Riccardo Bauer nacque a Milano il 6 gennaio 1896, figlio secondogenito di un cittadino boemo (perciò suddito austriaco) che sul finire del secolo scorso si era stabilito a Milano per ragioni commerciali e aveva sposato Giuseppina Cairoli, maestra nata a Mortara, in Lomellina.
Terminati gli studi al Cattaneo, Bauer si iscrisse alla Bocconi proprio quando scoppiò la prima guerra mondiale. Fu subito promotore del movimento che chiedeva la chiusura delle università durante il conflitto per non favorire gli imboscati: a suo giudizio l’impero asburgico, impedendo il riconoscimento delle singole nazionalità, impediva il loro sviluppo culturale e la loro libertà.
Allo scoppio della guerra, Bauer era stato subito interventista; anzi, benché avverso a “ogni esaltazione nazionalistica”, aveva affrettato le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana (essendo figlio di un cecoslovacco), ma non gli era stato permesso di partire volontario. Comunque, di lì a poco era stato chiamato di leva e spedito all’Accademia di Torino per il corso ufficiali, e poi al fronte per l’artiglieria di montagna con il grado di tenente.
Colpito al capo una prima volta il 24 giugno 1916, aveva voluto riprendere servizio nel secondo Reggimento di artiglieria di montagna, prendendo parte anche all’azione dell’Ortigara. Il 17 novembre 1917, dopo il terribile disastro di Caporetto, aveva riportato una grave ferita sul Monte Tomba: un proiettile gli era rimasto conficcato nella scapola fratturata, e ne subirà le conseguenze anche durante gli anni di carcere. Eppure, nonostante il giudizio durissimo sulla “massacrante e stupida condotta della guerra, nella quale migliaia di uomini erano stati sacrificati con una tattica frontale che solo l’inerzia dello Stato Maggiore dei Pollio e dei Cadorna poteva spiegare”, aveva ripreso volontariamente a combattere nella tarda estate del 1918, e solo nel giugno del 1919 aveva ottenuto il congedo definitivo, portandosi a casa una medaglia di bronzo al valore, due croci di guerra ed un encomio solenne.
INDICE
1. Una vita per l’ideale democratico
2. La continua ricerca di un’educazione civile
3. La politica come dovere
4. L’azione culturale e civile all’Umanitaria
APPENDICE
BIBLIOGRAFIA
1. Una vita per l’ideale democratico
Riccardo Bauer nacque a Milano il 6 gennaio 1896, figlio secondogenito di un cittadino boemo (perciò suddito austriaco) che sul finire del secolo scorso si era stabilito a Milano per ragioni commerciali e aveva sposato Giuseppina Cairoli, maestra nata a Mortara, in Lomellina[1].
Terminati gli studi al Cattaneo, Bauer si iscrisse alla Bocconi proprio quando scoppiò la prima guerra mondiale. Fu subito promotore del movimento che chiedeva la chiusura delle università durante il conflitto per non favorire gli imboscati: a suo giudizio l’impero asburgico, impedendo il riconoscimento delle singole nazionalità, impediva il loro sviluppo culturale e la loro libertà[2].
Allo scoppio della guerra, Bauer era stato subito interventista; anzi, benché avverso a “ogni esaltazione nazionalistica”, aveva affrettato le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana (essendo figlio di un cecoslovacco), ma non gli era stato permesso di partire volontario. Comunque, di lì a poco era stato chiamato di leva e spedito all’Accademia di Torino per il corso ufficiali, e poi al fronte per l’artiglieria di montagna con il grado di tenente[3].
Colpito al capo una prima volta il 24 giugno 1916, aveva voluto riprendere servizio nel secondo Reggimento di artiglieria di montagna, prendendo parte anche all’azione dell’Ortigara. Il 17 novembre 1917, dopo il terribile disastro di Caporetto, aveva riportato una grave ferita sul Monte Tomba: un proiettile gli era rimasto conficcato nella scapola fratturata, e ne subirà le conseguenze anche durante gli anni di carcere. Eppure, nonostante il giudizio durissimo sulla “massacrante e stupida condotta della guerra, nella quale migliaia di uomini erano stati sacrificati con una tattica frontale che solo l’inerzia dello Stato Maggiore dei Pollio e dei Cadorna poteva spiegare”[4], aveva ripreso volontariamente a combattere nella tarda estate del 1918, e solo nel giugno del 1919 aveva ottenuto il congedo definitivo, portandosi a casa una medaglia di bronzo al valore, due croci di guerra ed un encomio solenne[5].
Tornato a Milano, nel dicembre del 1920 aveva conseguito la laurea in Scienze economiche alla Bocconi con una tesi discussa con Vincenzo Porri, un giovane assistente di Attilio Cabiati, nei confronti del quale Bauer conserverà sempre ammirazione e affetto. Nello stesso anno, il Palazzina, direttore della segreteria universitaria, segnalò il Bauer alla Società Umanitaria e nel 1923 lo propose per un insegnamento al nuovo istituto tecnico Pietro Verri. Augusto Osimo, una delle figure più eminenti del socialismo milanese, segretario generale dell’Umanitaria, gli affidò la segreteria del Museo sociale, un osservatorio di fatti sociali e un centro di iniziative di livello internazionale, oltre che nazionale. La Società Umanitaria, fondata in seguito ad un lascito di tredici milioni di lire da Prospero Moisè Loria era divenuta, grazie al consiglio illuminato di Osvaldo Gnocchi Viani, fondatore delle Camere del lavoro, un centro di iniziativa sociale moderno a favore della classe operaia.
Le opere dell’Umanitaria si fondavano su studi empirici sulla condizione della classe operaia. Le inchieste e le ricerche sugli scioperi, sul lavoro notturno dei panettieri, sul lavoro nelle risaie (per citarne solo alcuni) godevano della collaborazione di Filippo Turati, Montemartini, Lorenzoni, Luzzatto, Cabrini, Pagliari ed altri che rappresentavano la continuità con gli studi sociologici, di cui anticipatori erano stati in Italia Robert Michels, Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto. La fama della Umanitaria era veicolata dalla fama delle sue opere: la cooperazione, la legislazione sociale, l’emigrazione, le case popolari, le case dei bambini di Maria Montessori, le scuole per gli operai e gli artigiani, la lotta contro l’analfabetismo. Venne, in seguito, avviato l’Istituto superiore per le industrie artistiche di Monza.
Erano mesi torbidi e drammatici. Da una parte, il nascente movimento fascista soffiava sul fuoco, sfruttando le illusioni e le velleità, le amarezze e i rancori degli ex- combattenti; dall’altra, sull’onda della “grande avventura” dell’Ottobre Rosso, l’occupazione delle fabbriche tentava (inutilmente) di imitare la Russia del ’17, mentre i gruppi della sinistra – nonostante bei discorsi e belle parole[6] – rimanevano paralizzati dai contrasti interni. Bauer si era da subito schierato contro la retorica dannunziana di Fiume e tutte le speculazioni della “vittoria mutilata”. Con altrettanta fermezza, si era sentito avverso alle prepotenze e alle velleità pseudo-rivoluzionarie di Mussolini e delle camicie nere. La sua formazione culturale, ancor prima della sua educazione politica, era indissolubilmente legata all’eredità dell’Illuminismo e dei “Sacri Principi” del 1789: libertà, uguaglianza, stato di diritto, sovranità parlamentare, garanzie costituzionali. Insomma, egli aveva fatto propri tutti i caratteristici ingredienti liberal-democratici che facevano appello al primato della ragione e che invece i nuovi “miti” irrazionalistici e vitalistici del fascismo già additavano al pubblico disprezzo, esaltando l’azione, la lotta, la forza “purificatrice”.
Nei confronti dei moti operai del ’20 il giudizio di Bauer, a differenza della paura pura e semplice che aveva scosso tanti benpensanti di allora, era stato di “estrema attenzione”[7] verso i tentativi innovatori, sfortunati ma generosi, delle masse proletarie. Anche in questo, non era difficile cogliere una serie di contatti e analogie interpretative con le tesi che proprio in quel tempo andava sostenendo un altro giovane – Piero Gobetti[8] – destinato, assieme a Rosselli[9], a diventare amico di Bauer e sodale con lui nella dura battaglia politica. Tuttavia, Bauer avvertiva concretamente soprattutto il vigile interesse per i massicci problemi del mondo del lavoro, che le tensioni del dopoguerra avevano reso più inquietanti, in forza della particolare attività che aveva cominciato a svolgere alla Società Umanitaria, proprio nell’ambito del cosiddetto Museo Sociale: un settore importante nell’opera di promozione e sviluppo a sostegno di quella emancipazione operaia che rimarrà l’obiettivo fondamentale dell’Umanitaria fino alla primavera del 1924, quando anche Bauer verrà cacciato dalla commissione fascista presieduta da De Capitani d’Arzago (ma ci ritornerà all’indomani della Liberazione per ricostruirla e darle nuovo slancio di attività).
I legami con Gobetti erano diventati più intensi verso la fine del 1923, in quanto Bauer era stato tra i promotori del gruppo milanese degli amici di “Rivoluzione liberale”, circoli di opposizione attiva ed intransigente al fascismo trionfante. Bauer scrisse, inoltre, regolarmente sulla omonima rivista di Gobetti e firmò alcuni articoli di fondo. Ma la rivista gobettiana (alla quale aveva collaborato fin dal 1922) veniva criticata dallo stesso Bauer perché troppo colta e di conseguenza inefficace a far sentire la propria positiva influenza “fuori della cerchia non molto ampia del mondo intellettuale”[10]. Visto che il fascismo, giunto al potere con la prepotenza e la violenza, trovava crescenti favori, subdole connivenze e tacite omertà, bisognava decidersi ad oltrepassare il piccolo orizzonte d’ elite e rivolgersi a un pubblico più vasto, che minacciava di adattarsi “passivamente alla nuova servitù”[11]. Nasceva da qui l’idea non già di rompere con Gobetti, ma di allargare il raggio di azione con il Caffè, un foglio più snello e di facile lettura, così da ottenere nuovi spazi di consenso proprio nel momento in cui la presunta “normalizzazione” del fascismo gettava le basi di un “regime” reso ancor più pesante dalle complicità di troppe forze sedicenti liberali e popolari (come, del resto, avevano dimostrato le elezioni dell’aprile del 1924). Naturalmente, rivolgersi ad un pubblico vasto e composito, che non si esauriva nell’ intellighenzia colta, comportava il dovere di parlare chiaro, con una “capacità di immediatezza e di popolarità”[12] che finiva per esporre il Caffè alle immediate ritorsioni da parte degli zelanti esecutori delle direttive centrali. Come, in effetti, accadde dal secondo numero (quello che parlava del delitto Matteotti[13] come di una “maledetta macchia di sangue da lavare”) fino all’ultimo: tutti sottoposti al sequestro preventivo, che poi, all’atto pratico, non riusciva mai a diventare operante in virtù di mille abilissimi stratagemmi attraverso la complicità degli stessi tipografi[14]. La lotta che il gruppo del Caffè voleva portare avanti risultava doppiamente difficile, perché non si esauriva contro un unico obiettivo ma, seppure in modi diversi, finiva per svolgersi su due fronti. Anche a sinistra, infatti, dove avrebbe dovuto operare il compatto schieramento degli oppositori del fascismo, c’erano zone pericolose che nascondevano insidie e paralizzanti qui pro quo [15] .
Nel 1924 il fascismo, ormai stabilmente al potere, inviò su sollecitazione degli agrari lombardi una commissione d’inchiesta all’Umanitaria al fine di dimostrare la spendita del patrimonio sociale a favore dei sovversivi. Bauer riuscì ad ottenere una copia della relazione della commissione, nella quale non venivano riscontrate irregolarità. Nel 1923 pubblicò, quindi, due articoli di aperta denuncia su Rivoluzione liberale di Piero Gobetti.
Nell’anno successivo, tuttavia, in seguito ad un intervento contro il prestito lanciato dai fascisti, fu invitato a dimettersi dal preside Franzoni. Luigi Veronesi, allievo del Bauer, ricorda di quegli anni la straordinaria efficacia del suo insegnamento e l’affetto che gli allievi gli dimostravano[16].
Analogamente, anche l’esperienza del Caffè si interrompeva con un brusco atto di forza nell’estate del 1925. Ma la stagione del Caffè non sarebbe rimasta una pagina chiusa e sterile nella storia dell’antifascismo militante. Essa avrebbe lasciato un segno indelebile almeno in alcune figure del gruppo decise a proseguire a qualunque costo, magari sul terreno della clandestinità[17]. La linea del Caffè trovava sostanziali analogie col Non Mollare che era sorto a Firenze anche sulla linea romantico-insurrezionale del disciolto movimento “Italia Libera”, ispirato alla tradizione repubblicana[18], e che Gaetano Salvemini[19], Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi[20] si sforzavano di pubblicare in piena clandestinità, fedeli al loro motto[21].
Anche il Non Mollare avrà vita breve, fino al numero 22, fatto stampare da Rosselli con la data del 5 ottobre 1925, ma intanto Salvemini aveva già trascorso quaranta giorni a Regina Coeli e alle Murate prima di ottenere la libertà provvisoria grazie ad un cavillo giuridico sollevato in sede processuale. Il fascismo ormai era in sella, e gli oppositori che non volevano desistere dovevano prepararsi ad un’attività illegale, certamente lunga e carica di incognite. In realtà, alcuni avevano avuto subito la sincerità di dichiararsi non disponibili a procedere nella lotta clandestina; altri invece, con Bauer e Parri[22] in testa, avevano deciso “di non dover trascurare alcuna strada impostaci dalla dittatura, che mostrava di non avere scrupoli e di non poter essere rovesciata soltanto da una verbale azione politica”[23].
Soprattutto gli anni fra la fine del 1925 e il 1930 saranno densi di vicende personali per tutti quelli che, come Bauer, avevano stabilito di restare in Italia e di non estraniarsi dalla vita politica pur sapendo che sarebbe diventata sempre più una lotta antigovernativa, da condurre in termini di sovversione anche violenta. Le figure di primo piano dell’opposizione – Amendola[24], Gobetti, Nitti[25], don Sturzo[26], Salvemini, Donati[27] – avevano lasciato il nostro Paese. Di lì a poco, dopo l’istituzione del tribunale speciale, il confino di polizia e le leggi eccezionali del novembre del ’26 era cominciata quella che Garosci[28] aveva chiamato la “terza ondata” della emigrazione politica antifascista[29], che porterà in esilio la maggior parte dei gruppi dirigenti dei partiti sciolti e messi fuori legge:
Proprio alla preparazione della fuga di Turati, Bauer aveva dato un apporto decisivo quando si raggiunse la convinzione che la sua permanenza a Milano sarebbe diventata sempre più pericolosa[30]. Anna Kuliscioff[31] era già morta alla fine del 1925[32]. Nei mesi successivi Bauer aveva intensificato i contatti con Carlo Rosselli, che aveva fatto ritorno a Milano da Genova, dove insegnava Economia politica, e si era immerso nell’impresa del Quarto Stato, la rivista che uscirà per pochi mesi – dal 27 marzo al 30 ottobre del 1926 – e nella ricerca di un rinnovamento del socialismo conterrà non poche tesi anticipatrici di quello che sarebbe rimasto il programma rosselliano del Socialismo liberale[33].
Quest’aiuto dato a Turati, e soprattutto quello offerto a due giornalisti allora antifascisti, desiderosi di passare oltre frontiera – Carlo Silvestri e Giovanni Ansaldo, che era stato tra i collaboratori di Rivoluzione liberale e del Caffè [34] - avevano stretto intorno a Bauer (come, del resto, agli altri compagni) il cerchio della repressione poliziesca. Cominciava la lunga sequela dei soggiorni in carcere: prima nel San Donnino di Como, in compagnia di Ansaldo e Silvestri, in seguito il passaggio all’Ucciardone di Palermo e il confino di Ustica, dove era stato assegnato con una condanna di due anni e dove già si trovava Carlo Rosselli, che lo ospiterà nella sua casa insieme a Mario Dabove, mentre sull’isola erano raccolti altri grossi oppositori antifascisti: dall’ex sindaco di Molinella, Giuseppe Massarenti, al leader comunista Bordiga, da Romita a Mario Angeloni.
Nel gennaio del 1928 Bauer era stato poi trasferito a Lipari, dove c’era anche Emilio Lussu[35]. Nell’aprile dello stesso anno aveva fatto ritorno a Milano “costantemente seguito dagli agenti”[36], intennsificando la frequentazione con Ernesto Rossi, forse il suo amico più caro[37]. Della formale “diffida” a svolgere qualunque attività politica Bauer aveva deciso di non tenere alcun conto; anzi, la vicinanza dei compagni gli era servita da sprone per non interrompere il piano di lotta al fascismo e mettersi a preparare nuovo materiale di propaganda, che avrebbe dovuto servire a far nuovi proseliti, nel momento stesso in cui la politica mussoliniana sembrava raggiungere ulteriori successi.
Il 1929 è un anno-chiave nella storia del fascismo al potere. E’ l’anno della conciliazione, che segna qualcosa di molto più importante e decisivo della semplice chiusura della questione romana, perché mette capo all’accordo tra il fascismo e le supreme gerarchie della Chiesa cattolica, che varrà – almeno strumentalmente – a completare i tratti liberticidi del regime, ormai deciso ad assumere il suo volto totalitario. Proprio all’indomani della firma dei Patti Lateranensi, Bauer scrive uno dei suoi pamphlets più taglienti, destinati a diventare famosi specie nel secondo dopoguerra grazie alla diffusione che di essi darà Ernesto Rossi[38]. Ma l’attivismo di Bauer non si ferma qui. E’ subito in prima linea, a fianco di Nello Rosselli (il fratello Carlo era ancora al confino e stava progettando la fuga da Lipari) con un’altra iniziativa editoriale di grosso impegno, almeno nelle intenzioni: la rivista Lotta politica, uscita nella primavera del 1929 ma rimasta pressoché sconosciuta per il fatto che la polizia fascista – come ha ricordato anche Garosci[39] - era riuscita subito ad impossessarsi di quasi tutte le copie pubblicate in Francia e poi trasportate clandestinamente nel nostro Paese. Lotta politica, quindi, non sopravvivrà al destino che durante il ventennio è toccato a tanta parte dei fogli clandestini. Eppure, sarebbe erroneo ritenere che nessun segno sia rimasto di questa rivista, quasi si trattasse di uno di tanti “numeri unici” di cui è piena la storia della stampa fuorilegge, ed anche di questa iniziativa Bauer è tra i promotori[40]. I successivi quattro opuscoli della collezione Nuova Libertà – rimasti anch’essi pressoché ignoti fino ad oggi – costituiscono una specie di complemento e completamento delle tesi fondamentali di Lotta politica, e lasciano facilmente intendere, anche nella sobria veste tipografica, il senso di una continuità che trova una conferma nei temi specifici di volta in volta affrontati[41].
La presenza di Bauer nella clandestinità continuava ormai senza tregua, quasi si trattasse di un obbligo senza alternative. Intanto, anche la serie della collezione di la Nuova Libertà doveva interrompersi presto, sempre nel corso del 1929, che – visto retrospettivamente – è destinato a rappresentare un anno decisivo per Bauer come pure per molti degli amici che provenivano dagli ambienti del Caffè, di Rivoluzione liberale, di Quarto Stato o di Lotta politica, ultima tra le riviste di orientamento liberaldemocratico[42]. Ancora una volta, era stato Bauer a collaborare con Gioacchino Dolci[43], un giovane operaio di tendenze repubblicane, per preparare la fuga di Carlo Rosselli da Lipari nel luglio del 1929[44]. Non si era tirato indietro neppure quando Rossi gli aveva prospettato un piano dimostrativo di grande effetto (una serie di attentati alle sedi delle intendenze di finanza di alcune città del nord e del centro-sud) che, però, non si concluse mai: il 30 ottobre 1930 una retata portò in carcere ventiquattro esponenti di “Giustizia e Libertà” nel tentativo di spezzare i fili del movimento antifascista.
Ricominciava da quel momento la pesante stagione che avrebbe privato Bauer della libertà fino all’agosto del 1943. Venne condotto prima a Brescia, poi a Roma. Il dibattito processuale durò meno di due giorni. La sentenza lo riconobbe colpevole di attentato all’ordine costituzionale dello Stato e lo condannò a venti anni di carcere[45].
Nel dicembre del 1939, dopo quasi un decennio di carcere durante il quale – per usare il linguaggio burocratico dei rapporti di polizia[46] - “il Bauer non ha dato alcuna prova di ravvedimento, manifestandosi invece un irriducibile avversario del Regime”, cominciava il cosiddetto periodo di “aria libera condizionata” [47] con il confino di polizia per cinque anni nell’isola di Ventotene, ancora una volta insieme a Rossi e ad altri antifascisti, tra cui Sandro Pertini. Dell’ultimo periodo di Ventotene rimangono alcuni scritti, spediti clandestinamente “in continente”, che mostrano la continuità della linea dal Caffè al movimento di “Giustizia e Libertà”, fino a quello che sarà, dal ’42 al ’46, il Partito d’Azione, la “meteora ben presto apparsa e scomparsa nel cielo della politica nazionale”[48]. Improvvisamente, nel giugno del 1943 Bauer – come sempre insieme a Rossi e a Calace[49] – era nuovamente trasferito a Regina Coeli nel più assoluto isolamento fino ai fatti del 25 luglio 1943[50].
Uscito subito dal carcere[51], anche Bauer dava la sua immediata adesione al Partito d’Azione, dove andavano confluendo “molti degli intellettuali che avevano in “Giustizia e Libertà” e nel movimento liberal-socialista[52] superato il rigido concetto classista su cui contavano i socialisti di stretta osservanza marxista”[53]. Si apriva così l’ultimo, intensissimo periodo della politica attiva di Bauer: un periodo che non aveva più l’intemperanza giovanile e un po’ romantica dei tempi eroici del Caffè, ma era contrassegnato dalla stessa vibrante tensione ideale, dalla stessa incrollabile “fede nella virtù positivamente creatrice della libertà”[54], dallo stesso tenace imperativo “agisci secondo coscienza”[55]. Ciò significava, sul piano pratico, proseguire con rinnovato fervore nella lotta contro il fascismo proprio nel momento in cui la dittatura, sotto gli esiti disastrosi del conflitto, mostrava il bilancio di un ventennio di politica sostanzialmente fallimentare. Sul piano teorico ed ideologico, voleva dire portare avanti quel difficile processo di affinamento concettuale dei programmi, delle formule e delle strategie di lotta che molti dei vecchi partiti antifascisti non erano capaci di operare e che, invece, per Bauer e per altri convinti azionisti doveva rappresentare uno dei presupposti condizionanti per qualunque non effimera rinascita, “il tentativo cioè di sostituire ad una meccanica dialettica una consapevole dinamica di valori universali fuor d’ogni astratta cristallizzazione”[56].
In sede operativa, già ai primi di settembre del 1943, dopo il convegno nazionale del partito d’azione a Firenze, Bauer – che si muoveva con documenti falsi (intestati[57] a un certo Augusto Sala, archivista del Ministero delle corporazioni, oppure a Oliviero Rossi, tecnico “abilitato per il servizio del lavoro” presso l’università di Roma) – era entrato a far parte del comitato esecutivo centrale con l’incarico specifico di organizzare a Roma la segreteria del partito. Dopo l’8 settembre 1943 e la fuga della monarchia, era diventato il capo delle formazioni partigiane del partito d’azione e aveva preso posto nel cosiddetto Comitato n. 2 creato in seno al Comitato Centrale di Liberazione Nazionale[58]. L’incarico dato a Bauer era soprattutto di vedere come organizzare le operazioni militari del Settentrione in rapporto al movimento partigiano negli ultimi mesi della lotta, tenendo le fila da Roma.
Nel 1945, liberato il nord, si costituisce a Roma il governo Parri. Bauer, che già nell’estate del 1943 si era recato a riprendere i contatti con l’Alta Italia, raggiungerà Milano accompagnato dal colonnello De Haan (contro il divieto di Churchill, fautore della monarchia, ma con l’aiuto degli americani[59] ) all’indomani del 25 aprile 1945[60], data che segna il crollo definitivo del fascismo e la provvida riconquista della libertà.
Ma la decisa presenza di Bauer (che nella primavera del ’44 abitava, ospite di Ugo La Malfa[61], in Trastevere) doveva farsi sentire, anche in sede di dibattito più propriamente politico-concettuale, durante la breve e densa stagione in cui il partito d’azione sembrava destinato a rompere l’inerzia di vecchi clichés e di formule astratte, per avviare “un razionale aggiornamento ideologico”[62], troppo presto, e bruscamente, travolto dai dissensi interni e dal peso di un’esperienza – quella del governo Parri – “incautamente tentata senza aver prima raggiunte nel paese salde radici organizzative, avendo a nemici aperti o nascosti tutti gli altri partiti, punto desiderosi di uscire dall’antica routine” [63] . E la conferma di questo contributo dato da Bauer, anche sotto forma di pungolo critico, nel periodo in cui più carico era il travaglio interno tra le due correnti azioniste (quella democratica e quella, capeggiata da Lussu, più tenacemente socialista), si ricava dai “chiarimenti ideologici”[64] che arricchiscono due saggi apparsi nel ’44, pubblicati con lo pseudonimo di Carlo Bandi, in una collana di Quaderni di Italia Libera, dal nome dell’organo ufficiale del Partito d’Azione[65].
Con la liberazione di Roma si apriva una nuova fase in quella politica che avrebbe dovuto creare i presupposti e le garanzie per una coraggiosa rinascita. E’ vero che l’Italia settentrionale era ancora occupata dalle truppe naziste e che, di conseguenza, il fronte di combattimento si spostava al nord, dove ormai si andavano ingrossando le file della resistenza partigiana; ma è altrettanto vero che già si ponevano, in tutta la loro ampiezza e drammaticità, i problemi della “svolta” che bisognava essere capaci di imprimere alla vita del Paese appena si fosse conclusa la guerra. Bauer avrebbe voluto subito passare le linee e andare a nord per un bisogno di azione che neppure i lunghi anni di carcere e di confino erano riusciti a cancellare, ma, anzi, che proprio l’inerzia forzata sembrava aver accresciuto insieme ai richiami di una forte passione civile. Ma i responsabili del Comando alleato l’avevano dissuaso, chiedendogli di rimanere a Roma con un incarico di consulenza tecnica per le operazioni di aiuto che bisognava svolgere a vantaggio dei gruppi partigiani, sempre più attivi nelle zone dell’alta Italia[66].
L’incarico era certamente di notevole responsabilità, e Bauer non esitò ad accettarlo[67]. Non rinunciò, tuttavia, a riprendere quell’attività pubblicistica che fin dai tempi del Caffè aveva costituito una specie di costante bisogno di chiarire a se stesso e agli altri che cosa occorresse fare per uscire dal buio tunnel di una crisi ventennale e mutare finalmente scenario. Nasceva così l’idea di dare vita alla rivista Realtà politica, che sarebbe uscita il 20 dicembre del 1944 e avrebbe proseguito, con periodicità quindicinale, fino ai primi di luglio del ’46. Bauer, secondo la formula di allora, fungeva da redattore capo: in effetti, nell’ufficio della Galleria Colonna a Roma[68] era lui l’ispiratore e l’animatore del gruppo, che veniva definito come la “destra” del Partito d’Azione[69]. Bauer fu la voce più autorevole e chiara per la battaglia democratica e repubblicana, che approdò alla legge istitutiva del referendum sulla forma dello Stato[70].
Senza dubbio, a ripercorrere le tappe dell’attività politica dell’azionismo nei mesi successivi al 25 aprile, una “inefficienza del partito come tale” si riscontra; tant’è vero che Bauer non ne farà mistero in uno scritto[71] che precede il primo Congresso nazionale, quello che si svolgerà a Roma dal 4 all’8 febbraio 1946 e ne segnerà la scissione[72]. Bruciate, nel giro di pochi mesi, le speranze di un pronto e genuino rinnovamento anche in seguito alla crescita incontrollata e spesso equivoca[73] del partito, Bauer scelse di dimettersi dal partito ed inviò un’analoga lettera di dimissioni a Sforza, presidente della Consulta, non ritenendo compatibile di proseguire a partecipare a quell’assemblea in rappresentanza di un partito al quale non apparteneva più[74].
Il crollo disastroso del fascismo ed il tormentato avvio del sistema democratico, nel momento stesso in cui restituivano a Bauer quella completa libertà d’azione che per tanti anni gli era stata impedita, invece di aprirgli le porte della politica attiva, attribuendogli responsabilità di primo piano (come si sarebbe potuto abbastanza facilmente immaginare), dovevano segnare molto presto il suo distacco da una presenza diretta nella difficilissima fase di ricostruzione del Paese. Tali eventi condurranno difatti Bauer – che dell’uomo di parte e di partito non aveva la forma mentis – a testimoniare con lombarda concretezza il suo impegno civile non già nell’ambito propriamente partitico, parlamentare o governativo, ma in un settore solo all’apparenza minore, quantunque molto rilevante per la crescita di una società democratica: il settore educativo per la promozione e la difesa del mondo del lavoro, degli indigenti, dei giovani che avevano trovato il centro di propulsione nella Società Umanitaria, l’organismo milanese che i bombardamenti del 1943 avevano ridotto ad un immane cumulo di macerie e che Bauer con instancabile operosità farà rinascere nel giro di pochi anni[75].
Bauer scelse, quindi, di ritornare nel comitato di riordinamento dell’Umanitaria; ne divenne, in seguito, commissario straordinario al posto di D’Aragona[76]. Naturalmente, anche dopo il ritiro dalla vita politica attiva, Bauer continuerà a far sentire la sua voce con una serie di interventi su giornali e riviste[77] che denotano l’attenta, coerente ed ininterrotta ricerca di ogni fenomeno di costume e malcostume lontano dall’immagine di una democrazia autentica, da sottrarre ai tristi residui della corruzione e della diseducazione civile[78].
Nel 1945 accanto a Bauer ci sono uomini validissimi tutti decisi a realizzare una sorta di miracolo: rimettere in piedi un’istituzione praticamente in ginocchio[79]. La vista delle macerie lasciate dai bombardamenti dell’agosto 1943 doveva essere uno spettacolo tremendo per quanti, memori di cosa fosse scaturito in quei quattordici fabbricati eretti nel quadrilatero edificato tra via Daverio, via San Barnaba, via Pace e via Fanti, avevano ancora davanti agli occhi l’opera straordinaria di un luogo che fino al fascismo aveva saputo anticipare e affrontare con destrezza e lucidità alcune delle più drammatiche istanze sociali del Novecento: le case popolari, gli uffici di collocamento, le case per emigranti, le scuole d’arte e mestieri, gli uffici legali per l’assistenza ai poveri e tanto altro ancora. L’Umanitaria era stata “un istituto di sperimentazione sociale disposto a tentare in ogni campo il nuovo, pronto quindi ad affrontare ogni più ardita incognita”[80] ; la ricostruzione dell’ente apparve quindi a Bauer “ben degno e prioritario compito e giustificante l’abbandono di ogni attività politica diretta, anche se la necessità della azione politica ancora chiamasse, ma concepita diversamente, come contributo ad una maturazione politica culturale e morale che di una reale democrazia non può non essere fondamento primo”[81].
Per l’amministrazione Bauer si trattava di risalire la china, acquisire a patrimonio i danni di guerra, acquistare uno stabile da destinare a Centro residenziale per l’educazione degli adulti, cioè la Villa di Meina[82]. Già nell’autunno del 1945, Bauer organizza un corso per la propaganda della cooperazione, riservato a quaranta allievi, come segno di continuità con la Scuola di cooperazione e di legislazione sociale operante agli inizi del secolo. Quasi per ribadire la continuità con l’Umanitaria originaria, Bauer sente il dovere di restituire vita al Museo sociale (dove lui stesso aveva lavorato da giovane, ma che era stato reso inattivo nel 1924 dall’amministrazione fascista[83] ), rinominandolo Centro di Studi Sociali, pur mantenendone gli obiettivi e le prerogative di sempre, ovvero “tutto un complesso multiforme e vario di iniziative sociali considerate indispensabili per ridare una sicura e nuova coscienza democratica al paese”[84]: insomma, non per farne un semplice strumento di registrazione della storia sociale italiana, ma per renderlo una macchina attiva a pieno regime, il centro direzionale di quanto l’Umanitaria poteva e doveva rimettere in campo.
Infatti, proprio attorno al Centro di Studi Sociali comincia a fiorire l’apparato formativo, pratico e teorico, che nel giro di un decennio porterà ad una delle esperienze didattiche italiane più importanti ed innovatrici del secondo dopoguerra. Grazie all’appoggio dell’Opera Nazionale Combattenti, l’attività della Scuola di cooperazione si amplia e si arricchisce. Nel maggio del 1946 hanno inizio i corsi per contabili ed amministratori di cooperative, seguiti da corsi per dirigenti di cooperative e di specializzazione e, ancora, da un corso per apprendisti delle cooperative di consumo. Nelle intenzioni di Bauer c’è il lavoro di educazione delle masse a collaborare e cooperare per il bene comune, per la crescita della società , per il miglioramento delle condizioni dell’uomo in un regime di libertà, di etica del lavoro, di piena democrazia[85].
Accanto ai finanziamenti per la ricostruzione materiale – che peraltro arriveranno a gocce infinitesimali[86], Bauer si aspettava anche cospicui finanziamenti per le attività che l’ente aveva immediatamente ripristinato mettendosi al servizio della città e dei lavoratori. Su questo fronte, invece, non si ottenne nulla. Bauer non se ne diede pace e più volte fece presente il disagio a D’Aragona, diventato ormai uomo di spicco nel governo presieduto da De Gasperi[87]: “In questi anni l’Umanitaria ha potuto fare assai meno di quello che avrebbe dovuto fare per la sua tradizione, se non le fossero stati costantemente lesinati i denari”[88].
Intanto, l’Umanitaria continuava ad assolvere la sua missione proprio come un servizio sociale, che Bauer contemplava nelle più svariate forme. Venne quindi istituita una moderna scuola per assistenti sociali dove formare personale idoneo ai compiti che la ricostruzione economica, sociale, culturale e politica imponeva in tale settore con sedi a Milano, Roma, Napoli e con una convenzione con Torino. Alla scuola venne dato un taglio estremamente moderno, aderente ai problemi e ai bisogni di una società già in rapida trasformazione, prevedendo stages e tirocini operativi che gli iscritti effettuavano presso istituzioni sociali, sanitarie e carcerarie di tutta Italia[89].
Il momento storico non era certo dei più facili. Nel 1945 il salario medio era circa la metà del 1938. Nelle fabbriche e nelle campagne scoppiavano agitazioni continue che neppure il rinato sindacato riusciva a contenere. Con così tanti interessi in gioco si moltiplicavano le frazioni, le divergenze, le fratture (la crisi del sindacato unitario partirà da qui). Sullo sfondo di un panorama così incerto si innestava tutto il programma di rinnovamento che Bauer andava intraprendendo. Fin da subito, egli avvertì l’importanza del rilancio dell’istruzione professionale accompagnata da un’educazione sociale ed estetica: la preparazione dei giovani non doveva essere unicamente tecnica, bensì era da affiancare ad un’educazione culturale dialettica, così da fare di ciascuno un lavoratore preparato ed insieme un cittadino cosciente dei propri diritti e doveri[90]. Difatti, nel 1945 fu nuovamente istituita l’antica scuola di cooperazione, articolata in tre corsi per reduci e partigiani: il corso preparatorio, mirante a formare una mentalità cooperativa; il corso di contabilità ed amministrazione, mirante a indurre specifiche competenze tecniche, il corso per dirigenti di cooperative, mirante a una specializzazione nel campo del consumo, della produzione o dell’agricoltura. L’attività durò fino al 1949 e si estese a una Scuola biennale per apprendisti[91].
Le Scuole professionali dell’Umanitaria comprendevano ben trentuno corsi annuali maschili, suddivisi per attività. Accanto a questi, erano stati istituiti nove corsi annuali femminili, suddivisi nei settori di taglio e cucito per biancheria, confezione di biancheria e ricamo per uso domestico, sartoria professionale, sartoria domestica a cui si aggiunsero le attività della Scuola del libro riaperta nel 1946 (che prevedeva corsi annuali per compositori a mano, impressori tipografi, litografi, legatori, linotipisti, fotoincisori) , subito sostenuta dall’apporto progettuale e finanziario di un consorzio dove, accanto a Comune e Provincia, figuravano la Federazione degli operai tipografici e cartai, l’Unione industriale delle arti grafiche e cartotecniche, l’Associazione editori e librai ed il Centro studi grafici di Milano. A questa attività vennero destinate due grandi aule per gli insegnamenti; successivamente venne ultimata la costruzione di un convitto dove operai ed apprendisti di ogni età potessero essere accolti durante la loro frequenza “perché l’ospitalità di Milano ad allievi foresi è insufficiente ed in ogni caso dispendiosa”[92].
Nel 1948 il Ministero del Lavoro affidò all’Umanitaria l’incarico di predisporre un complesso piano di corsi di riqualificazione per disoccupati per le provincie di Bergamo, Brescia, Como, Mantova, Milano, Pavia e Sondrio: un lavoro titanico (centonove i corsi complessivi) che “si presentava tutt’altro che scevro di difficoltà per la vastità del compito, per la estesa dislocazione delle località, per le interferenze di altri enti, istituti e associazioni, per le rivalità che ne sarebbero sorte e per il non sempre sufficiente interessamento degli organi specificamente chiamati ad occuparsi dei corsi, ma al quale l’Umanitaria, per sua tradizione, non poteva rimanere indifferente”[93].
Nel 1949 Bauer stilò una relazione riguardante un nuovo servizio dell’Umanitaria a favore degli emigranti. Di fronte ad un nutrito movimento migratorio che aveva investito larghe masse di lavoratori (dal 1945 al 1954 si calcolavano oltre un milione e mezzo di lavoratori in viaggio verso il nord e i paesi esteri), Bauer prospettò di rimettere in piedi quello che era stato il Servizio Emigrazione, ma con caratteristiche diverse rispetto a quelle poste in essere all’inizio del secolo: “L’assistenza agli emigranti si svolge per improvvisazione piuttosto che secondo un meditato piano d’azione, con la conseguenza che il loro collocamento non avviene secondo criteri univoci ma con larga dispersione di forze. Occorre invece che l’arruolamento per l’estero avvenga con metodo, con assoluta garanzia di onestà, cessi cioè l’Italia di essere pingue campo d’affari per negrieri d’ogni risma, e non privi infine la nazione di una mano d’opera che pur è necessaria alla sua ricostruzione economica. Così come è percorso in ogni senso da commissioni e da privati che operano sotto vesti diverse e con scopi troppo spesso speculativi, nel nostro paese l’ingaggio di mano d’opera è sottoposto ad una vera pioggia di notizie false e tendenziose”[94]. Nasce così il Bollettino Quindicinale dell’Emigrazione, una pubblicazione che in pochissimo tempo diventa un vero e proprio strumento di lavoro per chi si dedica all’assistenza diretta degli emigranti, finalmente liberati dal giogo di speculazioni spesso vergognose, “organizzate per trarre lucro dalla morbosa ansia dei nostri lavoratori”[95].
Tra il 1947 e il 1949 la mole di attività e iniziative di cui Bauer è artefice o sostenitore è ingente: dalla partecipazione al Congresso delle Università popolari (Cremona 1947) alla partecipazione al Congresso nazionale per lo studio dei problemi del Mezzogiorno (Bari 1948), dalla collaborazione con il Bureau International du Travail per la raccolta di notizie e di dati sui problemi del lavoro, dell’emigrazione e dell’istruzione professionale, al lavoro per la rinascita dell’Unione italiana della Cultura popolare e della Federazione italiana delle Biblioteche popolari (1948), dall’appoggio alla Cineteca italiana ai lavori con la Commissione nazionale italiana dell’UNESCO. Mantenne assidui contatti con la Commissione provinciale di studi per la riforma della scuola presso il Provveditorato agli studi di Milano e con l’International Workers Educational Associations di Londra. Curò il rilancio delle stagioni del Teatro del Popolo, che ebbe rapporti di fattiva collaborazione con il Teatro Nuovo, il Teatro Lirico e la Scala di Milano[96].
A partire dal 1947 si evidenziò, anche, uno dei filoni principali dell’impegno formativo di Bauer e dell’Umanitaria: la preparazione tecnico-culturale degli organizzatori sindacali[97]. Significativi sin dal primo corso sono i contenuti delle centosessanta ore di lezione previste: storia del movimento operaio, diritto pubblico e privato, diritto del lavoro, economia politica, statistica, organizzazione aziendale, tecnologia industriale e agricola, teorie e tecniche di cooperazione, malattie professionali e igiene del lavoro, tecnica oratoria.
Fu soprattutto, però, con i corsi residenziali per adulti, di durata settimanale e riservati a gruppi di educatori, che si precisò il nucleo portante della visione di Bauer in ambito formativo. La preparazione era volta non a una reduplicazione continua di nuove figure professionali, ma alla riqualificazione degli operatori già presenti nel settore in maniera da farne, a loro volta, formatori e moltiplicatori di atteggiamenti innovativi nel proprio ambito di afferenza. I primi cinque corsi residenziali si tennero a Bellano tra il 1950 e il 1951 e toccarono rispettivamente l’educazione popolare, la funzione educativa della scuola in ordine alla collaborazione internazionale, i rapporti tra l’università e la vita sociale, il rapporto tra educazione e lavoro, l’educazione alla vita civile. Le problematiche derivanti dal fenomeno dell’emigrazione furono oggetto di due corsi quindicinali destinati ad insegnanti, segretari comunali e funzionari di piccoli comuni lombardi, che si svolsero anch’essi in forma residenziale a Sirmione, nell’estate del 1951[98].
Con il 1953 ripresero i corsi della Scuola di cooperazione, secondo un programma di addestramento per dirigenti e tecnici nei diversi settori dell’attività cooperativistica, con visite di studio a vari centri cooperativi. Il rigore dell’impianto formativo proposto è ben dimostrato dal fatto che vennero dichiarati idonei soltanto nove dei cinquantadue allievi del primo corso, svoltosi nella sede milanese. Dal 1954 i corsi si tennero invece presso le scuole professionali di Vimercate e Sesto San Giovanni[99].
Tra il 1954 e il 1955 si tennero due corsi di aggiornamento sui problemi dell’occupazione giovanile per funzionari degli Uffici provinciali del lavoro, con un programma comprensivo di tirocini pratici e di materie quali economia, psicologia dei giovani, psicologia e igiene del lavoro, legislazione dell’occupazione giovanile, pedagogia e orientamento professionale. Particolarmente praticato fu il metodo della ricerca e del lavoro di gruppo[100].
L’esperienza dei corsi residenziali si delineò sempre di più come strumento efficacissimo di formazione critica e democratica su base comunitaria. In mancanza di una sede stabile, furono ospitati di volta in volta a Bellano, Gargnano, Stresa e Viggiù. Tutti i corsi si imperniavano intorno alla metodologia del lavoro di gruppo, prendendo le mosse e snodandosi variamente intorno agli interessi specifici dei partecipanti[101]. Il moltiplicarsi delle sedi dei corsi residenziali (nuove succursali vennero aperte a Rovigo, Bologna, Manfredonia, San Giovanni Rotondo, Alghero) spinse Bauer a creare a Meina, sul Lago Maggiore, una sede stabile di corsi ed attività annuali a getto continuo, il “Centro residenziale Augusto Osimo per l’educazione degli adulti”, grazie al determinante contributo di amici e collaboratori assidui[102]. Già a metà degli anni ’50 i corsi residenziali dell’Umanitaria permisero a Bauer di decentrare l’azione dell’Umanitaria in tutta Italia, specialmente in Puglia, dove, soprattutto a partire dalla metà degli anni ’60 (quando la regione venne inserita nel “Piano di coordinamento per gli interventi pubblici nel Mezzogiorno”), l’Umanitaria avrà modo di costituire numerosi Centri di Servizi Culturali con il compito di affiancare allo sviluppo economico un adeguato sviluppo culturale[103].
Nell’anno 1958 l’Umanitaria venne scelta come organo super partes nell’ambito di un progetto di sviluppo in una zona pilota della Sardegna nel triangolo Oristano-Bosa-Macomer, fortemente voluto dall’Agenzia Europea della Produttività e attuato con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno.
Il progetto di una Scuola di Orientamento Professionale, a lungo studiato e concepito a seguito di un’attenta disamina della situazione professionale italiana, vide la luce nel 1956[104]. Fino al 1961 la scuola godette del contributo del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale. Successivamente, tale finanziamento venne meno, con la conseguenza che l’Umanitaria, nell’assumersi interamente l’onere del suo finanziamento, si vide costretta a ridurre periodicamente corsi e attività. Nel 1963 venne costituito un servizio per i sussidi audiovisivi, che testimonia quanto l’Umanitaria seguisse con attenzione i cambiamenti della società, delle tecnologie e dei mezzi di comunicazione. Già intorno al 1920, infatti, proprio quando Bauer aveva avviato il suo rapporto di collaborazione con il Museo sociale, l’Umanitaria aveva ideato una sorta di bollettino degli agricoltori sotto forma di documentari trasmessi da un cinematografo natante[105]. Nacquero così le filmine, schede cinematografiche monografiche su opere del cinema, particolarmente utili per le attività didattiche a scuola, nei circoli e nelle biblioteche. Seguì la pubblicazione di Critica reprint, una rivista di cinema con recensioni e presentazioni di pellicole storiche e di attualità. Venne fondata, in collaborazione con la Cineteca Italiana e la Casa della Cultura, il cineclub “Il Barcone”, attivo con rassegne cinematografiche, dibattiti e seminari fino alla metà degli anni ’70[106].
E’ probabile che, se da Roma ci fosse stata una volontà politica lungimirante, le scuole professionali dell’Umanitaria avrebbero potuto aprirsi – come per il futuro Centro professionale di fotografia – anche alla televisione[107]. Invece, i già minimi finanziamenti vennero ridotti e, nel contempo, si verificò una drastica diminuzione delle iscrizioni[108].
[...]
[1] M. Melino, Contributo ad una biografia di Riccardo Bauer, in M. Melino (a cura di), Riccardo Bauer. Atti delle Giornate di studio organizzate dalla Società Umanitaria. Milano 5-6 maggio 1984, Franco Angeli, Milano 1985, p. 353 e ss.
[2] M. Melino, Contributo ad una biografia di Riccardo Bauer, cit., p. 354.
[3] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, Forni, Bologna 1979, p. 8.
[4] R. Bauer, Quello che ho fatto. Trent'anni di lotte e di ricordi, Laterza, Bari 1987, p. 7.
[5] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 8.
[6] Ibidem.
[7] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 8.
[8] Piero Gobetti (Torino, 19 giugno 1901 – Neully-sur-Seine, 15 febbraio 1926) è stato un giornalista, politico e antifascista italiano. Considerato un erede della tradizione post-illuminista e liberale che aveva guidato l'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima, fondò e diresse le riviste Energie Nove, Rivoluzione Liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle violenze fasciste, ne provocassero la morte prematura a 25 anni nell'esilio francese.
[9] Carlo Rosselli (Roma, 16 novembre 1899 – Bagnoles-de-l'Orne, 9 giugno 1937) è stato uno storico, giornalista, politico, filosofo, attivista e antifascista italiano. Fu il teorico del "socialismo liberale", un socialismo riformista non marxista ispirato al laburismo inglese. Insieme al fratello Nello fu ucciso in Francia nel 1937 da assassini legati al regime fascista.
[10] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 8.
[11] Ibidem.
[12] B. Ceva, F. Parri, Antologia del Caffè: giornale dell’antifascismo 1924-25, Lerici Editore, Milano 1961, p. 31.
[13] Giacomo Matteotti (Fratta Polesine, 22 maggio 1885 – Roma, 10 giugno 1924) è stato un politico socialista e antifascista italiano.
[14] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 10.
[15] Ivi, p. 18.
[16] M. Melino, Contributo ad una biografia di Riccardo Bauer, cit., p. 355 : “Egli ricorda quel mattino del 1925, quando tutta la classe si levò in piedi in silenzio all’ingresso di Bauer, coperto di ecchimosi e lividi, dopo la bastonatura fascista per essere intervenuto ai funerali di Anna Kuliscioff ”.
[17] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 24.
[18] G. Salvemini, Scritti sul fascismo, v. III, Feltrinelli, Milano 1974, p. 494: “Dall’ Italia Libera al Non Mollare, dal Non Mollare a Giustizia e Libertà, e da Giustizia e Libertà alla Resistenza il filo non si spezzò mai”.
[19] Gaetano Salvemini (Molfetta, 8 settembre 1873 – Sorrento, 6 settembre 1957) è stato uno storico, politico e antifascista italiano. Nel 1925 fondò a Firenze, con i due Fratelli Rosselli e Nello Torquandi, un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare.
[20] Ernesto Rossi (Caserta, 25 agosto 1897 – Roma, 9 febbraio 1967) è stato un politico, giornalista e antifascista italiano. Operò nell'ambito del Partito d'Azione e del successivo Partito Radicale. Con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni è, in Italia, tra i principali promotori del federalismo europeo. Il Manifesto di Ventotene, di cui condivise la stesura con Spinelli e che fu pubblicato e curato da Colorni, è considerato il suo libro più importante ed il suo testamento morale.
[21] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 25: “Non ci è concessa libertà di parola: noi la prendiamo!”.
[22] Ferruccio Parri (Pinerolo, 19 gennaio 1890 – Roma, 8 dicembre 1981) è stato un politico e antifascista italiano. Fu uno dei capi partigiani durante la guerra di liberazione dal regime fascista in Italia, decorato dagli USA con la Bronze Star Medal. Fu il primo presidente del Consiglio a capo di un governo di unità nazionale istituito alla fine della seconda guerra mondiale.
[23] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 25.
[24] Giovanni Amendola (Napoli, 15 aprile 1882 – Cannes, 7 aprile 1926) è stato un politico e giornalista italiano.
[25] Francesco Fausto Nitti (Pisa, 2 settembre 1899 – Roma, 28 maggio 1974) è stato un antifascista e partigiano italiano. Fu fra i fondatori di diverse organizzazioni di primo piano dell'antifascismo, fra le quali ‘Giustizia e Libertà’.
[26] Don Luigi Sturzo (Caltagirone, 26 novembre 1871 – Roma, 8 agosto 1959) è stato un sacerdote e politico italiano.
[27] Giuseppe Donati è stato un pubblicista e uomo politico (Granarolo di Faenza 1889 - Parigi 1931). Cattolico di formazione democratico-cristiana, nel 1921 aderì al partito popolare su posizioni di sinistra. Tra il 1922 e il 1923 divenne uno dei più attivi collaboratori di don Sturzo, dirigendo tra l'altro il quotidiano Il popolo, a cui impresse un carattere nettamente antifascista.
[28] Aldo Garosci (Meana di Susa, 13 ottobre 1907 – Roma, 3 gennaio 2000) è stato uno storico, politico e antifascista italiano. Essendo tra gli organizzatori a Torino del movimento clandestino antifascista ‘Giustizia e Libertà’, venne arrestato nel gennaio del 1932; rilasciato, fuggì a Parigi, dove con gli amici Franco Venturi e Carlo Levi collaborò alla stesura dei "Quaderni di Giustizia e Libertà" di Carlo Rosselli.
[29] A. Garosci, Storia dei fuorusciti, Laterza, Bari 1953, p. 11: “[…] da Modigliani a Treves, da Chiesa a Facchinetti, da Nenni a Buozzi, da Schiavetti alla Balabanoff, da Chiostergi a Saragat, senza dimenticare Turati”.
[30] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 26.
[31] Anna Kulisciova (Sinferopoli, 9 gennaio 1855 - Milano, 29 dicembre 1925), esercitante la professione di medico, è stata tra i principali esponenti e fondatori del Partito Socialista Italiano.
[32] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 25: “… durante i funerali Bauer, anche quella volta insieme a Parri, le aveva buscate da una squadraccia di mazzieri fascisti mentre ai piedi del Farmerio, al Cimitero Monumentale di Milano, stava ascoltando la commossa e ammonitrice parola di Pietro Nenni”.
[33] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 26: “E appunto con Rosselli, con Parri e pochi altri, la sera di domenica 21 novembre 1926, Bauer riusciva a far fuggire in macchina Turati dalla famosa abitazione sotto i Portici Settentrionali, in Galleria, dove per tanti anni c’era stata la redazione della Critica Sociale e il salotto della Signora Anna, così ben descritto da un altro ‘caffettiere’, Maio Borsa. Turati era stato nascosto da Rosselli prima in casa Gilardoni, poi condotto segretamente nel Varesotto, in una villa di Giuseppe Albini, già critico teatrale dell’ Avanti!, e da qui trasferito a Ivrea, ospite di Camillo Olivetti, finché Rosselli, ancora insieme a Parri e con Sandro Pertini, riuscirà a concludere la perigliosa operazione dell’espatrio, col motoscafo che da Savona la notte del 12 dicembre 1926 condurrà Turati in salvo sulla costa della Corsica, raggiunta dopo un drammatico viaggio nel mare in tempesta”.
[34] Ibidem: “… anche se presto avrebbe cambiato bandiera, passando tra i retori ufficiali del regime”.
[35] Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975) è stato un politico, scrittore e militare italiano.
[36] Ivi, p. 27: “[…]e aveva ripreso i contatti con Vittorio Albasini Scrosati, Umberto Ceva, Mario ed Eugenio Damiani, Antonio Zanotti e Pietro Zari, tutti ancora in libertà”.
[37] R. Bauer, Era un giacobino in un mondo di farisei, in Resistenza, n. 2, 1968, p. 6.
[38] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 27.
[39] A. Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze 1973, v. 1, p. 167.
[40] A. Dal Pont, A. Leonetti, M. Massara, Giornali fuori legge. La stampa clandestina antifascista: 1922-1943, A.N.P.P.I.A., Roma 1964, pp. 184-187.
[41] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 29.
[42] Ivi, p. 34.
[43] Gioacchino Dolci (Roma, 8 agosto 1904 – Pisa, 11 marzo 1991) è stato un disegnatore, antifascista e imprenditore italiano, aderente al Partito repubblicano italiano e al movimento ‘Giustizia e Libertà’.
[44] A. Garosci, Vita di Carlo Rosselli, cit., pp. 141-153.
[45] A. Dal Pont, A. Leonetti, P. Maiello, L. Zocchi, Aula IV. Tutti i processi del Tribunale Speciale fascista, La Pietra, Milano 1976, p. 190.
[46] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 36: “Elemento pericolosissimo è definito nel fonogramma della Questura di Roma alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza in data 6 novembre 1939”.
[47] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 106.
[48] R. Bauer, Alla ricerca della libertà, Parenti, Firenze 1957, p. 185.
[49] Vincenzo Calace (Trani, 24 novembre 1895 – Molfetta, 11 novembre 1965) è stato un politico e antifascista italiano. Fu tra gli esponenti più attivi del Partito d'Azione.
[50] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 126: “La sera del 25 luglio m’ero messo in branda come al solito, quando, verso mezzanotte, fui vegliato da un urlio prima lontano poi sempre più vicino e distinto, e tra quei suoni incomposti distinsi un viva la libertà cui risposero gli urli e il tramestio di tutto il carcere. Compresi che la crisi attesa era scoppiata, che Mussolini se ne era andato e mi parve di cogliere nel tumulto dei suoni il nome di Badoglio. Che cosa potevo fare se non aspettare? E nell’attesa mi riaddormentai. Per essere destato appena fu mattina da chi spalancò all’improvviso la porta della cella. Era Alicata che, appena mi fui vestito, mi condusse al quarto piano dove in cella era ammucchiato il soviet di Regina Coeli al quale fui immediatamente aggregato. Il soviet divenne il padrone del carcere”.
[51] I. Bonomi, Diario di un anno, Garzanti, Milano 1947, p. 43: “Ci sono quelli del partito d’azione con Adolfo Tino e con Bauer, uscito dalla lunga prigionia. Ci sono alcuni socialisti con Romita e Vernocchi. Ci sono i comunisti con Giorgio Amendola, il giovane figlio di Giovanni Amendola, la vittima di Scorza. C’è infine Meuccio Ruini, che rappresenta la nuova corrente in formazione: la Democrazia del lavoro”.
[52] G. Calogero, Difesa del liberalsocialismo ed altri saggi, Marzorati, Milano 1972, p. 199 e ss. Si tratta di un movimento che aveva come base di ispirazione “il concetto della sostanziale unità ed identità della ragione ideale, che sorregge e giustifica tanto il socialismo nella sua esigenza di giustizia quanto il liberalismo nella sua esigenza di libertà”, secondo la tesi sostenuta nel 1940 nel primo manifesto del liberalsocialismo di Guido Calogero, che ne è stato il teorico e il maggiore esponente.
[53] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 130.
[54] R. Bauer, Il senso della libertà. Temi e problemi della maturazione democratica, Lacaita, Manduria 1967, p. 95.
[55] Ivi, p. 89.
[56] R. Bauer, Alla ricerca della libertà, cit., p. 186.
[57] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 38.
[58] E. Piscitelli, Storia della resistenza romana, Laterza, Bari 1965, pp. 119-121: “Accanto a Bauer, sedevano i delegati degli altri cinque partiti (Amendola per il PCI, Pertini per il PSIUP, Spataro per il PC, Brosio per il PLI e Cevalotto per la Democrazia del Lavoro)”.
[59] M. Melino, Contributo ad una biografia di Riccardo Bauer, cit., p. 359.
[60] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 204.
[61] Ivi, p. 149.
[62] R. Bauer, Alla ricerca della libertà, cit., p. 186.
[63] Idibem.
[64] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 180.
[65] R. Bauer, Alla ricerca della libertà, cit., pp. 188-229.
[66] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 41.
[67] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., pp. 195-197.
[68] Ivi, p. 199.
[69] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 41: “[…]e che raccoglieva alcuni degli azionisti più autorevoli anche come uomini di cultura come Ugo La Malfa, Aldo Garosci e Mario Vinciguerra”.
[70] M. Melino, Contributo ad una biografia di Riccardo Bauer, cit., p. 359.
[71] Ibidem.
[72] E. Lussu, Sul partito d’azione e gli altri, Mursia, Milano 1968, p. 210.
[73] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 212.
[74] Ivi, pp. 219-220.
[75] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 46.
[76] Ludovico D'Aragona (Cernusco sul Naviglio, 23 maggio 1876 – Roma, 17 giugno 1961) è stato un sindacalista e politico italiano. Fu deputato nella XXV e nella XXVI Legislatura del Regno d'Italia, deputato all'Assemblea Costituente, senatore della Repubblica, ministro e segretario della Confederazione Generale del Lavoro.
[77] R. Bauer, Il dramma di giovani, Pan, Milano 1977. In questo volume sono raccolti una parte di questi scritti.
[78] A. Colombo, Riccardo Bauer e le radici dell’antifascismo democratico, cit., p. 47.
[79] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, in (a cura di) A. Colombo, Il coraggio di cambiare. L’esempio di Riccardo Bauer, Franco Angeli, Milano 2002, p. 85: “Decisi al proposito vi erano, oltre a Bauer, uomini del calibro di Lodovico D’Aragona, Ugo Guido Mondolfo, Fabio Luzzatto e Albe Steiner”.
[80] Ivi, p. 86.
[81] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 215.
[82] M. Melino, Riccardo Bauer e l’amministrazione finalizzata agli obiettivi propri di un ente pubblico: la Società Umanitaria di Milano, in Atti delle Giornate di studio, cit., p. 239.
[83] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 89.
[84] Ibidem.
[85] R. Bauer, Quello che ho fatto, cit., p. 216 e ss.
[86] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 90.
[87] Ibidem.
[88] Cfr. la lettera di Bauer indirizzata a D’Aragona datata 20 gennaio 1949, conservata presso l’Archivio della Fondazione Riccardo Bauer.
[89] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 91: “L’attuazione del piano Marshall rimase un’incognita fino al 1948 e alla politica di De Gasperi, che mise in ombra le forze di sinistra e le loro aspettative di potere”.
[90] Ivi, p. 92.
[91] R. Massa, La formazione degli operatori in campo educativo, culturale, sociale e assistenziale, in Atti delle Giornate di studio, cit., p. 200.
[92] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 93.
[93] R. Bauer, La protesta, in Il dramma dei giovani, cit., pp. 149-152.
[94] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 94.
[95] Ibidem.
[96] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 97.
[97] R. Massa, La formazione degli operatori in campo educativo, culturale, sociale e assistenziale, in Atti delle Giornate di studio, cit., p. 200.
[98] Ibidem: “Tra i relatori vi erano Filippo Sacchi, Giuliano Pischel, Francesco De Bartolomeis, Lamberto Borghi e Bruno Caizzi”.
[99] Ivi, p. 201.
[100] Ivi, p. 202: “Tra i docenti vi erano Gaetano Kanizsa, Antonio Miotto, Dino Origlia e Guido Petter”.
[101] Ibidem.
[102] C. A. Colombo, Alla testa dell’Umanitaria, cit., p. 101: “[…]tra cui Dino Origlia, Francesco De Bartolomeo, Albe Steiner e Antonio Chiappano. Assidui furono anche Norberto Bobbio, Aldo Capitini, Paolo Grassi, Cesare Musatti e Bruno Munari”.
[103] Ivi, p. 102: “La presenza dell’Umanitaria in Puglia terminerà nel 1977, quando la regione assorbirà i CSC nella sua struttura”.
[104] Ivi, p. 106. Nella Relazione sulla attività sociale dal 1956 al 1960, Bauer specifica: “Rispetto al modello ufficiale della scuola di avviamento a cui dovette essere assimilata per poter ottenere il riconoscimento legale, la scuola preparatoria ha aumentato le ore di materie letterarie, articolato le esercitazioni di laboratorio in molteplici attività, tra cui legno, ferro, ceramica, tipocomposizione, esperienze scientifiche, concepito come parte organica i servizi psicologico, sanitario, sociale e i periodici incontri con le famiglie, curato in maniera sistematica la preparazione pedagogica degli insegnanti”.
[105] Ivi, p. 107.
[106] Ibidem.
[107] Ivi, p. 108. Bauer temeva che il potere dell’informazione potesse diventare uno strapotere a vantaggio di pochi.
[108] M. Melino, Riccardo Bauer e l’Umanitaria, in Economia pubblica, n. 5, maggio 1983, p. 160: “Proprio al massimo dell’espansione, quando si poteva ancora sperare che i piani di sviluppo dell’Umanitaria potessero, malgrado le resistenze e gli appetiti dei dogmatici e degli integralisti, essere attuati, intervennero nuove difficoltà legate alla situazione politica generale e alla posizione del personale, da poco riordinato (anno 1964) in una tabella organica di 127 posti complessivi. Questo del personale è uno dei problemi più gravi e difficili per un ente come l’Umanitaria, che svolge un servizio sociale nel quale la formazione è lunga e costosa. Almeno in questo caso, occorrerebbe evitare i rischi della stabilità e della burocratizzazione. L’introduzione del precariato fino al decimo anno di servizio, con diritti identici a quelli del personale di ruolo salvo la possibilità di licenziamento, potrebbe forse costituire una soluzione compromissoria adeguata. Un problema del genere si poneva all’Umanitaria, oltre che per il personale tecnico-amministrativo, anche per gli insegnanti, in particolare per quelli di laboratorio delle scuole professionali; perché la stabilità e il pieno impiego comportano una scarsa disponibilità all’aggiornamento e la perdita di contatto col mondo della produzione, mentre le modificazioni tecnologiche sono strettamente inerenti all’insegnamento”.
- Quote paper
- Cinzia Di Giacomo (Author), 2014, Educazione e politica negli scritti di Riccardo Bauer, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/303462
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