vario modo nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio vocale.
Nella sordità lieve il bambino ha uno sviluppo del linguaggio normale, cioè non è in ritardo rispetto alle tappe più significative di apprendimento. Non ha problemi di comprensione del significato delle parole, ma ha solo difficoltà nel discriminare alcuni fonemi (omette o altera alcuni fonemi, ad esempio confonde le consonanti /b/ con le /p/).
Nella sordità media il danno riguarda sia il significante che il significato, cioè il concetto sottostante alla parola. Dobbiamo parlare in questi casi di ritardo nello sviluppo del linguaggio parlato (sia nella comprensione che nella produzione). Se si aumenta l’intensità della voce migliora la comprensione del linguaggio vocale, per cui sono indispensabili la protesizzazione e l’intervento logopedico precocissimi, prima che la componente linguistica sia compromessa.
Nella sordità grave, infine, non c’q percezione del parlato. Quello che il bambino riesce a comprendere, senza protesi, anche parlando a voce molto alta vicino all’orecchio, sono la durata e il ritmo, riuscendo a distinguere, ad esempio, un suono ripetuto da uno continuo.
Solo attraverso l’intervento logopedico il bambino imparerà a parlare, ma a questo livello l’educazione q molto complessa ed è difficile che il sordo raggiunga una competenza linguistica completa sia nell’italiano scritto che parlato. Quanto più l’educazione è precoce tanto maggiori saranno le possibilità di avere risultati accettabili.
1.5 Le manifestazioni dell’ipoacusia
Le manifestazioni dell’ipoacusia si evidenziano, nel bambino, principalmente a livello dello sviluppo del linguaggio.
Dalle prime parole è difficile distinguere un bambino sordo da un bambino che sente, poiché sia l’uno che l’altro producono dei suoni con i loro organi vocali. Inoltre il piccolo sordo passa attraverso una fase di lallazione, seppur ridotta nel tempo e nella varietà, che fa supporre che il linguaggio evolverà naturalmente. Intorno agli otto - nove mesi, le produzioni vocali si moltiplicano, si perfezionano e cominciano a strutturarsi nel sistema fonologico della lingua alla quale il bambino è esposto; è in questo periodo che il bambino sordo arresta la sua produzione linguistica. Questo segnale importante viene però spesso interpretato come un semplice ritardo senza conseguenze.
I disturbi del linguaggio come manifestazioni della sordità sono stati studiati in modo particolare dall’ortofonista S. Borel - Maissonny; di seguito si riporta l’interessante tabella comparativa da lei compilata che ha come parametri il grado di sordità, il livello di parola e la comprensione che il bambino manifesta.[3]
Disturbi del linguaggio secondo il grado di sordità di S. Borel - Maisonny
Abbildung in dieser Leseprobe nicht enthalten
Se ci sono disturbi della voce, essi si manifestano sotto forma di padronanza non sviluppata, perché non controllata, delle componenti del suono vocale. Così il bambino sordo spesso con la sua voce ottavizza (cioè produce improvvisamente un suono con le frequenze dell’ottava superiore), privilegia senza intenzione questa o quella armonica.
Per capire meglio le produzioni vocali del sordo sarebbe interessante aver studiato ed esperito la propria voce in modo da comprendere come essa si struttura fisiologicamente e come il bambino sordo, che non percepisce o percepisce male le sfumature di questa struttura, produca dei suoni incontrollati il cui risultato viene definito come timbro naturale della voce.
In effetti il timbro vocale presenta una configurazione paragonabile alle falde stratificate di un terreno: il tono fondamentale e le sue armoniche di spessore disuguale. Proprio a causa del suo deficit il sordo non può controllare facilmente ciò che la tensione dei suoi muscoli vocali e l’intensità delle loro vibrazioni producono come risultato sonoro. E’ per questo che di solito la sua voce è riconoscibile:
- dall’intensità spesso smisurata e variabile, indipendentemente dalla costruzione sintattica e dalla semantica del testo;
- dall’altezza, in genere più acuta o più grave della media;
- dal timbro, spesso nasale e smorzato;
- dalla prosodia, in genere alterata nelle sue principali componenti (ritmo, intonazione, accento);
- dalla scorretta articolazione che costituisce, nei primi anni di educazione del bambino sordo, il difetto principale della parola.
2. I METODI RIABILITATIVI
2.1 Aspetti generali
Nella contrapposizione fra le tecniche riabilitative sono schierati da una parte i sostenitori dell’approccio “oralistico” (finalizzato ad educare il bambino con l’utilizzo di tecniche mirate all’esclusivo apprendimento del linguaggio orale), dall’altra i sostenitori dell’ approccio “globale” (in cui è favorita la compresenza di metodi, privilegiando, però, l’utilizzo del linguaggio dei segni).
E’ importante osservare che allo stato attuale viene proposta una visione diversa dal passato rispetto al problema della disabilità. Questa non è più considerata una minorazione che l’individuo deve contrastare perché le sue prestazioni nella comunità siano equiparate a quelle degli altri; oggi si fa una distinzione tra i due termini disabilità ed handicap: il primo rimanda all’aspetto fisico, il secondo, invece, all’aspetto sociale. La disabilità, infatti, è una situazione di disfunzione o ritardo a carico di una o più funzioni umane, che comporta difficoltà nella vita quotidiana; essa può differenziarsi in forma quantitativa (deficit) o in forma qualitativa (disordine). L’handicap, invece q una condizione di svantaggio derivante dalla disabilità.[4]
La misura del deficit uditivo q data dalla perdita di decibel e dall’entità del danno anatomo - funzionale, ma q l’ aspetto dell’handicap a presentare maggiori problemi. Con handicap, infatti, il sociologo francese B. Mottez intende “l’insieme dei luoghi e dei ruoli sociali dai quali un individuo o una categoria di individui si trovano esclusi a causa di un deficit fisico”. La distinzione tra disabilità ed handicap è utile nel momento in cui osserviamo come uno stesso deficit non implichi lo stesso handicap, a seconda degli orientamenti e dei modi di organizzazione della società.
P. Crispiani - C. Giaconi, Hermes 2006, Glossario pedagogico professionale, Edizioni Junior Per questi motivi, negli ultimi venti anni, le posizioni sulla riabilitazione sono divenute più articolate; si assiste, nel campo delle tecniche moralistiche, al fiorire di una pluralità di approcci diversi tra loro, ma contrassegnanti da una visione più ampia del processo comunicativo e da una maggiore attenzione ai bisogni affettivi del bambino.
Un esempio di questo cambiamento di prospettiva è dato dal frequente ausilio della pratica psicomotoria nell’ambito della terapia logopedica e dall’utilizzo di varie forme espressive, quali la musicoterapia e l’educazione musicale[5].
E’ stato rivalutato anche il linguaggio dei segni e si è dimostrato che esso è un linguaggio compiuto e articolato, con le proprie strutture grammaticali e sintattiche e con una ricchezza semantica paragonabile a quella del linguaggio parlato.
Proprio perché l’acquisizione del linguaggio risulta essere il principale ostacolo per il soggetto ipoacusico, è necessario un metodo sistematico d’intervento che, unitamente ad un ambiente vario, ricco e stimolante, promuova lo sviluppo integrale di tutti gli aspetti della sua personalità, per stimolare in lui quella “spinta volitiva” rappresentata dal bisogno, dal piacere e dalla motivazione a comunicare con gli altri.
2.2 Il metodo gestuale
Il metodo gestuale si avvale dell’utilizzo dei Linguaggio dei segni; le prime ricerche italiane sulla lingua dei segni (L.I.S.), sostenute soprattutto dal gruppo di lavoro di V. Volterra (Istituto di Psicologia del C.N.R. di Roma), risalgono alla fine degli anni settanta. Molti operatori del settore cominciarono ad utilizzarla come ausilio di cui avvalersi sia durante la terapia logopedica che durante l’iter scolastico.
La lingua dei segni non si esprime attraverso l’attività fonoarticolatoria, ma attraverso l’attività manuale. Le mani, assumendo determinate configurazioni, producono segni in precisi punti dello spazio. Da numerose ricerche è emerso che la Lingua dei segni non è una semplice mimica, ma ha caratteristiche molto complesse che permettono di definirla una lingua a tutti gli effetti[6].
Essa è dotata di una struttura linguistica a livello lessicale, morfologico e sintattico. Per dimostrare la sua valenza, sono stati presi in considerazione quattro parametri base della struttura del segno:
- Il luogo (spazio dove si esegue il movimento delle mani).
I segni vengono eseguiti in punti precisi dello spazio. Anche se da un punto di vista strettamente motorio si possono muovere le mani con estrema libertà su diverse parti del nostro corpo e nello spazio che ci circonda, l'area in cui vengono prodotti i segni è relativamente circoscritta, per facilitarne la produzione, ma sopratutto la percezione. Tale area, definita "spazio segnico" si estende dall'estremità del capo alla vita e da una spalla all'altra.
E' evidente che sarebbe impossibile percepire segni prodotti sul retro del corpo e risulterebbe comunque faticoso e dispersivo percepire segni prodotti con le braccia completamente estese lateralmente e quindi lontane dal corpo. Dal momento che l'espressione facciale, la posizione del capo e di tutto il tronco sono elementi cruciali della lingua, i movimenti delle mani avvengono in modo da non offuscare questi aspetti, anzi da renderli facilmente visibili.
- La configurazione (forma della mano nell'eseguire il segno).
Da un punto di vista strettamente motorio le mani possono assumere moltissime configurazioni, ma non tutte vengono utilizzate nell'esecuzione dei segni. Non tutte le lingue dei segni utilizzano necessariamente le stesse configurazioni e percepiscono gli stessi tratti come significativi.
- Il movimento (come si muovono nello spazio la mano, le braccia, le dita, il polso).
Il sistema visivo presta maggiore attenzione ai movimenti degli oggetti che alla loro posizione statica, ne consegue che maggiori possono essere le differenze di significato tra due movimenti diversi, di quanto lo possano essere tra due diverse posizioni delle mani. Nei segni eseguiti con due mani nello stesso luogo (spazio neutro) e aventi configurazioni apparenti molto simili, l'elemento che maggiormente differenzia un segno dall'altro è il movimento.
- L’orientamento (la posizione del palmo della mano rispetto a colui che segna).
Per orientamento si intende la "posizione della mano". Si definisce posizione della mano, il rapporto che le mani hanno con il corpo o l'una con l'altra nello spazio e nella parte iniziale di un segno, prima cioè dell'inizio del movimento.
I parametri sopra elencati dovrebbero permettere di realizzare l’analisi in tratti di ciascun gesto.
Ci sono, inoltre, una serie di componenti non manuali: il movimento del capo, quello degli occhi e una serie di espressioni facciali specifiche, che vengono utilizzate per funzioni molto importanti: ad esempio una frase interrogativa sarà tipicamente accompagnata da sopracciglia alzate, occhi spalancati e uno spostamento del capo un po’ in avanti.
Ciò che è interessante è capire quali sono le potenzialità che la L.I.S. consente di sviluppare per l’apprendimento del linguaggio orale, in quanto i segni, in alcuni casi, sono stati considerati come lo strumento per imparare meglio ed arricchire la lingua orale.
2.3 Il metodo bilingue
L’educazione bilingue consiste nell’esporre il bambino sordo contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. I fautori di questo approccio partono dalla considerazione che le persone sorde acquisiscono con molta facilità la lingua dei segni, a differenza di quanto accade con la lingua vocale, perché i segni viaggiano sulla modalità visivogestuale, quindi su un canale integro.
La concretizzazione di un’educazione bilingue del bambino sordo nella realtà implica una serie di problematiche, sia in ambito linguistico che psicologico.
Tra queste, prima fra tutte è la difficoltà di esporre precocemente alla lingua dei segni il bambino sordo figlio di genitori udenti, che non la conoscono o se l’hanno imparata non è per loro comunque la prima lingua. Un’altra difficoltà consiste nel fatto che la minima parte, di tutta la popolazione sorda, è figlia di genitori sordi, che hanno ricevuto la lingua dei segni come lingua madre e sono pertanto in grado di trasmetterla. E’ anche vero, però, che negli ultimi tempi la comunità dei sordi italiana si è in qualche modo riappropriata, dopo quasi un secolo di letargo, del problema dell’educazione al linguaggio dei suoi membri.
[...]
[1] D. Bacchini - P. Valerio, Le parole del silenzio, Edizioni Scientifiche Magi, 2000
[2] G. Cremaschi Trovesi, Il corpo vibrante, Edizioni Scientifiche Magi, 2001
[3] A. Carré, Quando la musica parla al silenzio, Edizioni Scientifiche Magi, 1997
[4] P. Crispiani, Manuale Itard 2006, Libreria Floriani, Macerata
[5] A. Padula, Comunicazione sonora e musicoterapia, Grin, 2008. A Padula, Le chiavi della musica, Stefano Giacomelli, 1999.
[6] R. Pigliacampo, Lingua e linguaggio nel sordo, Armando Editore, 2002
- Citar trabajo
- Professor Cristina Flocco (Autor), 2011, Percorsi didattici vocali e strumentali per soggetti ipoacusici, Múnich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/170953
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