Questo saggio è un tentativo di analizzare il ruolo delle donne durante il periodo fascista in Italia. Mi concentro sulle donne che abbiano partecipato al fascismo e provo di trovare una risposta perché hanno appoggiato il sistema. La massima importanza viene dato al periodo interbellico.
Per comprendere, come e perché le donne abbiano appoggiato il sistema, deve prima essere analizzato il ruolo che lo Stato attribuiva alle donne. Che compito imponeva alle donne e come si comportava nei confronti di loro? Poi esamino come quasi tutte le attività delle donne venivano controllate e influenzate dallo Stato. Alla fine si può provare ad indagare le ragioni ed i motivi delle donne per sostenere il fascismo. In generale, si deve analizzare questo tema sullo sfondo, che il fascismo non era rigido come il nazifascismo in Germania, non praticava un controllo totalizzante sulle istituzioni e sulla popolazione italiana. Però era una dittatura con conseguenze grave. Soprattutto sul campo della politica nei confronti delle donne agiva in modo discriminatorio. Qui mi limito sul soggetto delle donne e provo ad analizzare come hanno maneggiato la situazione e come il regime riuscì ad ottenere il loro sostegno.
Indice
1. Introduzione
2. La politica fascista della famiglia e l’immagine ideologica della donna
2.1 Ideologia e valori del fascismo
2.2 Contraddizioni e punti di conflitto
3. La gioventù femminile e l’inquadramento delle ragazze nel sistema statale
3.1 Le condizioni di vita della gioventù femminile
3.2 Il comportamento statale nei confronti della gioventù
4. Il femminismo nel periodo fascista e i Fasci Femminili
4.1 Il movimento di emancipazione femminile in Italia
4.2 La fondazione dei Fasci Femminili e la sua rilevanza come organizzazione di massa .
4.3 L’atteggiamento dello Stato nei confronti dei Fasci Femminili e il Femminismo latino
5. La vita pubblica ed altri campi di attività femminile in sostegno al regime
6. Ragioni e motivi delle donne per la partecipazione e l’appoggio al sistema fascista ..
7. Conseguenze per la situazione della donna negli anni successivi
8. Riassunto
Bibliografia
1. Introduzione
Questo saggio è un tentativo di analizzare il ruolo delle donne durante il periodo fascista in Italia. Mi concentro sulle donne che abbiano partecipato al fascismo e le sue condizioni di vita e provo a trovare una risposta sulla domanda: perché hanno appoggiato il sistema? La massima importanza viene data al periodo interbellico.
Nella prima guerra mondiale le donne vennero mobilitate in gran numero, per lavorare nelle fabbriche, negli uffici commerciali o pubblici, ed in tanti altri campi di lavoro. Tuttavia, al termine della guerra, non ottenevano i diritti di cittadinanza alla pari degli uomini, né il diritto di voto, né la parità al mercato del lavoro. Con l’avvento della dittatura fascista, quando Mussolini salì al potere nel 1925 per instaurare il fascismo come filone del regime italiano, l’Italia era un paese relativamente arretrato ed ancora molto legato all’agricoltura, con grande differenze tra Nord e Sud e tra città e campagna. Nel periodo fascista il Partito Nazionale Fascista fu l’unico partito ammesso. Venne realizzata una dittatura autoritaria, che aboliva le libertà democratiche. Complicava anche le ambizioni femminili verso la strada dell’uguaglianza ufficiale tra i sessi. Al confronto di tanti altri paesi, le famiglie italiane abbiano conservato molto dei valori ed abitudini tradizionali: erano ancora relativamente numerose, con tassi di nuzialità abbastanza alti ed una rigida divisione dei ruoli dei sessi. La povertà era molto diffusa. In un clima di grande tensioni, con l’arretratezza ed i valori tradizionali da un lato e la modernizzazione, lo sviluppo dell’industria e la nascente cultura di massa dall’altro, Mussolini costituì una dittatura che cercava la sottomissione della popolazione e segnava condizioni difficili per le donne.1 Mosse definisce il fascismo come “comunità di uomini”.2
Per comprendere, come e perché le donne abbiano appoggiato il sistema, deve prima essere analizzato il ruolo che lo Stato attribuiva ad esse. Che compito imponeva alle donne e come si comportava nei confronti di loro? Poi esaminerò come quasi tutte le attività delle donne venivano controllate e influenzate dallo Stato. Alla fine si può provare ad indagare le ragioni ed i motivi delle donne per sostenere il fascismo. In generale, si deve analizzare questo tema sullo sfondo che il fascismo non era rigido come il nazifascismo in Germania, non praticava un controllo totalizzante sulle istituzioni e sulla popolazione italiana. Però era una dittatura con conseguenze gravi. Soprattutto sul campo della politica nei confronti delle donne agiva in modo discriminatorio. Qui mi limito sul soggetto delle donne e provo ad analizzare come abbiano maneggiato la situazione e come il regime riuscì ad ottenere il loro sostegno.
2. La politica fascista della famiglia e l’immagine ideologica della donna
2.1 Ideologia e valori del fascismo
Durante il fascismo la politica si trovava in conflitto tra ansia di modernità e desiderio di restaurazione dell’autorità tradizionale mentre la cultura di massa diffondeva nuove idee e nuovi valori da tutto il mondo occidentale nel corso della modernizzazione. In pratica, Mussolini auspicava ad uno sviluppo economico, ma senza grandi cambiamenti sociali. Dappertutto si trovavano aspetti vecchi e nuovi.
Nel fascismo la politica della famiglia si concentrò in gran parte sulla questione delle donne, e fu trattata, come vorrei mostrare in questo capitolo, con tante contraddizioni in modo repressivo e pervasivo. Questa politica era sempre in rapporto con la “crisi demografica”3 e con l’emancipazione della donna, a cui rispose il regime con l’antifemminismo e l’autorità. Le attività delle donne dovettero essere adattate ai presunti interessi della nazione, in primo luogo l’aumento della popolazione, perché, secondo Mussolini, “la forza sta nel numero”.4 Giustificò questo obiettivo con il gran bisogno di manodopera a buon mercato e con l’importanza per l’espansione imperialista del regime.5 Per molti anni pensò che repressioni, programmi assistenziali e propaganda per influenzare le donne e le famiglie, specialmente la donna operaia come obiettivo concreto del programma, fossero sufficienti per raggiungere il suo scopo.6
Considerando il declino della fertilità, le presunte disfunzioni nel regime familiare e la concorrenza fra donne e uomini sul mercato di lavoro, Mussolini creò un immagine della “donna ideale”: veniva esaltata la donna come “essenzialmente madre”7 e la famiglia come cellula base dello Stato.8 Secondo lui, la donna perfetta doveva “esser bella e donare piacere”.9 Il fascismo voleva creare una nuova famiglia fascista, orientata alla sfera pubblica, in modo che non doveva mai agire contro gli interessi dello Stato. Il compito principale della donna fu procreare, gestire la casa ed allevare i figli, restando fuori dal mercato di lavoro, perché il suo successo si mostrava quasi solo nel numero delle nascite.10 Caratteristico della politica fascista era l’uso di propaganda e l’effetto della retorica. Si evidenziava anche nella sottolineatura dell’importanza della donna, però in verità non era alla pari all’uomo ma era importante come strumento per raggiungere gli scopi politici, evitando di dare alle donne un diritto di influenza nella politica con richieste, obiezioni, lagnanze o proposte. Secondo il regime l’obbligo delle donne era di essere “mogli e madri esemplari”, nello stesso tempo “una milizia civile al servizio dello Stato” come “angeli del focolare”.11
Naturalmente l’occupazione femminile esisteva già prima del fascismo, anche se soprattutto nei settori manuali. Il mestiere dell’insegnante era un’eccezione. Tante donne erano impiegate in questo settore, visto che fu considerata una professione di basso status. La Grande Guerra portò dei grandi cambiamenti, quando milioni di donne entrarono nel mondo lavorativo. Fu un fenomeno che dalle donne stesse spesso venne considerato come una liberazione, dagli uomini invece venne considerato come una menaccia. Quindi, anche le pressioni contro l’occupazione femminile cominciarono già prima del periodo fascista.
Nel fascismo, l’espulsione delle donne dal mondo di lavoro ed il ritorno al focolare domestico miravano a confinare le donne al loro destino di madri ed a stabilire l’autorità del padre come capofamiglia. La donna doveva obbedire al marito, essere modesta, organizzare economicamente il nucleo familiare ed accantonare i propri interessi per dedicarsi con tutta la sua forza alla famiglia ed alla società.
Per raggiungere i suoi scopi (in particolare la proliferazione), lo Stato aspirò al controllo sul corpo delle donne e la sua funzione riproduttiva e considerò le donne come risorse nazionale. A metà degli anni venti iniziò la politica pro-natalista, collegata alla “difesa di razza”.12 Per questo, Mussolini sperimentò sia misure positive che negative. Per esempio fu fondata l’ONMI (Opera nazionale per la maternità ed infanzia, per la tutela della madre e del bambino) nel 1925,13 introdotta la tassa sul celibato nel 1926 ed iniziata una campagna per l’aumento delle nascite l’anno successivo. Nonostante la legge del 14 giugno 1928 a favore di famiglie numerose, le iniziative più concrete, avvennero solo negli anni trenta. Per incoraggiare le coppie a mettere su famiglia e diventare famiglie numerose vennero concessi di più assegni familiari, assicurazioni di maternità, prestiti per il matrimonio, premi per le nascite e creati istituti per l’assistenza sanitaria e sociale alla famiglia ed all’infanzia. Come misure negative sono da registrare per esempio la criminalizzazione dell’aborto, seguito con interventi repressivi, le misure per espellere le donne dal mercato del lavoro (soprattutto dopo 1935) e la discriminazione ufficiale dell’omosessualità maschile tramite il codice penale del 1931. Dopo il 1937 il matrimonio ed il numero dei figli diventarono un criterio di preferenza per la carriera maschile.14
2.2 Contraddizioni e punti di conflitto
Presto si profilarono delle contraddizioni nella politica fascista verso le donne e la famiglia. Nel contesto delle misure positive si introdussero misure protettive del posto di lavoro delle donne come una riduzione delle ore lavorative o il divieto di svolgere lavori faticosi, e ci fu il rialzo dell’età minima per i giovani per cominciare un lavoro.15 Rinnovamenti come questi da un lato facilitavano il lavoro extradomestico, dall’altro lato minavano ad espellere le donne da questo tipo di lavoro. Sempre però, le donne restavano escluse da alcuni mestieri e da quasi tutti i posti più alti nella scala della carriera.
Contemporaneamente il regime cercò di creare un’ampia rete di organizzazioni di massa, per controllare tutta la popolazione, per occuparla ed educarla per i propri scopi. In questo modo lo Stato sfruttò il desiderio delle donne di partecipare alla vita fuori casa, ed in un certo senso perfino alla vita politica. Però diede alle donne un’occasione di uscire dalla casa. Il comportamento del regime non solo conteneva contraddizioni nella propria pratica, ma agiva anche in contraddizione allo sviluppo generale della società, alla modernizzazione in atto, alla nascente cultura di massa ed ai desideri della popolazione.
Mentre nel modello vittoriano di fine Ottocento la donna veniva vista come pilastro della casa ed esclusa dalla vita al di fuori di essa, e la vita dell’uomo si svolgeva principalmente nella sfera pubblica, con la modernizzazione nel Novecento e specialmente dopo la Prima Guerra Mondiale, quella divisione dei ruoli dei sessi era difficilmente sostenibile.16
Un punto di conflitto fu, che negli anni venti, specialmente durante la crisi economica degli anni 1926 e 1927, la maggioranza delle famiglie cercava di limitare il numero dei figli17, sia per motivi economici, che per motivi individuali. Accanto alle ragioni economiche, per tante ragazze lo sguardo nel futuro come mogli e madri non era soddisfacente, ma significava restringimento, monotonia e noia. Immaginabili sarebbero inoltre motivi di ambizione emancipazionista. Quindi è probabile, che influenzate dalle nuove idee degli altri paesi e dalla nuova cultura e comunicazione di massa, tante donne aspirassero ad essere più libere ed indipendenti, ad avere più tempo per i propri bisogni, a realizzare i propri sogni ecc., legato ad un “forte senso di individualità” ed ad un “desiderio di gestione del proprio corpo”.18
C’erano altri problemi nella politica di Mussolini, come il suo interesse nel fare politica sociale a buon mercato. Non aveva pazienza e quindi introdusse quasi tutti i programmi e le leggi senza prima fare grandi indagini, con conseguenze incalcolabili.
Un altro problema era, che il sistema dei servizi sociali era complicato, e difficile era la via per usufruirne. Contatti e tenacia erano necessari per superare gli ostacoli burocratici e quindi i servizi non erano accessibili a tutti.19 Inoltre, i servizi (in particolare l’ONMI) dipendevano prevalentemente dal volontariato: questo campo di lavoro, soprattutto occupato dalle donne, le lasciava uscire dalla casa - un’altra contraddizione nella politica fascista.
Dopotutto, il regime non fu capace di stabilire i tassi di natalità durevolmente ad un alto livello, perché non riuscì a compensare le spese legate ai figli. Non garantì neppure un gran numero di privilegi concreti alle donne. Anche il grande problema della disoccupazione nel periodo interbellico non venne risolto. In questo senso, la Germania nazista, per esempio, agì con molto influenza con il risultato di appoggiare di più le famiglie (solo ariane!) e di ottenere un abbassamento della disoccupazione.20
In realtà, in questo periodo il governo italiano esercitava misure repressive per limitare l’emancipazione femminile, i valori di libertà e le richieste di individualismo e partecipazione politica. Per questo, non ammetteva né il voto alle donne né l’uguaglianza dei diritti per entrambi i sessi. Mussolini cercava sempre di impedire che le donne considerassero il lavoro come mezzo di liberazione, e voleva che la donna lavorasse semmai per pura necessità economica. Però il regime non fu in grado di impedire completamente alle donne di lavorare.21
Ma com’era in sostanza la situazione delle donne circa questa problematica e com’erano le condizioni di vita?
[...]
1 De Grazia 1993, pp. 17-38, 120-127.
2 Mosse 1996, p. 177.
3 Dopo un breve periodo di “baby-boom” nel primo dopoguerra, la fertilità italiana diminuiva. Mentre negli anni ottanta dell’ultimo secolo il tasso di natalità ammontava a 39 nati per mille abitanti, negli anni trenta del Novecento del novecento è sceso a 24. Questi condizioni portavano a un divieto del controllo delle nascite, proprio dopo il 1926, quando contraccettivi e aborto venivano messi fuori legge. (De Grazia 1993, pp. 75, 88)
4 Cit. in ivi 1993, p. 70.
5 L’obiettivo di Mussolini non sembrava molto fondato, visto che l’Italia si trovava al quarto posto nell’Europa occidentale in rapporto ai numeri demografici. Popolazioni in migliaia nel 1930: Germania (55,9) Regno Unito (46,1), Francia (41,6), Italia (40,8), Spagna (21,2). (Barbagli, Kertzer 2005, p. 8) Tuttavia Mussolini voleva “trasformare l’Italia da un paese di quaranta milioni di abitanti in uno di sessanta milioni entro la metà del secolo.” (De Grazia 1993, p. 70-71).
6 Ivi 1993, pp. 85-94.
7 Cit. in Meldini, p.19.
8 Ginsborg, in Barbagli, Kertzer 2005, p. 265.
9 Cit. in Mosse, p. 179.
10 De Grazia 1993, pp. 17-38, 88.
11 Cit. in ivi, p. 67.
12 Ivi, pp. 233-238, 17-38, 69-70.
13 Ivi, p. 26.
14 Ivi, pp. 105-106, 70-75.
15 Ivi, p. 243.
16 Ivi, p. 24.
17 Ivi, pp. 69-70.
18 Cit. ivi, p. 81.
19 Ivi, pp. 133, 138-140.
20 Ivi, pp. 106-107.
21 Ivi, p. 232.
- Citation du texte
- Nina Streich (Auteur), 2008, Le donne nel fascismo italiano, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/158960
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