La tesi esamina il linguaggio della critica letteraria in ottica dell'impatto sul discente straniero, analizza in dettaglio varie tipologie della critica italiana novecentesca in prospettiva glottodidattica, rilevando in concreto quale apporto può fornire la presentazione di ogni singola tipologia critica, sia sul piano lessicale, sia per l'acquisizione delle strutture morfosintattiche per una corretta esposizione orale.
I moduli delle singole metodologie critiche verranno proposti secondo lo stesso schema; inizieremo dalle caratteristiche principali della tipologia critica, riassumeremo le nozioni più rilevanti sugli sviluppi nell'ambito nazionale italiano e riporteremo i brani più tipici delle metodologie. Infine, cercheremo di concretizzare le implicazioni didattiche, ipotizzando le zone problematiche e individuando il materiale di supporto, lessico da approfondire etc.
I brani della critica letteraria che abbiamo individuato presenteremo in una sintesi che si possa impiegare direttamente negli insegnamenti. Abbiamo avuto cura di non parafrasare il critico con le parole più povere, ma di riassumere e semplificare i concetti impiegando il lessico originale e caratteristico per ogni singola tipologia metodologica. Infine sarà proposta un'unità d'apprendimento conforme alle moderne regole glottodidattiche e con rispetto del principio di centralità del testo letterario.
Il testo è stato elaborato con l'idea di trovare la fruibilità tra i docenti di lingua italiana come lingua straniera che sono specializzati in didattica delle lingue straniere, e quindi non in lettere, ma che non vogliono rinunciare al beneficio di poter inserire nel proprio programma d'insegnamento delle lezioni qualificate e di qualità, della letteratura italiana.
Indice
Introduzione
1. La letteratura nell'insegnamento delle lingue straniere
2. Il linguaggio della critica letteraria
3. I testi di critica letteraria come materiale didattico
3.1. La critica crociana (e post crociana)
3.2. La critica formalistica
3.3. La critica strutturalistica
3.4. La critica stilistica
3.5. La critica sociologica e la critica marxista
3.6. La critica simbolica (o semantica)
3.7. La critica psicanalitica
3.8. La storia della lingua italiana come forma di critica
3.9. La critica semiologica
3.10. La critica ermetica
3.11. I nuovi sviluppi della critica
4. Un glossario per un breve ripasso del lessico letterario
5. Le strutture del linguaggio e la critica letteraria
5.1. L'analisi strutturale
5.2. Le figure retoriche
5.3. La parafrasi
6. Curricolo, modulo, unità didattica
6.1. Il curricolo
6.2. Il modulo
6.3. La critica letteraria inserita nel contesto dell'unita' d'apprendimento
6.3.1. La motivazione e la globalita'
6.3.2. La lettura intensiva
6.3.3. La sintesi e la riflessione
Conclusione
Bibliografia
“Komm in den totgesagten Park und schau:..”
(Stefan George)
INTRODUZIONE
Il volume teorico di Matteo Veronesi che tratta un tipo speciale di critica letteraria è introdotto da una citazione di Jean Starobinski:
“Capita come in certe cattedrali: se se ne è rimasti fuori, non si può dirne nulla, ma, una volta entrati, ci si prova a partecipare al culto senza nemmeno averlo voluto.” (Cit. Starobinski 1955 in Veronesi 2006)
In essa troveremo, cifrata, una delle risposte alla domanda, perché proporre al discente dell'italiano come lingua straniera proprio i testi della critica letteraria. Le altre risposte, e sono molteplici, riguardano le motivazioni più tangibili, e verranno presentate con l'intento di massima chiarezza.
La tesi si pone l'obiettivo di fornire strumenti per l'impiego dei testi della critica letteraria nell'insegnamento della lingua e della letteratura italiana a stranieri come LS. Esamina il linguaggio della critica letteraria in ottica dell'impatto sul discente straniero, analizza in dettaglio varie tipologie della critica italiana novecentesca in prospettiva glottodidattica, rilevando in concreto quale apporto può fornire la presentazione di ogni singola tipologia critica, sia sul piano lessicale, sia per l'acquisizione delle strutture morfosintattiche per una corretta esposizione orale.
Partiremo dal presupposto che il discente, pur avendo già un certo pregresso letterario, non può semplicemente trasferire le proprie competenze nell'interpretazione del testo letterario da una lingua all'altra. Deve appunto acquisire le nuove competenze linguistiche. L'inserimento della giusta tipologia del testo della letteratura critica, aiuterà al discente potenziare le capacità linguistiche e critiche, sviluppando in lui anche la capacità di esporre un proprio giudizio sull'opera con i termini adeguati.
I moduli delle singole metodologie critiche verranno proposti secondo lo stesso schema; inizieremo dalle caratteristiche principali della tipologia critica, riassumeremo le nozioni più rilevanti sugli sviluppi nell'ambito nazionale italiano e riporteremo i brani più tipici delle metodologie. Infine, cercheremo di concretizzare le implicazioni didattiche, ipotizzando le zone problematiche e individuando il materiale di supporto, lessico da approfondire etc.
I brani della critica letteraria che abbiamo individuato presenteremo in una sintesi che si possa impiegare direttamente negli insegnamenti. Abbiamo avuto cura di non parafrasare il critico con le parole più povere, ma di riassumere e semplificare i concetti impiegando il lessico originale e caratteristico per ogni singola tipologia metodologica.
Infine sarà proposta un'unità d'apprendimento conforme alle moderne regole glottodidattiche e con rispetto del principio di centralità del testo letterario.
La tesi si avvale di una vasta bibliografia, composta sopratutto dai volumi dedicati alla glottodidattica e alle metodologie della critica letteraria italiana, e inoltre delle esperienze personali di non madre lingua italiana.
Il testo è stato elaborato con l'idea di trovare la fruibilità tra i docenti di lingua italiana come lingua straniera che sono specializzati in didattica delle lingue straniere, e quindi non in lettere, ma che non vogliono rinunciare al beneficio di poter inserire nel proprio programma d'insegnamento delle lezioni qualificate e di qualità, della letteratura italiana.
1. LA LETTERATURA NELL'INSEGNAMENTO DELLE LINGUE STRANIERE
Lo straordinario potere dialogico della letteratura la rende particolarmente adatta ad ampliare le capacità interpretative delle abilità linguistiche.. Il testo letterario offre la possibilità di sperimentare il carattere dialogico del parlare ( Ponzio 2008: 46-47).
La funzione etico-dialogica1 della letteratura si può estendere anche alla critica letteraria. La catena tradizionale della comunicazione 'autore – testo – lettore – discente – docente' si arricchisce di nuovi elementi: 'testo critico – critico letterario'. A prescindere dai termini della semiotica, nel senso più generale, vediamo come si può intendere l'estensione del carattere dialogico della letteratura alla critica letteraria: Immaginiamo un lettore che abbia terminato la lettura di un'opera letteraria e che l'abbia particolarmente gradita; non di rado ricorrerà alla lettura della prefazione dell'opera, in questo caso, non perché sia alla ricerca di un giudizio autorevole e altamente qualificato, ma semplicemente perché voglia confrontarsi, dialogare, condividere le proprie conoscenze appena acquisite prolungando ed incrementando il godimento estetico dalla fruizione dell'opera.
Siamo del parere che gli obiettivi dell'insegnamento della letteratura nella lingua straniera sono gli stessi che riguardano la lingua materna. Già nel 1894 Gustave Lanson, fondatore della storia letteraria come disciplina, rammentava un insegnamento della letteratura composta da troppi dati, fatti e formule sterili, priva di virtù letteraria e di un'assimilazione critica. (Lanson 1994, in Cosimi 2011:131) Abbandonando una certa pretesa di esaustività a favore degli insegnamenti monografici, svilupperemo maggiormente nel discente le competenze linguistiche e non solo, possiamo sviluppare il suo senso estetico e la sua sensibilità, procurargli piacere. La quantità degli obiettivi assegnati alla letteratura è impressionante, citando Y. Reuter2:
“Sviluppare lo spirito di analisi, sviluppare le competenze linguistiche, sviluppare le competenze di lettura e scrittura, sviluppare i saperi letterari, il bagaglio culturale dell'allievo, il suo spirito critico, permettergli di appropriarsi un patrimonio, sviluppare il suo senso estetico e la sua sensibilità, procurargli piacere, contribuire alla formazione della sua personalità...” (Reuter in Cosimi 2011: 132)
Secondo Lorenzo Renzi (Renzi 1991: 20-21), la storia letteraria non è in grado di spiegare la poesia e neanche introdurci ad essa, ma la sua funzione è di rimuovere gli ostacoli alla sua comprensione.
Certamente, la storia della letteratura deve essere sapientemente ricostruita, ma non dal docente, ma dal discente stesso, che alla fine formerà un ipertesto, una mappa concettuale (Balboni 2006). Diventa interessante osservare, quanto questa proficua inversione di procedimenti ricordi le moderne regole glottodidattiche dell'insegnamento della grammatica.
A differenza dai testi letterari i quali si possono proporre a ogni tipo di discente, a seconda dei livelli raggiunti e in base agli obiettivi prestabiliti dal discente e dal docente, i testi della critica letteraria richiedono un livello linguistico raggiunto abbastanza elevato. Prima di raggiungere tali livelli, “l'ordito s ul quale tessere le proprie esperienze letterarie”, deve essere costruito dal docente.(Balboni in Cosimi 2011).Il docente in questo caso, si trasforma dall'insegnante di italiano in un letterato-educatore, portatore di valori di bellezza, cultura e umanità (Cfr. Balboni 2006: 14-15), deve diventare un “recensore”, uno “storico della cultura” e un “critico testuale”. Quindi il docente deve scegliere le opere da presentare, inserirle nel contesto storico, far capire al discente cosa rende il testo letterario ed educarlo ad un giudizio critico. (Eco 2002 in Balboni 2006: 6)
Abbiamo esaminato la situazione editoriale nel campo della letteratura italiana a stranieri, e abbiamo costatato, che vi sono valide guide ai livelli principianti, mentre sembra che manchino del tutto guide didattiche per l'insegnamento ad adulti avanzati. Possiamo ipotizzarne il motivo; la maggioranza di questi materiali è destinata al discente dell'italiano come L2, quindi allo straniero in Italia, che poi, ad un certo livello, va equiparato allo studente italiano.
Eppure, l'esigenza dei materiali per livelli avanzati si presenta insistente; se pensiamo quante persone ogni anno si sottopongono alle certificazioni di lingua italiana. Uno sguardo sul Nuovo sillabo della Certificazione Plida – Società Dante Alighieri (Vecchio, 2015) rivela che la lista contenente tipi di testi che è possibile incontrare nelle prove dei vari livelli3 riporta
tra i testi scritti:
- a partire dal livello B1 “Recensioni di film o libri”
- per il livello C2 “Saggi di critica letteraria”,
tra i testi orali:
- a partire dal livello B2 “Lezioni universitarie” (quindi anche di letteratura).
Le linee guida dell'esame CILS dell'Università per stranieri di Siena riportano tra i testi di prova:
- a partire dal livello B2, sezione 'abilità di ascolto' “Recensioni"
- a partire dal livello C1, sezione 'prove di scrittura tipo argomentativo' “Recensioni critiche”.
La capacità di analizzare un testo della critica letteraria diventa quindi fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi didattici del discente, a prescindere dalle sue motivazioni professionali, dagli indirizzi di studio prescelti e dagli interessi personali.
2. IL LINGUAGGIO DELLA CRITICA LETTERARIA
Il testo della critica letteraria può essere cognitivamente molto impegnativo. Il discente deve contare sulle conoscenze pregresse non solo linguistiche, ma culturali, deve essere in grado di ristrutturarsi una propria interlingua. In questo possono essere d'aiuto i testi di partenza che il discente già conosce nella sua lingua materna. Tuttavia, a prescindere dal corso di studi, il discente di non madre lingua italiano che si accinge per svariati motivi a studiare la letteratura italiana, non può trasferire le proprie competenze letterarie alla lingua italiana, anche quando si tratta di opere facenti parte del canone letterario tradizionale, che il discente conosce bene. Per analizzare i testi letterari il discente deve acquisire nuove competenze linguistiche.
Non solo il lessico, ma anche le forme grammaticali riscontrabili nei testi, possono creare problemi di comprensione, quali:
- l'uso delle forme passive ed impersonali
- l'uso delle forme idiomatiche
- l'uso delle anafore
- l'uso delle metafore
- le ridondanze, le ripetizioni di parole o frasi
- l'uso delle costruzioni particolari
- le parole con doppio significato
- l'uso delle parole facenti parte dei campi settoriali diversi
- l'ipotassi, i periodi particolarmente lunghi, nei quali non si conserva concordanza dei tempi, le numerose apposizioni, la subordinazione, le costruzioni 'labirintiche'.
Giacomo Devoto (Devoto in De Mauro 1965) osserva che il linguaggio della critica d'arte è caratterizzato da numerose metafore, a volte audaci.
“Un travaglio diverso, meno legato a circostanze passeggere, più immerso nella storia del nostro tempo è mostrato da un'altra lingua letteraria, quella della critica delle arti.” (Cit. Devoto, Ivi)
Questo travaglio si tradurrebbe nel frequente ricorso alle metafore attinenti ad altre arti. Secondo Devoto, in Italia, nel paese con una ricca tradizione della critica letteraria, ci si poteva esprimere in modi più propri nell'analisi e descrizione di opere letterarie. Il caso di Devoto asserisce ad una serie di problematiche e difficoltà del discernere dal linguaggio dei critici soggiacenti a mode, e dal linguaggio che risponde alle istanze radicate nella cultura italiana. Tuttavia, Barthes già nel 1962 riesce a spiegare quanto un critico possa fare difficoltà ad uscire fuori dal proprio ambito esistenziale e dalla sua esperienza privata:
“d'une part le langage che chaque critique choisit de parler ne lui descend pas du ciel, il est l'un des quelques langages que son èpoque lui proposes, il est objectivement le terme d'un certain murissement historique du savoir, des idées, des passions intellectuelles, il est un necessité, et d'autre part, ce language nécessaire est choisi par chaque critique en fonction d'une certaine organisation existentielle, comme l'exercice d'une fonction intellectuelle qui lui appartient en propre, exercise dans lequel il met toute sa 'profondeur', c'est-à-dire ses choix, ses plaisirs, ses rèsistences, ses obsessions” (Cit. Barthes in Cerruti in Beccaria, 1973: 174).
Il linguaggio della critica letteraria a volte viene definito come “microlingua”. Il dizionario Treccani definisce microlingua come un linguaggio settoriale. Il linguaggio critico a quanto pare non risulta ascrivibile a microlingua, in quanto non adopera una propria terminologia e non vi si riscontra una prevalenza dei termini monosemici, né costruzioni specifiche per un linguaggio settoriale (costruzioni nominali). Più libera troviamo la definizione di microlingua nel dizionario Garzanti, in quanto si tratterebbe di un linguaggio speciale.
“Il linguaggio della critica d'arte” è anche il titolo della pubblicazione di Tullio de Mauro. De Mauro, analizzando un campionario di testi di critica d'arte italiani, 10 campioni da 300 pagine, mettendoli a confronto con la lista di frequenza delle parole italiane della Knease (Knease in De Mauro, 1965) , individua nel campione esaminato 103 vocaboli considerati peculiari del linguaggio critico, termini relativi a prodotti delle tecniche esecutive delle arti figurative ('affresco'), parole disegnanti arti o attività ( 'architettura', 'disegnare'), nozioni applicate nella critica ('arte', 'forma'). Rispetto al lessico corrente, queste parole appaiono in una misura otto volte superiore alla media. Possiamo quindi affermare che il linguaggio della critica d'arte non coincide con l'uso linguistico corrente. Non resta che stabilire, se quindi si tratta di un linguaggio speciale, tecnico o formalizzato (l'ultimo escluso a priori per mancanza di regole d'uso e definizioni). I termini tecnici sono una minoranza nel vocabolario della critica, prevalgono infatti le parole di validità critico-estetica generale. Molte di queste parole sono di polivalenza semantica ('arte' = abilità tecnica, attività estetica), frequente è l'oscillazione tra l'uso descrittivo e valutativo ('forma', 'esprimere', 'g usto', ecc.).
Il vocabolario della critica d'arte si può quindi presumibilmente classificare come linguaggio speciale, essendo costituito per oltre 50% da vocaboli di validità critico-estetica generale (De Mauro 1965).
De Mauro esaminava i testi della critica d'arte (in maggior parte dei casi di arte figurativa). Sarebbe interessante riprodurre una simile analisi con i testi della critica letteraria e con i nuovi parametri della frequenza delle parole italiane. Tuttavia si può presumere che i risultati non si allontanerebbero dagli esiti di cui sopra.
Di un parere diverso sarà nel 1973 Gian Luigi Beccaria, in “Linguaggi settoriali e lingua comune”, per il quale il linguaggio della critica “non è un linguaggio 'speciale', ma un linguaggio settoriale che associa...il massimo della divaricazione terminologica al massimo della tecnificazione.” Beccaria osserva che l'uso dei tecnicismi varia a seconda dei casi, e che sopratutto la critica formalista adopera rigorosi e invarianti tecnicismi, sopratutto dei termini della linguistica; infine ammette, che “. ..la lingua della critica non ha i caratteri di un complesso terminologico coerente, come la logica, o la fisica...” (Cit. Beccaria 1973).
Non usa invece i tecnicismi la critica ermetica, di cui linguaggio è piuttosto poetico. Sandro Briosi (Briosi 1973) correda il saggio di Bigongiari su Montale (Bigongiari 1965) della seguente nota:
Da qui in poi le note esplicative si fanno di necessità approssimative: data l'estrema difficoltà di trovare un “corrispondete” a un discorso, come questo di Bigongiari, così denso e allusivo, preda decisamente di una passione di “ricreazione” in proprio linguaggio della poesia, e di una “fede” nella capacità miracolosa d'espressione di quel linguaggio, spesso affidato a moti quasi inconsci dell'intelligenza; la quale (e di qui l'oscurità) spesso affida a immagini precise, a esattissime metafore, l'espressione d'intuizioni vaghe e sfuggenti.” (Cit. Briosi 1973)
Sempre del linguaggio della critica d'arte, non di quello della critica letteraria in specifico, troveremo le nozioni interessanti nel Dizionario d'arte di Grassi, Pepe 1995 V-VI. Espressioni di ordine concettuale-storico sono soggette a modificazioni e variabilità di contenuto semantico. I termini tecnici sono nati dal gergo degli artigiani, adoperate per secoli, poi dimenticati. Questi linguaggi specifici sono degni di riscoperte e di chiarimenti (Grassi, Pepe 1995).
Infatti a quanto pare, dagli anni Settanta in poi l'interesse accademico del linguaggio della critica diminuisce, in quanto non si trovano molte pubblicazioni. Un interessante contributo rappresenta l' intervento di Marco Cerruti in una serie di conversazioni radiofoniche del 1972 “Di alcuni linguaggi della critica letteraria” (Cerruti 1972 in Beccaria 1973 ) Nonostante l'esposizione discorsiva ed un certo “piglio” ironico che riserva ai critici “alla vecchia maniera”, indubbiamente si tratta di un contributo prezioso ai nostri intenti di analisi della retorica e del linguaggio della critica letteraria novecentesca. Torneremo a parlarne più tardi, quando analizzeremo il lessico delle varie tipologie della critica.
Come si è già detto, la critica letteraria si serve del lessico proveniente dalle diverse branche scientifiche. A volte un significante può rimandare a significati diversi. Diventa molto importante per il lettore del brano critico rendersi conto del tipo della metodologia critica per potere interpretare tale significante correttamente. Rimanderemo ad un esempio (Zaccaria, Benussi 2002: 79): La parola “struttura” significa:
- nella critica idealista “non poesia”
- nella critica marxista la “base economico-sociale su cui si inalza la sovrastruttura ideologica”
- nella critica strutturalista invece rimanda al “modello formale dell'opera”.
Una visione recente del linguaggio della critica d'arte abbiamo individuato nel intervento di Gerardo Pecci, professore di Storia dell'arte nel Liceo Artistico Statale di Eboli (Salerno). Ci si rende conto, citando Pecci, in quanto la critica d'arte, e quindi anche critica letteraria, faccia parte, nondimeno quanto le opere valutate, del patrimonio culturale del paese:
“... La storia dell'arte è disciplina linguistica per eccellenza! E' la seconda lingua degli italiani e il lessico storico-artistico, la “microlingua disciplinare”, si esprime con un ricco patrimonio di termini, parole e costruzioni morfosintattiche, che costituisce un vocabolario che appartiene al linguaggio della critica d'arte, che affonda le radici nel mondo latino, greco, medioevale, rinascimentale in genere e che ci è stato trasmesso fino a oggi.
Esiste cioè la letteratura artistica, che è veicolata dalla lingua della critica d'arte, che è una lingua “speciale”, particolare, spesso intraducibile e incomprensibile in altri contesti linguistici stranieri. Si tratta di un ricco vocabolario e di un'eredità linguistica spesso intrasportabili e intraducibili al di fuori del contesto storico-linguistico di appartenenza.
Tant'è che molti storici d'arte, ad esempio di area anglosassone, statunitense, o anche tedesca, ecc., quando scrivono di storia dell'arte, spesso finiscono con la citazione di interi brani critici, cioè di letteratura storico-artistica, nella lingua originaria, nel nostro caso in italiano, perché altrimenti sarebbe impossibile tradurli in altre lingue, con il rischio ovvio di snaturarne i significati, i contenuti, il senso, la corretta comprensibilità. ...” (Pecci, 2015)4
3. I TESTI DI CRITICA LETTERARIA COME MATERIALE DIDATTICO
Dagli anni Novanta l'attenzione per la lingua italiana subisce un declino, ma nel campo artistico lo studio si è sempre difeso. Nelle Accademie musicali e nella Accademia delle arti e mestieri la conoscenza dell'italiano è la premessa necessaria per un'interpretazione corretta dal punto di vista semantico (o fonetico, del testo musicale), viene richiesto articolare la lingua, ma anche di capirla e interpretarla (Di Stasio, 2008).
La fruizione dell'arte italiana come veicolo della materia, per un'acquisizione delle competenze linguistiche, non è di certo una scoperta recente. E' la sonorità melodica che da secoli e secoli stimola l'interesse per l'apprendimento (si pensi quanti sono arrivati a studiare l'italiano tramite l' interesse per il melodramma). Tra gli studenti di italiano come LS si constata un notevole interesse per poesia, narrativa e teatro. (Ardissino, Stroppa 2009: 29)
Gli studenti che intendono studiare in Italia devono prepararsi a sostenere molti esami orali, mentre nelle facoltà estere prevalgono gli esami scritti: Questo, assieme ai diversi concetti della didattica, può generare problemi. Da qui parte la nostra concezione dei testi della critica letteraria italiana come un materiale didattico per eccellenza, attraverso il quale il discente può acquisire delle strutture morfosintattiche per una corretta esposizione orale, nonché arricchire il proprio lessico in vari linguaggi settoriali.
Il testo letterario raramente utilizza la lingua d'uso quotidiano; ed è proprio la critica letteraria che scopre ed evidenzia gli aspetti estetici delle deviazioni rispetto alla lingua corrente. Nella tradizione italiana i brani letterari non vengono modificati; per non far percepire al discente straniero la lingua antica come un ostacolo, il docente può servirsi solo di alcune sequenze più accessibili (Ardissino, Stroppa 2009: 17-18), e servirsi della mediazione dell'esperienza estetica attraverso un brano critico.
Con la presente analisi di alcune tipologie della critica letteraria italiana novecentesca vogliamo costituire una guida per la scelta del tipo di critica da proporre per diverse esigenze del docente e del discente. Chiaramente, come asserisce Maria Corti (Corti, Segre 1970), le metodologie della critica “non si affiancano come le piante in un erbario”, a volte si incrociano, ovvero, come Viktor Sklovskij affermava già negli anni 20, in ogni epoca una scuola letteraria assume un ruolo dominante, ma intanto altri indirizzi minori contribuiscono ad un fecondo rapporto dialettico (Sklovskij in Corti, Segre 1970).
L'analisi in oggetto non aspira a riportare un quadro dei movimenti della critica letteraria italiana dello scorso secolo, sicché per le nozioni più approfondite dovremmo allargare la cerchia geografica e tenere conto delle istanze storiche, ma ciò non rientrerebbe nel nostro intento.
Abbiamo stabilito inoltre un testo della critica letteraria ideale, è un testo di carattere non effimero, quindi un saggio, una prefazione etc., non un articolo di giornale o da un blog. Ovviamente sceglieremo i brani dedicati ai testi di partenza degli autori italiani.
In seguito riporteremo alcuni esempi del lessico che potrebbe risultare opportuno da esercitare con il discente per velocizzare i tempi di comprensione. Ovviamente è auspicabile un certo eclettismo del docente nella preparazione del modulo. Il docente quindi dovrebbe individuare nel testo che intende presentare la terminologia che al discente risulterà problematica, in base alla lingua di partenza del discente (tenendo conto che non pochi discenti conoscono già 5-6 lingue, ma anche del fatto che le conoscenze pregresse del latino e greco possano creare delle interferenze).
Nella preparazione della didattica del lessico, oltre alla situazione linguistica del discente, il docente terrà conto anche dell'origine dei vocaboli da adottare. La provenienza semantica delle parole chiave della critica d'arte italiana è stata oggetto di studio di Tullio de Mauro (De Mauro, 1965: 53-57). De Mauro considera la genesi di 23 vocaboli chiave: “Arte, artista, figura, forma, figura, pittore, pittura, artistico, critica, stile, composizione, architettura, contorno, disegno, esprimere, genio, gusto, colore, espressivo, figurativo, linea, pittorico, plastica, scultura.”, per giungere alla conclusione di trovarci
“dinanzi a vicende che non si lasciano serrare nei confini di un'unica tradizione linguistica, ma che presuppongono una fitta trama di scambi linguistici.” (Cit. De Mauro, Ivi)
De Mauro inoltre rivela, che l'origine semantica greca e latina non è così frequente come ci potevamo immaginare. Prevalgono infatti le parole costituite da forme latine calcate sul significato greco (nell'antichità classica). Diverse parole si sono formate nella tradizione francese e numerose sono anche le parole di origine italiana. Il lessico di derivazione antica è orientato verso l'individuazione di significati denotanti le attività figurative ( pittura, scultura, architettura, plastica), oppure le entità tangibili ( forma, figura, linea, composizione ). Il lessico moderno invece è orientato verso l'individuazione di significati denotanti la creazione oppure la fruizione artistica ( arte, gusto, genio, artistico, espressivo ).
3.1. LA CRITICA CROCIANA (E POST CROCIANA)
Benedetto Croce e i critici che si formano nell'ambito crociano riescono quasi a monopolizzare il discorso critico in Italia fino agli anni 70. In effetti, l'accezione 'critica crociana' non può significare un certo procedimento critico, visto che il pensiero di Croce in questo arco di tempo si evolve. Tuttavia, l'espressione 'poetiche crociane' troviamo frequentemente nei volumi di letteratura. Per questo, non ci resta che tentare di definire il procedimento crociano e postcrociano. L'arte per Croce significa l'intuizione (intesa come la creazione artistica), la conoscenza della realtà non mediante la ragione ma attraverso l'immagine. Dove c'è l'intuizione, la parola del poeta diventa spontanea e pura, senza errori, senza fatica. L'arte è slegata dalla realtà storica, ma anche dal mondo psicologico e intellettuale dell'artista. Qualsiasi elemento esterno, la storia, la biografia, la psicologia, non apporta quindi alla critica nessun valore. La critica per Croce è solo un giudizio intuitivo di valore, senza un metodo e senza gli strumenti precisi. Questa negazione di ogni metodo critico – egli afferma che la poesia si sente e per sentirla è necessario il gusto – esprime l'autonomia assoluta dell'arte.
Ma come abbiamo anticipato sopra, Croce tornerà ad approfondire gli aspetti del proprio metodo: egli giunge alla conclusione che per interpretare l'arte bisogna anche comprendere la realtà storica in cui l'opera nasce, così come i rapporti dell'opera con l'autore e con il suo mondo interiore. Riconosce inoltre che nelle opere, sopratutto in quelle più estese, vi esistono anche, accanto alla “poesia pura”, gli elementi “pratici”, che vanno identificati e posti in rapporto con gli elementi dell'intuizione (della creazione artistica). Gli elementi linguistici come figure retoriche ecc. sono solo i mezzi d'espressione, ma diventa utile spiegarli, per giungere a ricreare l'immagine. Nel brano che presenteremo come l'esempio della critica di Croce si evidenzia quanto Croce era renitente, e allo stesso tempo tentato, ad analizzare i mezzi stilistici.
I limiti della critica crociana si possono individuare sopratutto nella “questione morale” che lo porta a giudicare negativamente tutto ciò che sia “decadente”. In quanto fosse limitativa quest'ottica, basti pensare invece alla visione nietzschiana del nascente “l'art pour l'artismo” che in esso intravvedeva un antidoto al filisteismo borghese. E forse sarà la sua predilezione per il classico che lo porterà a giudicare negativamente tutto ciò che possa sembrare l'avanguardia. Pare che sia l'eredità della sua egemonia culturale se fino d'oggi nelle unità didattiche gli spazi dei moduli riservati al periodo di barocco siano piuttosto ristretti.
Il lato positivo di Croce è di aver eliminato i metodi consistenti nell'accostare il testo letterario in esame ai modelli letterari fissi e di aver messo, alla fine, i vari elementi del testo nei rapporti di coerenza interna, postando in rilievo dell'opera l'elemento conduttore, il tema. La centralità del testo è l'eredità più importante del metodo crociano.
Come esempi della metodologia crociana presenteremo il brano tratto il saggio di Benedetto Croce “Ariosto, Shakespeare, Corneille” e il Saggio su “L'Orlando Furioso di Attilio Momigliano.
Benedetto Croce: La caratterizzazione ideale. Sull'Ariosto (Briosi, 1973: 22-28)
Croce inizia con la definizione dello “stile ariostesco”, stile inteso come l'espressione del poeta e la sua anima stessa. La forza magica era il “tono” dell'espressione: disinvolto, lieve, trasmutabile in mille guise e sempre grazioso. Il “tono” nella critica crociana definisce la qualità della poesia.
Si procede con la sequenza nella quale il critico analizza lo stile dell'Ariosto:
“Palpabile è quest'opera di svalutazione e distruzione, eseguita dal tono espressivo”, nei poemi dei singoli canti, nelle digressioni ragionanti, nelle osservazioni intercalate, nelle riprese, nei vocaboli adoperati, nel fraseggiare e nel periodare, e sopratutto nei frequenti paragoni che formano quadri e non rinforzano la commozione ma divagano, e nelle interruzioni dei racconti talvolta nel punto loro più drammatico, con gli agili passaggi ad altri racconti di diversa e sovente opposta natura.”
Ma a questo punto, coerentemente ai propri principi estetici (vedasi sopra), l'analisi stilistica si interrompe e Croce passa al concetto dell'impalpabile,5 che “scorre come sottile fluido, e non si lascia afferrare con ordigni scolastici [6] , ma, anima qual'è, si sente con l'anima”.
Fa parte del “tono” del poeta anche l'ironia, la quale secondo Croce non è stata mai bene definita. Questa ironia, ribadisce Croce, non colpisce mai solo i cavallereschi o i religiosi, ma colpisce tutti, non è un futile scherzo, ma qualcosa più alto, “qualcosa di schiettamente artistico e poetico, la vittoria del motivo fondamentale sugli altri tutti.” [7] . Tutti i sentimenti, i sublimi e i scherzosi, i teneri e i forti, i ragionamenti d'amore, le rappresentazioni di battaglie, sono alla pari abbassati dall'ironia e elevati in lei. Sopra l'eguale caduta di tutti, si innalza l'ottava ariostesca, come manifestazione di vita libera ed armonica. “Quelle ottave hanno la corporeità ora di floride giovinette ora di efebi ben formati.”8
Successivamente il critico approda di nuovo nelle questioni stilistiche, ad esempio, elevando “il magistero del periodo e degli accenti” del poeta. Ciò che sarebbe soltanto una filza di nudi nomi diventa un'immagine poetica; Ariosto dispone i nomi dei pittori contemporanei come sopra un Parnasso:
E quei che f'uro a' nostri dì, o sono ora
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
duo Dossi, e quel ch'a par sculpe e colora,
Michel, più che mortale, Angel divino...”
L'ironia dell'Ariosto, continua il critico, è come l'occhio di Dio che guarda il muoversi della creazione, questa ironia non va confusa con la bizzarria e la stravaganza, con l'umorismo e il bislacco. Ariosto secondo Croce, ironizza da “a rtista, sicuro della propria forza” . Croce descrive Ariosto come “naturalista” per il suo modo di osservare e descrivere gli oggetti dettagliato, “senza appagarsi del tratto unico”, “senza impazienze passionali”. Nel ritratto della bellezza di Olimpia, egli si scorda che la castità della donna avrebbe richiesto una specie di velamenti:
Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
che son più rare; e non la fronte sola,
gli occhi, e le guance, e le chiome avea belle,
la bocca, il naso, gli omeri e la gola...”
Lo stesso metodo usa Ariosto anche per descrivere Medoro: non presta attenzioni ai tratti che dovrebbero rivelare l'ardimento e devozione del giovane, ma si dedica alla freschezza dell'adolescente:
“Medoro avea la guancia colorita,
e bianca e grata ne la età novella...”
Fanno parte di questa “quasi afferrabile e palpabile di questa conversione del mondo umano in mondo della natura” anche le descrizioni dei personaggi, delle bestie, dei fenomeni naturali.
Secondo Croce, il poema non è un epos, vi mancano i sentimenti etici i caratteri veri e propri, questo perché i caratteri sono le “note” stesse dell'” anima” del poeta. Essi si “i ncorporano nelle creature” che sembrano di vivere la vita propria, e invece vivono la vita stessa, come le “scintille dello stesso fuoco centrale”. Nel poema non vi è libera energia di sentimenti passionali, non vi sono caratteri ma figure, con tratti piuttosto generici e tipici. I cavalieri si assomigliano e confondono tra loro, lo stesso le donne, amorose o perfide. Tipica e poco individuale è la pazzia di Orlando. I personaggi si mostrano incoerenti, si prendono molta libertà verso sé stessi, “secondo i servigi che loro richiede l'autore”.
Attilio Momigliano: Saggio su “l'Orlando furioso”
(Briosi 1973: 160-162 abbreviato)
L'ispirazione dell'Ariosto, inizia Momigliano, è fatta di colori e di linee fugaci. La sua musicalità trascina il lettore in un incantevole viaggio della fantasia, si arresta magicamente quando giunge un personaggio inaspettato, si leva come una sinfonia nei grandi momenti lirici (“La verginella è simile alla rosa...”), si attenua nei momenti di commozione, squilla come un inno nelle esaltazioni appassionate (“Liete piante, verdi erbe, limpide acque, Spelunca opaca e di fredde ombre grata...”).
La musica è sempre accompagnata alla fantasia, la quale è già preannunciata nel proemio (“Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori...”) e continua per tutto il poema. Il fascino del poema non è in ciò che l'Ariosto dice, ma nella sua voce d'incantatore. La fluidità d'esposizione domina ovunque, sembra che luoghi, persone, fatti trovino da sé le parole che li rispecchiano e li esprimono: il poeta nella sua fantasia trova la linea pura che disegna le immagini interiori. Sopratutto al mutare delle scene si ha l'impressione di calarsi nella fantasia e di far scaturire i personaggi dalla terra. La ricchezza della fantasia dell'Ariosto sta nell'atmosfera, nel suo disegnare arioso; egli non impiega delle descrizioni intense.
Momigliano definisce Ariosto come poeta narratore insuperabile. Il suo tema lirico è narrare. I momenti passionali danno un tono caldo alla sua voce, ma la linea dominante è di inseguire placidamente lo sviluppo dei fatti, le narrazioni sono spontanee e mutevoli come il corso di un fiume che riflette il paesaggio. Tranne i momenti passionali, l'Ariosto è un tranquillo contemplatore, ed è questa la principale caratterizzazione dell'Ariosto in Momigliano. Il poeta è un contemplatore “senza problemi”, e da questa serenità interiore nasce la serenità di visione. In questa maniera si presenta la “fede” del critico nell'unità dell'opera e dell'anima dell'autore. Tutto risponde al modo comune di vedere e di sentire: incontri, duelli, amori, fughe, palazzi, foreste, riflessioni. La ricchezza dell'opera consisterebbe nella rinuncia ad ogni gesto aristocratico, ad ogni pensiero eccezionale. Il fantasticare ariostesco ha da sfondo il tessuto normale dei nostri sentimenti, la psicologia dell'uomo comune. Conclude Momigliano:
“Proprio perchè egli aveva uno spirito così ragionevole e calmo fu un così alto, un così sereno evocatore! E proprio da questa placidità di fantasia nasce quel senso di frescura che allegerisce tutto il poema, quel senso di campagna aperta, dove si respira e si riposa.” (Cit. Momigliano 1928, in Briosi 1973)
***
Per Momigliano non esiste una metodologia critica, tutto diventa un discorso dell'intuito del critico, del suo giudizio personale estetico. Il saggio è un esempio della critica intesa come narrazione delle proprie impressioni di lettura. Nella descrizione del mondo dell'autore e del suo stile sono impiegate numerose metafore (Briosi, 1973: 160)
Termini della critica militante degli anni 30: valido, gratuito, puntuale, perentorio, riscattare, bruciare (consumare o far sparire nel fuoco della creazione artistica), accusato (francesismo, per rilevato), avventura.
In Momigliano troveremo la terminologia delle tecniche pittoriche in quanto la sua concezione critica è una specie del disegno di un quadro: chiaroscuro, decorazione, ornamentale, plastico...
Oltre ad Attilio Momigliano, tra i critici crociani figurano sopratutto Francesco Flora, Natalino Sapegno, Luigi Russo (il quale più tardi sviluppa una posizione autonoma), Walter Binni e Giovanni Getta.
3.2. LA CRITICA FORMALISTICA
Il metodo formalistico guarda l'opera mediante il suo complesso di segni e delle sue forme, Nel centro dell'attenzione è la materia fonica e sintassi delle frasi. Costituisce un disegno provvisoriamente apprezzabile in sé, al di là della funzione. Il critico osserva minuziosamente il contesto timbrico, articolatorio, ritmico e sintattico. I formalisti riescono ad indicare facilmente, dove risiede la specificità del segno lirico. In ” E il naufragar m'é dolce in questo mare”, suggestione di solitudine, di estensione, di silenzio, di pace, risiede non solo nella parola “mare”, ma anche nell'ordine delle parole nel verso di Leopardi.
L'altro esempio può essere illustrato dalla “u” che suggerisce la gravezza dell'afa meridiana secondo Alfredo Gargiulo, esaminando i versi del Canto Novo di Gabriele D'Annunzio:
Stagna l'azzurra caldura: stendonsi
incendiate da 'l sole, a perdita
di vista, le sabbie; deserto,
triste, metallico bolle il mare.
I vantaggi della critica formalistica sono quelli di avvicinarci l'opera letteraria nella sua concretezza oggettiva, senza condizionanti e limitative definizioni filosofiche o ideologiche. Inoltre siamo posti dinanzi a quel che è il modo di una poesia, la sua unicità estetica, non al cosa dice ma com'è fatta, al come lo dice.
Questo tipo di critica usa un linguaggio preciso e adeguato.
Presenta l'opera nella sua costituzione immanente, senza scivolare in elementi che hanno solo vaghe relazioni con essa (la psicologia dell'autore, la sua biografia, i contorni socio-culturali). La conoscenza dei minimi fenomeni del contesto consente di cogliere elementi estetici che altrimenti sfuggirebbero all'attenzione.
La critica formalistica ha elaborato due concetti che sono diventati leggi del linguaggio poetico, la configurazione dell'opera letteraria in un sistema di livelli sovrapposti, in orizzontale: omogeneità lessicale, metro, rima, allitterazione, parallelismi, in verticale: onomatopea ed altre suggestività foniche, ed la seconda legge, formulata da Jakobson, cioè che le parole della poesia riescono a combinarsi nel loro contesto in sequenze. Queste sequenze si possono ripetere parallelisticamente, come nella poesia popolare, e in questa maniera la 'storia' viene raccontata ripetutamente, in modi diversi. Il parallelismo più elementare è offerto dalla rima, dai refrains, meno palesemente si può riscontrare nelle strutture foniche,, sintattiche e morfologiche. Roman Jakobson studiò il parallelismo anche in un sonetto di Dante (Pagnini in Corti, Segre 1970: 277-278).
Come critici formalisti italiani vanno segnalati i seguenti: D. S. Avalle, G. De Robertis, G. Contini, G. Devoto, E. Peruzzi, G. Meo Zilio, G. Pozzi, B. Terracini, G. L. Beccaria, M. Forni Mizzau, M. Pagnini, M. Corti, C. Segre.
Esempio della critica formalistica:
Aldo Rossi: Stratigrafia di “La pioggia nel pineto” di Gabriele D'Annunzio (abbreviato)
Rossi anticipa di aver scelto un campione poetico abbastanza conosciuto e sostanzialmente semplice, cita i giudizi critici più rilevanti ad esso, e rileva che il tema della “pioggia” si riscontra in Manzoni e in Tasso.
Segue la parafrasi del messaggio poetico:
“Il poeta e una donna, chiamata Ermione, si trovano nella pineta sotto un'acquazzone d'estate, si immedesimano nella natura del bosco .. .corrono senza una meta, mentre la pioggia continua a bagnare la loro illusiva 'favola bella' .” [9]
Per definire razionalmente le suggestioni musicali, Rossi esegue l'esame stratigrafico delle tranches sincroniche e diacroniche; La pioggia del pineto è divisa in quattro strofe di trentadue versi, è una struttura senza centro. Si nota che gli ultimi dodici versi sono ripetuti a modo di refrain, come nelle prassi musicali, eccetto l'inversione chiastica dei due pronomi personali (t', m') ed una (E) enfatica:
(E) piove su i nostri vòlti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
sui freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t' (m') illuse, che oggi m' (t') illude,
o Ermione.
La commutazione dei pronomi costituisce, secondo il critico, l'indice del rapporto di coppia, che è di congiunzione/ disgiunzione. La “favola bella” illude entrambi allo stesso modo, il poeta non dice cosa succederà nel futuro. La “favola bella” è il mito, la felicità, il destino, la fantasia, la poesia. Qui Rossi rileva i legami intertestuali tra le opere di D'Annunzio: la “favola bella” è presente in molte delle sue opere (Il fuoco, Notturno, Libro Segreto). (Rossi 1967 in Corti, Segre 1970: 303-315)
***
LESSICO: terminologia degli scarti linguistici, figure retoriche (vedasi capitolo Le strutture del linguaggio e la critica letteraria)
Il discente non dovrebbe soltanto comprendere il significato di tali termini, ma prepararsi ad una corretta esposizione orale.
La critica formalistica si presta eccezionalmente per i primi approcci con la letteratura italiana. I brani si prestano abbastanza comprensibili previa lezione di terminologia di cui sopra, la sintassi è abbastanza semplice. I testi si distinguono inoltre da una straordinaria organizzazione del pensiero e quindi sono facilmente riassumibili dal discente, anche in autonomia.
3.3. LA CRITICA STRUTTURALISTICA
Non è sempre facile distinguere la critica formalistica dalla critica strutturalistica. Si può dire che la metodologia formalistica ha avuto un arco di vita abbastanza limitato, mentre più tardi si è sviluppato, con un contributo dei linguisti di origine formalistica, lo strutturalismo. La critica strutturalistica ha il punto di partenza nell'analisi linguistica dei testi, di cui definisce il carattere richiamandosi al le particolarità del linguaggio poetico. Ma i vari elementi devono essere compresi nella loro connessione con l'insieme, perché nelle strutture diverse possono svolgere funzioni differenti. Si ribadisce la vanità di analisi parziali o impressionistiche e si esalta il primato del testo letterario nella sua autonoma individualità.
Gli strutturalisti possono riscontrare persino nella singola parola un'inflessione personale del poeta. Si possono ricordare gli studi di Contini su Petrarca: egli riscontra nelle sue poesie “l 'aura serena, l'aura gentil, l'aura amorosa, l'aura celeste, l'aura soave” per esaminare poi le scelte degli aggettivi.
I poeti si dividono in quelli che avanzano secondo un particolare ideale linguistico (Ariosto, Manzoni), e quelli che lavorano a circolo chiuso (Petrarca)10, cercando la collocazione di elementi tratti da un repertorio statico, mirando alla massima suggestione lirica con un minimo di innovazione linguistica. Con una rispettosa attenzione allo svolgere della ricerca, gli strutturalisti sono convinti di poter rilevare le leggi delle poetiche individuali.
Già la critica stilistica evidenziava gli scarti del linguaggio rispetto all'uso comune, ma a differenza di questa, la critica strutturalistica non ricorre alle implicazioni psicologiche, ma si ferma ad osservare queste deviazioni linguistiche, mentre interagiscono tra di loro all'interno del testo. Diventa fondamentale stabilire le differenza tra denotazione e connotazione. Il poeta, sopra le parole che sta intrecciando, intreccia un tessuto infinitamente più raffinato, rafforzando la connotazione delle singole parole, le quali sono già state scelte in vista di questo obiettivo.
Secondo Cesare Segre, la critica strutturalistica abbrevia le distanze tra la cultura umanistica e le scienze naturali, ricorrendo all'aiuto della linguistica, della antropologia e della sociologia. Essa pur mirando verso la massima formalizzazione, a differenza delle altre scienze, “racchiude l'uomo e umanità nella sua grandezza e nella sua miseria”. (Segre in Corti, Segre 1970: 325-341)
Esempio della critica strutturalistica:
D'Arco Silvio Avalle: Scomposizione di “A Liuba che parte”
La prima impressione, secondo Avalle, è di trovarsi di fronte ad una arietta d'opera, o meglio di una parodia di arietta. L'uso del modulo comporta una forte partecipazione affettiva e implica una precisa scelta di ordine formale. La formula che si è proposta può apparire una limitazione di valore del componimento. In realtà, il tono leggero è poeticamente riscattato quando viene messo a brusco contatto con la realtà; la realtà drammatica degli anni che precedono il secondo conflitto mondiale. Liuba, una ebrea11, unica superstite della sua famiglia dispersa, parte in cerca di una nuova patria. Ma al poeta interessa solo il fatto che Liuba parte e porta con sé il gatto cui è affezionata.
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or ti consiglia, splendido
lare della dispersa tua famiglia.
La casa che tu rechi
con te ravvolta, gabbia o cappelliera?,
sovrasta i ciechi tempi come il flutto
arca leggera – e basta al tuo riscatto.
Liuba che parte è ricca di rime interne distribuite senza l'ordine apparente, è un gioco sapiente di riprese e di armoniche: lare – focolare, famiglia – consiglia, ciechi – rechi, leggera – cappelliera, sovrasta – basta, riscatto – gatto.
Questi elementi sembrano suggerire l'esistenza dei rapporti parallelistici da attribuire alla libera iniziativa dell'autore, ma per comprendere la struttura fonica del componimento, secondo Avalle bisogna qualificare il carattere specifico delle simmetrie, per vedere, se hanno valore di puri elementi esterni oppure l'artificio va riferito alla modalità di canto e si ricollega ad un preciso linguaggio letterario. Il critico quindi esegue un'analisi strutturale del componimento, offerto dall'autore alla contemplazione del lettore, al di là delle considerazioni di contenuti o di messaggi.
Il pezzo risulta composto da due quartine divise da una pausa. La prima quartina è formata da due settenari (1, 3), un quinario (2) e un endecasillabo (4). La seconda quartina è formata da un settenario (5), e di tre endecasillabi (6, 7, 8). Se però si calcolano anche le rime interne, la poesia prende un aspetto completamente diverso. Il numero delle righe aumenta e la loro misura cambia. Il testo che ne deriva consterà di dieci versi con tre quinari:
del focolare
or ti consiglia
splendido lare
un novenario: della dispersa tua famiglia
nella prima parte (quartina), ed un quinario: sovrasta i ciechi
ed un settenario: e basta al tuo riscatto
oltre ad un nuovo endecasillabo: tempi come il flutto arca leggera.
A questo punto ci aspetta una sorpresa: il primo verso non solo rima con l'ultimo, ma presenta la medesima struttura sillabica:
Non il grillo ma il gatto
e
e basta al tuo riscatto.
Eliminando questi versi, nelle due quartine che restano le rime seguono lo schema ABAB e CDCD (rime alternate). Sommando le due quartine alla rima fra il primo ed ultimo verso, ricaviamo lo schema strofico X-ABAB-CDCD-X, caratteristico della ballata. Ecco il componimento nella sua nuova veste:
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or ti consiglia,
splendido lare
della dispersa tua famiglia.
La casa che tu recchi
con te ravvolta, gabbia o cappelliera?
sovrasta i ciechi
tempi come il flutto arca leggera -
e basta al tuo riscatto.
Avalle si pone la domanda se la scelta era calcolata, se il poeta voleva veramente parodiare la ballata o questo modello era riaffiorato inconsapevolmente nella sua mente. In questo caso, dice il critico, l'artificio consiste nella giustapposizione di due elementi disparati come la drammaticità (una persecuzione, sottintesa) ed il particolare tra l'ingenuo e patetico (il gatto, trasformato in 'lare' della famiglia e portato in salvo da Liuba). Secondo il critico, lo 'smontaggio' della poesia dimostra che i risultati ottenuti dal poeta sono il frutto di una scelta precisa operata sul piano formale. (Avalle 1968 in Corti, Segre 1970: 362-367)
***
Altri esempi della critica strutturalistica: D. S. Avalle: Gli orecchini di Montale, Milano, 1965 (vedasi capitolo La critica semiologica); Gianfranco Contini: Implicazioni leopardiane, in Corti, Segre 1970; L. Grassi: Intorno alla struttura d'una lirica gozzaniana, in Lingua e Stile, 1967; L. Rosiello: Le sinestesie nell'opera poetica di Montale, in Rendiconti, 1963.
3.4. LA CRITICA STILISTICA
Il panorama della critica stilistica italiana si presenta particolarmente ricco: essa, con la sua lunghissima tradizione retorico umanistica, riesce ad inserirsi nell'ambito crociano. La critica stilistica analizza sopratutto il linguaggio dell'opera, definisce ciò che forma lo stile unico e irripetibile di ogni autore. Tutte le implicazioni estetiche e storico-culturali vengono ricavate dal testo; dagli effetti cosiddetti deformanti sul piano stilistico vengono colti i linguaggi poetici che escono dalla norma.
Esempio della critica stilistica:
Gianfranco Contini: Il linguaggio di Pascoli
Contini mostra che Pascoli trascende il modulo di lingua della tradizione letteraria. Riconosciamo sopratutto le onomatopee: “videvitt”, “scilp”, “trr trr trr terit tirit”, un linguaggio fono-simbolico, estraneo alla lingua come istituto. D'altra parte troviamo i tecnicismi, lingue speciale, quando il poeta vuole riprodurre il “color locale”. Si tratta delle poesie ispirate alla vita di Castelvecchio oppure, nel caso della guerra di Abissinia, il poeta evoca i termini specifici, etiopici. Accanto al “color locale” si introduce anche “color temporale”, quando il poeta allude agli echi arcaici, duecenteschi, alla poesia volgare dei tempi di re Enzo.
Contini esplica che quando si usa un linguaggio normale, si ha un'idea sicura e precisa dell'universo, dove i rapporti tra “io” e il cosmo sono determinati. Quindi le eccezioni alla norma significano che il rapporto tra l'” io” e il mondo esterno in Pascoli è un rapporto critico, non un rapporto tradizionale. Si tratta di linguaggio fonosimbolico, pre-grammaticale, ma anche delle lingue speciali, linguaggio post-grammaticale. Di questo tipo di linguaggio ha fatto ampio uso tutto il tardo romanticismo. Ma Pascoli è un innovatore: egli impiega i due settori, pre-grammaticale e post-grammaticale, contemporaneamente. Le esperienze futurista, dadaista e surrealista vengono tutte dopo di lui.
Pascoli usa elementi sprovvisti di semanticità come interiezioni, ma d'altra parte simula un uso semantico dell'interiezione o dell'onomatopea. Ecco il compromesso: “v'è di voi chi vide... vide... videvitt?” ( vide è il verbo, ma gradatamente sfuma nell'onomatopea). Accade anche inversamente: Il passo del Fringuello cieco inizia con “Finch”, una semplice onomatopea, che evoca immediatamente la natura. Ma Pascoli inserisce questo “finch” nel linguaggio normale, lo fa diventare una congiunzione, “finché” ( “Finché non vedo, non credo”), poi torna a uscir fuori dal linguaggio normale verso l'onomatopea, “Anch'io anch'io chio chio chio chio”.
Successivamente Contini passa alla metrica; il poeta impiega le misure tradizionali, imitando il verso greco-latino, nella tradizione “barbara”12 (da Pascoli stesso chiamata “neoclassica” ). In Pascoli però compare un ritmo che obbedisce a una rigorosa formula, inoltre egli rende rigida la posizione dell'accento13 Il critico esamina un verso del “Gelsomino notturno”:
E'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti, si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
Si tratta di un ipermetro, frequente in Pascoli, ma la sillaba del verso sdrucciolo che era di troppo rientra nell'ordine subito al verso dopo; il verso deve rimare con “segreta” e finisce con “petali”, ma il “- li” si elide con l'iniziale successiva.
o quella che illumina tacita
tombe profonde – con visi
scarniti di vecchi; tenaci
di vergini bionde sorrisi.
Anche qui è un'eccezione, un novenario di dieci sillabe, che rientra però subito a posto. Quando il successivo non comincia con vocale, vi sarà una sillaba in meno. “Tacita” deve rimare con “tenaci”.Gianfranco Contini ribadisce che il poeta include nella sua ispirazione un omaggio alla tradizione.
Si passa poi all'analisi degli elementi isolati. ”Ida”, pubblicata postuma, inizia così:
Al suo passare le scarabattole
fremono e i bricchi lustranti squillano
e la grave padella
col buon paiòl favella.
Si tratta di un'ode alcaica con l'inizio aristocratico che finisce nel popolaresco. La pseudo-alcaica mette in evidenza delle scarabattole, gli oggetti sono bricchi lustranti (una padella, un paiolo). E' una parodia dell'elemento aulico e dell'elemento umile: ad uno schema barbaro si associa un contenuto frugale che accentua, secondo Contini, la modestia del poeta. Aulicità, umiltà e parodia nello stesso tempo caratterizzano buona parte dell'opera di Pascoli. I “Poemetti”, secondo Contini, sarebbero un “controcanto epico, prodotti d'un Omero trasferito in Carfagnana..”(cit. Contini 1968, in Corti, Segre 1970)
Il tardo romanticismo voleva abolire le frontiere tra le istituzioni letterarie e la musica.14 Pascoli invece ha cercato di abolire la frontiera tra la grammaticalità della lingua e l'evocabilità della lingua. Questa frontiera, che in lingua normale è obbligatoria, Pascoli l'ha infranta, annullando il confine tra melodicità e la continuità del discorso. Contini riporta due versi dell'opera giovanile “L'amorosa giornata”:
E le rondini zillano alle gronde
di qua, di là, vertiginosamente.
La parola “vertiginosamente” è desemantizzata, il suo valore è fonico.
Gianfranco Contini infine spiega, che Pascoli non si presenta come poeta rivoluzionario, ma questo perché non l'ha voluto. Egli rappresenta un autore non rinchiuso entro i confini di un genere, ed è decisamente anticlassico. Contini sottolinea, che il linguaggio di Pascoli non si può misurare con le categorie della letteratura e della critica tradizionali, altrimenti ne verrebbe fuori come un volenteroso fallito applicatore della poetica classica.15 (Contini, 1968, in Corti, Segre, 1970: 186-194)
***
La recente didattica della letteratura nei paesi anglofoni è impostata sulla concezione stilistica di H. D. Widdowson..(Widowson in Della Valle 2014: 108). Mettendo in relazione l' insegnamento della lingua e della letteratura, della linguistica e della critica letteraria, nell'approccio stilistico gli elementi linguistici contribuiscono ad un' effetto comunicativo. Lo studente è guidato nella decodificazione del messaggio, quindi, comprendendo alla perfezione, riesce ad individuare le figure retoriche, ridondanze, tipologia del registro, deviazioni dalla lingua corrente (della quale conosce le regole grammaticali). Man mano acquisisce l'abilità critica per potere considerare l'ambiguità non come un elemento di confusione, ma come stimolo, apertura e ricchezza. (Della Valle 2014, 107-116)
Per un discente madrelingua non italiano i testi autentici della critica stilistica possono comportare alcune difficoltà:
- è richiesta una certa abilità nell'analisi stilistica (altrimenti il testo della critica deve essere mediato dal docente, con l'impiego delle tecniche di facilitazione)
- a volte i testi della critica stilistica possono dare l'impressione di essere caotici, perché comprendono sia le analisi stilistiche, sia le implicazione estetiche e storico-culturali. Per un discente di non madre lingua possono essere non facilmente riassumibili. I docente potrebbe sapientemente dividere il testo in blocchi tematici, eventualmente presentare solo alcune sequenze, comprensibili per il livello del discente.
3.5. LA CRITICA SOCIOLOGICA E LA CRITICA MARXISTA
Critica sociologica, da distinguere dalla 'sociologia della letteratura' che studia l'azione dell'opera sul pubblico, prende la società come punto di partenza, cioè come l'elemento della genesi dell'opera, e come punto di arrivo, cioè come la sua destinazione.
“V edendo la letteratura di un popolo di cui non si conosce la storia, si potrebbe dire quel che è stato, e leggendo la storia di un popolo di cui non si conosce la letteratura, si potrebbe egualmente dire con certezza quel che avrebbe dovuto essere il carattere dominante di quella letteratura”,
scrive Louis Bonald nel 1824 (Bonald in Cases, in Corti, Segre, 1970), ma qui si rivela già il pericolo immanente della critica sociologica, cioè il suo determinismo e relativismo. Lo scrittore può essere visto solamente come un prodotto della società (Cases in Corti, Segre 1970: 23-40).
In Italia troviamo un esempio della critica sociologica in De Sanctis16, il quale ha appreso la preziosa lezione di Hegel. Si tratta della Storia della letteratura italiana e degli saggi sulla trasformazione dell'epos in romanzo in seguito alla formazione della società borghese.
A questo punto dobbiamo occuparci della critica marxista, fondata sulla distinzione tra struttura (rapporti verso le formazioni sociopolitiche) e sovrastruttura (forme artistiche). Nonostante la cultura e sensibilità degli esponenti (Plechanov, e in Italia Antonio Gramsci), la critica marxista pecca spesso di ridurre il lavoro del critico a determinare il punto di vista della classe dell'autore. Ricordiamo l'interesse di Gramsci per la letteratura scritta per il popolo e per il carattere nazionale-popolare. A proposito di Manzoni, Gramsci ribadisce la subordinazione della lettura del popolo, della ricercatezza, sulla bellezza di un'opera...
Come esempio della critica marxista italiana riporteremo lo studio di Roberto Battaglia sull'Ariosto e la società ferrarese (respinto però, dagli altri critici marxisti).
Roberto Battaglia: Il realismo dell'Ariosto
Non era facile per il poeta, secondo Battaglia, respingere un idea astratta di modello. Inizialmente, Ariosto cerca di narrare direttamente i fatti della sua epoca come nel tentativo dell'egloga sulla congiura di Giulio d'Este, per accorgersi poi, che la sua arte viene sommersa senza riparo. Riprende la prova nelle commedie all'insegna del classicismo, poi nelle satire, per poi finalmente trovare la sua forma espressiva nell'autobiografia. Ariosto, insomma, era alla ricerca del contatto con la realtà.
Gli intermezzi (oppure, cornici), come adulazione degli Estensi o le sentenze morali tra i canti, trovano in Battaglia una spiegazione analoga, anche essi, fanno parte di questa ricerca.
Ruggiero, il capostipite degli Estensi, e l'onore cavalleresco danno al poema un centro di gravità, e solo attraverso questo motivo centrale l'Ariosto riesce a comunicare con i suoi lettori. Il poeta parla al cardinale Ippolito, per intonare più facilmente il motivo epico, si rivolge alle “ferraresi” coi discorsi cortigiani sulla fedeltà e sulla gelosia, alle più belle donne d'Italia, ai letterati, con la coscienza di aver compiuto un opera valevole per tutta la società del Rinascimento, non solo per la provincia estense. Si tratta quindi degli interlocutori reali, distinti dal volgo incapace di gustare il diletto. Ma qui Battaglia mostra un sorprendente capovolgimento; un eccezionale ironia del poeta: “'l sciocco vulgo non gli vuol far fede, / se non vede e tocca chiare e piane...A voi so ben che non parrà menzogn a, / che 'l lume del discorso avete chiaro...” L'adulazione si fonde con ironia, diventa evidente che la ragione sta dalla parte del volgo.
Il critico dedica l'attenzione alla descrizione della natura e della campagna nel poema: Ruggiero percorre “il sabbion tritto e bianco” (litorale adriatico), si nota anche il paesaggio ferrarese “culte pianure e delicati colli, Chiare acque, ombrose ripe e prati molli”, infine lo spettacolo della inondazione udito da Orlando impazzito. Secondo Battaglia, il poeta riesce a cogliere dei paesaggi non solo le sembianze, ma anche l'intimo. La realtà è mediata senza pregiudizi lirici, la natura non è mai idealizzata.
Il testo chiude attribuendo all'Ariosto il coraggio e spregiudicatezza nella ricerca pari a quello di Macchiavelli : “Un'arte senza estasi, come quella del Macchiavelli è una politica senza illusioni.”.(cit. Battaglia, Ivi); l a lezione d' entrambi si rivolge alla classe dirigente. Il poeta è riuscito a trasformare l'esperienza provinciale in nazionale, il dialetto in lingua. In questa maniera rileva Battaglia il significato nazionale del Furioso. Infine, la ragione della sfortuna di Ariosto, la condanna del poema “Col Furioso suo che piace al vulgo” (Trissino), è secondo Battaglia il miglior titolo di elogio. (Battaglia in Corti, Segre 1970: 47-52).
***
Alcuni esempi della critica sociologica italiana: Natalino Sapegno: Alfieri politico; Cesare Cases: Calvino e il “pathos della distanza”; Carlo Salinari: Pirandello e la crisi della coscienza contemporanea; Carlo Dionisotti: La società letteraria nella metà del Cinquecento
LESSICO: periodi storici, movimenti culturali, Cinquecento, Umanesimo, Rinascimento, petrarchismo...
Siamo del parere che la presentazione dei testi della critica sociologica può essere particolarmente utile per ricostruire una mappa concettuale del quadro socio-politico del periodo interessato. Dal punto di vista sintattico questi testi non risultano particolarmente difficili.
Materiale di supporto: film di storia
3.6. LA CRITICA SIMBOLICA (O SEMANTICA)
Per un critico simbolista ogni opera letteraria contiene un senso nascosto o implicito e questo significato profondo, immanente alla costruzione, deve essere portato fuori dal lettore, ovvero, con le parole di Roland Barthes, non appena si accetta di considerare l'opera d'arte in se stessa, diventa impossibile non affermare al grado più alto le istanze di una lettura simbolica, il cui principio è quello di una pluralità, della verticalità dei sensi: della polisemia. Possiamo riconoscere tre vie di sviluppo, la forma metaforico-ontologica (rappresentata da Pascoli - dantista), tematico-psicanalitica e mitico-ritualistica.
Esempio della critica simbolica italiana:
Giorgio Bàrberi Squarotti: L' ornitologia poetica del Pascoli
Secondo Bàrberi Squarotti, l'ornitologia di cui fa l'ampio uso il poeta (nelle Myricae, nei Poemetti, nei Canti di Castelvecchio, rappresentano un elemento regressivo, sia ad una posizione infantile di fronte alla natura, sia a una condizione animale, preumana, dove si fonda il mito del nido: il linguaggio informe, imitativo, il suono primordiale. Il critico nota le metafore ornitologiche del motivo fondamentale per Pascoli; della famiglia come luogo chiuso, geloso di esclusività.
“Tu, magro contadinello, / restasti a mezzo, così con le penne,/ ma nudi i piedi, come un uccello; // come l'uccello venuto dal mare, / che tra il ciliegio salta, e non sa /ch'oltre il beccare, il cantare, l'amare, / ci sia qualch'altra felicità.” Questi versi rappresentano per Bàrberi Squarotti la condizione evangelica della natura, ma anche il senso di un mondo umano fallito nel suo ordine e nei suoi princìpi.
I morti (elementi ctoni) sono intesi come il mondo prima della nascita, finiscono a sollevarsi a una condizione aerea, attraverso le metafore ornitologiche e attraverso la sublimazione (le voci diventano soffio, alito). Gli uccelli (elemento aereo), evadono dal mondo oggettivo, dove sarebbe una condizione di felicità, una specie di utopia simbolica, se non fosse intervenuto l'elemento terrestre della violenza che arresta il volo.
L'ornitologia di Pascoli inoltre richiamerebbe la condizione tipica del mondo classico: il valore oracolare degli uccelli; il suono dall'alto, dal cielo, il linguaggio oracolare che manifesta l'incoraggiamento, la proclamazione della felicità estrema e libera degli uccelli nel loro mondo, non appena sia cancellata la possibilità dell'inganno e della violenza che risiede nell'uomo. L'oracolo manda un messaggio di una vita povera e felice, nascosta agli uomini, arricchita dalla conoscenza certa delle cose. La somiglianza metaforica e ornamentale del canto degli uccelli e della poesia (il canto della capineta e il pianto del poeta) sarebbe una manifestazione della realtà soprarazionale dell'universo e unico mezzo per l'uomo per attingerla, pur momentaneamente e occasionalmente.
Secondo il critico, per Pascoli la famiglia è una cerchia incomunicante di vivi e morti, così tutte le cose appaiono raccolte nel loro chiuso esistere, in cui non si può penetrare senza violarle. La relazione significa sempre dolore, morte, gli uccelli non chiedono che essere salvi dalla presenza estranea dell'uomo, per potergli comunicare, nel loro linguaggio oracolare, le fonti vere della conoscenza delle cose. Il mondo di Pascoli, secondo Bàrberi Squarotti, è un mondo senza relazioni, senza rapporti interni o esterni, l'unica voce reale è quella oscura degli uccelli, non più razionale, non più capace di ordinare l'universo.
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Come un altro esempio della metodologia simbolica possiamo segnalare Ezio Raimondi: Letteratura e mito in D'Annunzio.
LESSICO: figure mitologiche, nomi greci/latini italianizzati, termini della psicanalisi: sublimazione, edipico, termini filosofici: oblìo, caducità, sublimare...
I brani sono di altissimo valore conoscitivo e linguistico, per il discente possono rappresentare una specie di sfida e contribuire così ad incrementare la motivazione.
3.7. LA CRITICA PSICANALITICA
Come si è già detto, in Italia del dopoguerra domina la dottrina per comodità denominata “crociana”, l'estetica di tradizione idealistica, quasi sempre chiusa alle altre discipline come ad esempio alla psicanalisi (Pautasso, 1972: 218-220). Ma la psicanalisi comincia ad entrare nel bagaglio di un uomo colto, o anche di media cultura (Cfr. David in Corti, Segre, 1970: 119), ed è ovvio, che il critico non può disinteressarsi di ciò che gli possa fornire altro che solo i dati superficiali della biografia dell'autore. Alla ricerca di unità e di coerenza, non può limitarsi all'esame del conscio, parafrasando soltanto il testo, ma vorrà esaminare questo “inconscio”, pur conoscendo i limiti; la scarsezza del materiale per analisi e la propria inesperienza clinica.
Intanto in estero questo ramo di critica si evolve fortemente. Sviluppatasi una grande raffinatezza nella applicazione dei procedimenti di psicanalisi, non sulla personalità dell'autore, ma piuttosto sull'espressione artistica, ci si allontana dalle “diagnosi” e dalle riduzioni patologiche. L' inconscio, la zona di pulsioni istintive, ataviche, e strutture dinamiche di comportamenti che ci fanno muovere, oscuramente, ovvero a nostro malgrado, zona di contatto tra il corpo biologico e il suo riflesso psichico, diventano il “regno di ambivalenza dei poeti (odio-amore, dolce-amaro), della contraddizione logica, dello spazio e del tempo deformati”. (Cfr. David, in Corti, Segre, 1970: 121).
Definiremo quindi la critica psicanalitica come una corrente che considera la letteratura una manifestazione dei meccanismi psichici profondi. Il più elementare procedimento è ricercare i traumi nascosti dell'autore, la tecnica più evoluta invece parte dall'analisi delle opere. (Zaccaria, Benussi, 2002: 69), alla ricerca delle cosiddette “metafore ossessive”, per giungere alla fine al “mito personale dell'autore (Mauron trad. 1966, in Zaccaria, Benussi, 2002: 69).
Alla ricerca delle formazioni sostitutive e degli simboli ci si muove costantemente sui confini metodologici della critica simbolica (Zaccaria, Benussi, 2002: 69).
Aggiungeremo che molti critici letterari ritengono l'espressione “critica psicanalitica” come discutibile o erronea (David, in Corti, Segre, 2002: 117), concretamente Musatti e Servadio non adoperano mai questo termine, preferendone “critica e psicanalisi” (David, ivi: 123). Sandro Briosi, autorevolissimo nella storia della critica letteraria italiana del Novecento, non inserisce questa tipologia critica nella sua antologia Da Croce agli strutturalisti. Possiamo solo intuire la sua posizione verso questo procedimento, trovando nel Dizionario dei termini della critica letteraria la seguente nozione:
PSICOLOGISMO: tendenza di uno scrittore o di un critico a fare ampio uso di analisi psicologiche. Agg. “psicologistico”. (Briosi, 1973)
Come alcuni esempi della critica psicanalista italiana esamineremo i testi critici di Umberto Saba e di G. Resta.
Umberto Saba, il testo “Canzoniere” di Petrarca
Laura secondo Saba era la madre del poeta, e se Petrarca loda le sua “virtù” e la sua “castità”, questo significa che era “la donna che non si può avere”. Per Saba, la storia è monotona e priva di sensualità dell'amore vero. “Molte cose ci sono”, scrive Saba, ma non la “bocca mi baciò tutto tremante”.(Saba 1946, in Corti, Segre 1970)
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Le suggestioni psicologiche trovano in Saba subito un risvolto diretto. Confrontiamo questa sequenza con il saggio di G. Resta; anche Resta vede in Angelica la madre dell' Ariosto, ma questo per lui non ha delle dirette implicazioni sulle valutazioni estetiche del poema, in altre parole, questo per lui non implica poca passionalità di Orlando. L'esempio di Saba è stato inserito esclusivamente per la brevità dello stile e perché è tipicizzante. I contenuti si prestano per una facile contestazione, bisogna però riconoscere che il tono di Saba non è quello di un serio saggio critico. Ci riferiamo sopratutto alla “mancanza della passionalità” del Canzoniere, allo sguardo di Saba che sembra di non tenere conto dei canoni estetici dell'epoca di Petrarca. La faziosità ammette anche M. David (David in Corti, Segre 1970: 125). E infine, quello che riporta Saba come un esempio virtuoso della poesia sensuale, “la bocca mi baciò tutto tremante”, in realtà sarebbe un “prestito” di Dante dalla letteratura cavalleresca e quindi avrebbe un'accezione piuttosto peccaminosa.
Umberto Saba, il testo “Lindau” di E. Montale
Saba analizza la prima quartina; la rondine “che non vuole che la vita passi”, è l'amore, l'acqua morta “che logora i sassi” rappresenta l'istinto di morte. (Ibidem)
Al primo sguardo questa potrebbe sembrare una critica simbolica, ma Saba si riferisce alle pulsioni nella concezione di Freud.
Umberto Saba, il testo “Agostino” di A. Moravia
Saba asserisce che Moravia da piccolissimo, fu presente ad un amplesso amoroso e questo fu scambiato con un' aggressione. Questo ricordo, rimosso, non elaborato e fissato, secondo Saba, improntò la sua arte. Per Saba, tutti i romanzi di Moravia “insudiciano” l'amore, i personaggi-amanti compiono i gesti d'amore come i gesti di astio e di reciproco disprezzo. (Ibidem)
G. Resta, il testo “Orlando Furioso” di L. Ariosto
Resta analizza delle affinità tra il personaggio, Orlando, e l'autore, nelle relazioni patologiche a situazioni amorose: “tal, quasi m'ha fatto”, “di venir tal, qual ho descritto Orlando”, “mi rallegro Nel mio difetto aver compagno tale”, ed anche la impossibilità di vedere i propri difetti ed errori: “Frate tu [17] vai L'altrui mostrando e non vedi il tuo fallo”. Per Resta, la proiezione delle proprie tendenze al personaggio di Orlando rappresenta per Ariosto un tentativo di liberazione. I versi precedentemente citati possono esprimere un sollievo: il mio difetto (compiere follie per una donna) è comune anche agli altri (ad Orlando, per esempio). L'ammissione dei propri difetti è però solo parziale “tal, quasi”. Questo significa che l'autore, descrivendo la follia di Orlando, conferisce una realtà poetica alla realtà psichica e che quindi Orlando non rappresenta l'intera personalità dell'autore, ma solo la parte irrazionale.
Resta continua la sua indagine nel campo di reminiscenze infantili di Ariosto: il poeta è stato il primo di dieci figli e quindi per un primo periodo unico oggetto dell'affetto e delle cure materne. Con la nascita del primo fratello questa esclusività decade, e ogni fratello che arriverà dopo, riacutizzerà questo originale trauma psichico, inoltre ci si aggiungerà la rivalità verso il fratello. Alla fine, il dolore per la riduzione delle cure materne, la gelosia ed l'ira, determinano varie anomalie comportamentali ed una ribellione, una fuga dalla primitiva dipendenza dalla madre.
Secondo il critico, per chiarire i rapporti tra l'autore e il personaggio, e per comprendere l'intero personaggio, è fondamentale il sogno di Orlando. Orlando anche nel sogno, dopo aver visto scomparire Angelica, continua ad invocarla e ricercarla. Ariosto pone sullo stesso piano sogno e poesia, e precisa il motivo dei sogni: “per tema o per disio si sogna”, ciò corrisponderebbe, secondo Resta, con un tentativo di esaudire un desiderio e per l'autopunizione per intenzioni proibite (un risveglio in stato di ansia). Il motivo del castigo sarebbe evidente; Angelica rappresenta la madre, e quindi, il desiderio edipico doveva essere censurato: “Non sperar più gioirne in terra ma i”. Un'osservazione, altrettanto plausibile, troveremo anche per l'episodio del rapimento della regina Angelica dai pirati di Ebuda. Il critico mette in correlazione la breve felicità di Orlando nel sogno “Sentia il maggior piacer, la maggior festa Che sentir possa alcun felice amante” con il breve periodo in cui Ariosto era figlio unico, ritenendo che i pirati di Ebuda rappresentano i fratelli del poeta che rapiscono l'affetto materno. Medoro invece sarebbe l'incarnazione poetica del fratello prediletto della madre. Il tema del rapimento (dell'affetto materno) e del conseguente dolore e di gelosia si ripete nel poema con infinite variazioni. L'amore tra Angelica e Medoro provoca una sofferenza tale, che verrà attivato un meccanismo di difesa, la negazione: “Possa esser che non sia cosa vera”, e solo la fuga di Orlando potrà dare uno sfogo al dolore. “La sua donna ingratissima l'ha ucciso” allude agli impulsi di vendetta, seguiti alla tendenza di regressione (Orlando rinuncia alle convenzioni e al pudore): “E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo L'ispido ventre, e tutto 'l petto e 'l tergo”. Orlando si vendica in forma simbolica, attenuando i sensi di colpa con vari espedienti; spersonalizzazione “La faccia macra”, “La barba folta” e amnesia: “Ogni ricordo era in lui guasto e rotto”. La conquista e di Angelica e la vendetta contro l'infedeltà sono simboleggiate dal possesso e l'uccisione di una cavalla: “Avrebbe così fatto, o poco manco, Alla sua donna se non s'ascondea”.
Resta analizza anche un altro motivo: il desiderio di Orlando di riconquistare la felicità perduta. Nell'episodio di “Zibelterra” è raffigurata la gente che possiede la felicità che è stata smarrita da Orlando. Egli vorrebbe unirsi a loro, ma essi rifiutano e fuggono, ripetendo il modulo comportamentale della Angelica (e della madre); fuga e diniego. Ma quando le persone che circondando Orlando, gli offrono delle affettuose attenzioni, questo diventa favorevole alle sue esigenze psichiche e le sue condizioni mentali migliorano.
Infine, il critico si dedica al tono della narrazione (sempre in chiave psicanalista). Il tono del poema oscilla tra drammatico e l'umoristico. Mentre il tono drammatico indicherebbe la partecipazione emotiva con le disgrazie del personaggio, il tono umoristico testimonierebbe un atteggiamento di distacco e di superiorità, un meccanismo di difesa verso situazioni di sofferenza. (Resta 1957, in Corti, Segre 1970)
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L'apporto del metodo psicanalitico alla critica letteraria consiste sopratutto nello strumento che consente una maggiore penetrazione nei meandri segreti dell'opera: “Tolta di mezzo la separazione netta tra la vita e l'opera, la psicanalisi ci conduce alla presenza di un insieme denso di significati, di una vasta, ininterrotta melodia che è, insieme, vita ed opera, destino ed espressione, la vita assumendo valore d'espressione, e l'opera assumendo valore di destino” (Starobinski in Pautasso, 1972:220).
Per la sua chiarezza espositiva, la critica psicanalitica può essere presentata al discente di livello C1 o B2, anche senza esperienze pregresse nel campo letterario. Infatti, gli unici termini specifici che sono presenti in questo tipo di critica, sono i termini della psicanalisi, ma questi di solito fanno già parte dell'idioletto della persona di media cultura, quindi il discente probabilmente non svilupperà particolari difficoltà con la loro traduzione.
Glossario di termini della psicanalisi:
Affezione, angoscia, catarsi, complesso (edipico), decorso, ego, Es, frustrazione, inconscio, libido, mnestico (traccia), onirico, proiezione, pulsione, regressione, rimozione, ritenzione, sublimazione, super-io, tendenza (Streben), transfer (Conti, Segre 1970), (Freud trad. 2014).
A questi termini vanno aggiunti anche quelli che sono presenti nel materiale presentato. Il discente non deve soltanto comprendere il significato, ma deve saper trascrivere questo significato in lingua italiana. Lavorare con un dizionario monolingue, cercare la definizione in lingua (riducendo così le interferenze con la lingua materna), aiuta a diventare l'esposizione orale più fluente. Imparare a dare le definizioni in italiano potenzierà le abilità linguistiche; ci si abituerà a parafrasare, cioè a sostituire con un' altra espressione un termine che non si conosce o che al momento non viene in mente, un'abilità che ha il parlante nativo o chi ha già un'ottima padronanza di lingua.
3.8. LA STORIA DELLA LINGUA ITALIANA COME FORMA DI CRITICA
Oggetto di uno storico della lingua è l'atteggiamento dello scrittore verso la lingua; verso la propria lingua e verso la lingua come tradizione letteraria.
Alfredo Schiaffini (Beccaria in Corti, Segre 1970: 217-231) per esempio dimostra quanto lo 'stigma' del latino sia presente nelle opere più recenti (Convivio che emula i trattatisti in lingua latina, il preziosismo di Francesco Colonna, il 'lussuregiare' verbale di D'Annunzio). Lo stesso Schiaffini interpreta le tonalità e le strutture stilistiche delle prosa come espressione del gusto stilnovistico, analizzando la tecnica dello stile poetico schematizzato come una particolare tendenza letteraria.
Per Giacomo Devoto (Ibidem) il giudizio stilistico è un giudizio di socialità, non di valore, in questo senso, la critica gli rimane estranea.
“Stile è quanto rimane d'individuale nelle realizzazioni linguistiche, non appena esse sono entrate nel mondo economico-giuridico, e cioè hanno accettato una legalità esterna dell'individuo; quando (…) esse sono diventate accessibili a un lettore.
Lo stile è il 'rapporto' fra l'individuo creatore a la società in cui opera.” (Devoto 1962, Ivi)
Terracini invece teorizza del soggetto e la unicità della sua espressione, del rapporto “agonistico” dell'individuo con la lingua, vista come “tradizione”, alla quale l'individuo aderisce o da essa si distacca, come realtà preesistente all'atto espressivo.
La metodologia critica di questo tipo analizza quindi un'opera non dal punto di vista “com'è fatta”, ma piuttosto “come si è fatta”. Al centro dell'attenzione sono le analisi delle varianti di autore. Gianfranco Contini ( Cfr. Contini 1947, Ivi) ribadisce, che la poesia si può considerare in due modi, il primo, statico, la considera un oggetto e il risultato è una descrizione caratterizzante che ne stima un “valore”, il secondo, dinamico, la vede come opera umana, e ne stima un'approssimazione al valore, valore “pedagogico”. Secondo Contini è questa considerazione pedagogica dell'arte che spetta l'interesse delle varianti dell'autore, in quanto esse rappresentano gli elementi storico-letterari.
Questa critica delle varianti, che analizza, piuttosto che il prodotto, il procedimento creativo, è stata uno degli apporti più significativi alla critica del dopoguerra. Oggetto di uno storico della lingua è l'atteggiamento dello scrittore verso la lingua; verso la propria lingua, e verso la lingua come tradizione letteraria. P. V. Mengaldo nell'analizzare il linguaggio poetico di Montale (Mengaldo, Ivi), evidenzia le fonti dannunziane come le tradizioni che vi coinfluiscono e vi assumono configurazioni nuove. Nella koiné poetica di un certo periodo storico si puntualizzano i filoni dominanti del gusto letterario.
Esempio della storia della lingua italiana come metodologia critica: Alfredo Schiaffini: A proposito dello “stile comico” di Dante (Schiaffini 1955 in Corti, Segre 1970: 232-242) (abbreviato)
Già nell'opera giovanile Vita Nuova, ricorda Schiaffini, Dante aveva espresso di voler comporre in volgare:
“lo intendimento mio non fue dal principio (di tale operetta) di scrivere altro che volgare” e
“simile intenzione so ch'ebbe questo mio primo amico” (Guido Cavalcanti).
Nella Divina Commedia Dante si ispira, secondo Schiaffini, alla poesia volgare dei trovatori provenzali, nonostante che cita e deve molto ai classici. Nel Purgatorio Sordello, simbolo della poesia volgare e provenzale, si inchina dinanzi a Virgilio, ma nelle sue liriche nulla deve agli antichi. Nella Vita Nuova e nel De vulgari eloquentia, i propositi di imitazione di modelli sono solo ideali retorici e riguardano la teoria medioevale dell'”ornato”.Nel Convivio che è una manifestazione di un'espressione più matura, Dante spiega che scrive in volgare “per lo naturale amore de la propria loquela”, magnifica il volgare e lo difende dai “denigratori”. Non si tratta di una difesa del volgare in sé, ma del volgare di Dante stesso. Nella sua impresa Dante invoca l'ispirazione di Dio come Verbo: Verbo aspirante de celis, locutioni vulgarium gentium prodesse temptabimus”. Egli acquista la coscienza e afferma di essere il primo a dare uno studio teorico del volgare.
L'esempio del brano di Schiaffini che tratta la lingua di Dante attesta che questa metodologia critica è in grado di avvicinare al discente le conoscenze dell'epoca letteraria che altrimenti dovrebbe ricavare dalla storia letteraria. Come un altro esempio della storia della lingua italiana come critica possiamo segnalare La lingua dell'improvviso nella commedia goldoniana di Gianfranco Folena (Folena in Corti, Segre 1970: 250-262).
3.9. LA CRITICA SEMIOLOGICA
La semiotica (o semiologia) si propone oggi come una teoria generale della cultura, non solo letteraria, ma anche di arti figurative, di architettura ecc.
La semiologia studia i fenomeni della cultura dal punto di vista dei processi comunicativi. Essa strumentalizza quindi anche la critica letteraria ai fini di una comprensione più vasta dei segni. Per cui viene adoperata, a posto del termine “critica semiologica”, la locuzione “semiologia come critica della cultura”.
La linguistica non fornisce tutte le chiavi possibili, essendo solo uno tra tanti sistemi di segni. La semiologia cerca gli strumenti propri, servendosi anche delle indagini strutturalistiche dei sistemi di comunicazione. Possiamo distinguere tra due teorie della semiologia: la prima definisce le caratteristiche particolari del messaggio estetico, la seconda si fa essa stessa strumento critico, non essendo più ancorata alla descrizione di codici generali che stanno prima del messaggio. (Eco in Corti, Segre, 1970: 371-383).
In Italia si giunge alla critica semiologica attraverso la filologia, la storia della lingua e la stilistica. La critica di D'Arco Silvio Avalle, cerca nel testo il motivo coagulante che porta al significato, al contenuto, prima di ricostruire le fonti (linguistiche, formali e figurali) della poesia. Maria Corti e Cesare Segre invece analizzano la lingua storica, influenzata dagli schemi culturali. Umberto Eco, l'esperto delle comunicazioni di massa, ha decodificato quanto costituisce spettacolo nella vita quotidiana, dai personaggi televisivi alle canzoni e ai fatti di cronaca. Il romanzo “Il nome della rosa” (Eco, 1981), si basa sull'intertestualità ed è stato costruito proprio per offrire diversi livelli di lettura. I personaggi di questo tipico romanzo postmoderno si confrontano con le diverse ipotesi semiotiche. (Zaccaria, Benussi, 2002: 64-67).
Esempio di critica semiologica:
D'Arco Silvio Avalle “Gli orecchini” di Montale
Non serba ombra di voli il nerofumo
della spera. (E del tuo non è più traccia).
E' passata la spugna che i barlumi
indifesi del cerchio d'oro scaccia.
Le tue pietre, i coralli, il forte imperio
che ti rapisce vi cercavo; fuggo
l'iddia che non s'incarna, i desideri
porto fin che al tuo lampo non si struggono.
Ronzano èlitre fuori, ronza il folle
mortorio e sa che due vite non contano.
Nella cornice tornano le molli
meduse della sera. La tua impronta
verrà di giù: dove ai tuoi lobi squallide
mani, travolte, fermano i coralli.
Nel brano critico di Avalle possiamo individuare le metodologie proprie sia della critica semiologica, sia quella strutturalistica. Per il procedimento semiologico è tipicizzante come segue:
Nel sonetto di Montale viene individuato il tema dello specchio annerito (“il nerofumo della spera”. Questo oggetto verrà sottoposto ad un'analisi lessicale e stilistica.. Si giungerà all'esito: lo specchio rappresenta il riflesso della realtà intera, attraverso un'immagine che viene poi messa a confronto, tramite un'indagine intertestuale, con le varianti, usate nelle altre opere, dal poeta stesso e da altri (Segre, Corti, 1965, in Zaccaria, Benussi, 2002: 65).
Per la metodologia strutturalistica invece si segnala:
In un'atmosfera di raffinatezza un po' decadente (l a spera = lo specchio, il cerchio d'oro, le pietre, i coralli, la cornice ) viene evocata la malinconia ( il nerofumo, i barlumi, le meduse della sera ) e anche una solitudine sentimentale ( è passata la spugna, scaccia, ti rapisce ) che cerca invano recuperare la memoria di un passato distrutto ( non serba ombra di voli il nerofumo, vi cercavo, la tua impronta). Questi elementi descrittivi si saldano tra di loro attraverso le connotazioni. La spera assorbe l'oscurità serale attraverso il nerofumo, barlumi indifesi, meduse della sera. Lo specchio richiama anche l'assenza e l'oblìo, unisce il presente sconsolato e una memoria dolorosamente interrogata. Avalle precisa l'alone connotativo che ha la parola chiave nel resto dell'opera del poeta, avviando così il discorso sui rapporti fra strutture e storia (Avalle 1965 e Avalle in Segre in Conti, Segre 1970: 335-336).
Infine, il testo critico di Avalle può essere considerato anche dal punto di vista della storia della lingua italiana come metodologia critica (Beccaria in Corti, Segre 1970: 227), in quanto Avalle analizza l'unità del componimento nei suoi richiami interni al testo specifico e al corpus montaliano, e nel sistema di rapporti su cui l'unità si regge. In esso non si tratta di lettura extratestuale, ma della lettura incentrata soltanto al sistema di concetti interno in cui si opera.
Come altri brani critici tipicizzanti della critica semiologica vanno segnalati Piero Raffa: Due letture del teatro pirandelliano(Corti, Segre 1970: 392-399) e Maria Corti: La codificazione bucolica (Ivi: 399-404).
La dialogicità della critica semiologica è data dai suoi legami fra varie opere dei vari autori. Questo aspetto potrà essere sapientemente sfruttato dal docente nella preparazione dei moduli della storia letteraria. Il lessico della semiologia impiega termini della linguistica, come anche la critica strutturalistica ed altre tipologie che si servono dei metodi scientificamente oggettivi. Per il resto si tratta di un linguaggio standard delle materie umanistiche, che non daranno al discente particolari problemi di comprensione. Entrare a contatto con questo tipo di critica risulterà proficuo per i futuri studenti delle discipline artistiche.
3.10. LA CRITICA ERMETICA
La critica ermetica nacque sullo sfondo della poesia ermetica e rimane legata ad un tempo ben preciso, tra gli anni 1930-1945.18 Il canone crociano della chiarezza e trasparenza senza ombre assume atteggiamenti di condanna o almeno di sospetto verso la poesia che invece esprime inespresso, che si cela nel mistero, in cui l'allusività non si risolve pienamente in immagini univoche. Nasce quindi l'esigenza di una critica meno tesa alla ricerca del risultato, più aperta al gioco della poesia, critica che comprende anche allusioni e sottintesi intraducibili, volta a comprendere la realtà umana che alla poesia si affida.
Carlo Bo, autore di “Letteratura come vita” (1938), fu uno dei rappresentanti più significativi di questa corrente. La sua formazione (cattolica, poi si formò sui surrealisti francesi) fu essenzialmente irrazionalistica, egli cerca nella poesia un mezzo di conoscenza metarazionale. Bo parte da un'idea della poesia come ontologia, non come espressione o conoscenza della vita, ma come “la vita stessa”, nella sua parte migliore e vera, nella quale si annulla il tempo, la coscienza, la presenza di sé. La letteratura è un mezzo per affondare maggiormente nella vita, la letteratura e la vita sono due aspetti di un'unica realtà, due strumenti di ricerca e di verità. Il compito del critico è di annullarsi nell'opera, in una “lettura d'identità”, l'oggetto di studio non è più il preciso testo esaminato, ma la vita, e in essa, la presenza dell'Uomo. La conseguenza di questo annullamento del critico è il particolare testo di Bo che oscilla tra i toni della autobiografia spirituale e del discorso metafisico sulla condizione umana. Il critico non riesce più a distinguere tra l'anima del poeta e la propria, perde anche la distinzione tra il discorso sull'opera e il discorso sulla letteratura. Una biografia che sfuma in autobiografia diventa una ricerca dei momenti dell'illuminazione e della verità. La critica ermetica riesce a rilevare aspetti centrali della condizione umana e della coscienza del “fare letterario”.
Al linguaggio del Bo viene rimproverata l'oscurità. Questa però non è mai gratuita, inutile, ma è un espressione di un rifiuto di scrivere “chiaro, di accettare le linee elementari di un codice comunicativo diminuendo così l'intimità della propria partecipazione. Bo adopera frequentemente personalissime metafore, volte a dar forma alla realtà spirituale.
Per i critici ermetici il senso della poesia è di evadere dalla realtà storica, dalle sue incertezze e ambiguità, di evadere verso una certezza assoluta, naturale. Piero Bigongiari, anche egli un'esponente notevole di questo movimento (i suoi saggi sono tra i più tipici, anche per il linguaggio, ricco di rarefazioni espressive) scrive:
“l'uomo ha avvertito la spinta che lo smoverà dal proprio destino verso un eventuale libero arbitrio quanto più ha impreso un discorso naturale, quanto più ha parificato il proprio destino a quello delle cose...” (Bigongiari 1958 in Briosi 1973:126)
L'umiltà del critico di fronte al fatto poetico, la consapevolezza della oggettiva limitazione dei fatti, costituisce un richiamo alla complessità del fatto poetico (Briosi, 1973: 123-126).
Oltre Carlo Bo e Piero Bigongiari vanno segnalati come esponenti maggiori Mario Luzi (poeta anche lui, come Bigongiari), Luciano Anceschi, Oreste Macrì.
Esempio della critica ermetica:
Bigongiari su Montale
Bigongiari paragona i destini artistici di Cecchi e di Montale. Cecchi avrebbe accettato la sorte di “splendido cronista, rondista-vociano dedito a l'intelligenza e alla nostalgia, mentre Montale “non può ottenere che magri armistizi”. Indispensabile per la comprensione è la nota di Briosi: Bigongiari si riferisce alla immagine della vittoria sugli oggetti, in Montale mai definitiva, dopo ogni conquista subentra una nuova inquietudine.
Mentre Cecchi opera in modo “etnico e culturale”, la sua pagina 19 risulta un rigoglio degli oggetti iscritti nella mente come un alfabeto. Montale opera invece con animo volto a ragionare un mondo il cui fuoco interno è fuggito, gli oggetti sono pochi e tipicizzanti. Qui si fa utile di nuovo ricorrere alla nota di Briosi: gli oggetti di Cecchi conservano il loro significato storico, quelli di Montale sono destituiti. In quel senso, il “fuoco i nterno” li ha lasciati.
La poesia di Montale tende alla riqualificazione dell'origine per ottenere una fine. Al mondo che non parla corrisponde il balbettare di un protagonista avventuratosi in una memoria sorda. Gli oggetti sono tutti una caduta. Secondo Bigongiari, Montale crede che essi celino qualcosa (vedi Lindau), tale è la sua fiducia nell'animazione del mondo.
La memoria montaliana non genera le pure immagini, non fu mai vergine. Le note di Briosi spiegano, che la memoria del poeta recupera le cose in un loro aspetto “dissecato”, privo di vita, non nella loro vitalità, non è un mezzo di purificazione, ma solo una passiva registrazione del reale, nella sua caoticità.20
La memoria, continua Bigongiari su Montale, è sorda, non dà la parola precisa. Il poeta non può aprire il mondo con la chiave che la memoria gli offre. Le Occasioni non sono una riconquista del tempo, ma una convalida degli Ossi, della rivolta che Montale ha accettato: l'inerzia. La memoria adempie a una funzione di neutra distanza, mescola il presente al passato in un continuo riproporsi la prima immagine, la prima frase. “il tempo passa” e i Mottetti hanno questo senso drammatico e insieme fermo, Montale si muove con una tale padronanza del suo presente, distruggendo quel plurale delle Occasioni. (Bigongiari 1965, in Briosi 1973: 144-146)
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La critica ermetica è significativa perché rende giustizia all'opera letteraria laddove i metodi oggettivi falliscono nell'interpretazione. Non è facile per un discente di non madre lingua italiano imbattersi nel testo di un critico ermetico, anche se si tratta di un discente esperto in materia della critica letteraria. Il docente deve essere in grado di esemplificare i concetti senza intaccare la loro sostanza.
3.11. I NUOVI SVILUPPI DELLA CRITICA
La critica contemporanea è caratterizzata dalla centralità del lettore, oltre che dalla soggettività dell'interpretazione dei testi letterari, già sperimentata dalla critica ermeneutica. Si pone moltissima attenzione al modo delle ricezione delle opere. Cosiddetto l'”orizzonte d'attesa” (Jauss trad. 1969, in Zaccaria, Benussi 2002: 75, 92) indica come il lettore accoglierà l'opera, quali sono le sue aspettative. Il compito principale del critico consiste nel fare delle previsioni in questo senso. Egli deve ricostruire i modelli letterari previsti dal lettore; qualora le opere innovative non hanno precedenti nella tradizione, anche se il loro valore estetico è altissimo, queste opere vengono accettate più tardi, quando l'orizzonte d'attesa si è evoluto (Zaccaria, Benussi 2002: 75).
Secondo Umberto Eco, autore di “Lector in fabula”, (Eco 1979) il lettore “modello”, per il quale scrive l'autore, è diverso per ogni singolo autore, ma all'interno dello stesso testo possono coesistere diversi lettori modello.
Il decostruzionismo considera il testo letterario intessuto di idee, parole, immagini, elaborate e riadattate da testi già esistenti. (Bloom trad. 1983 in Zaccaria, Benussi 2002: 76-77). La intenzionalità dell'autore non può contenere tutte le possibili letture. (Derrida trad. 1971, in Zaccaria, Benussi 2002: 76). Il critico è considerato influenzato dalla cultura dalla quale proviene, quindi è portato a fraintendere. In Italia l'attenzione al decostruzionismo è stata solo teorica, si possono fare alcuni nomi: Remo Ceserani, Maurizio Ferraris, Eduardo Saccone, Franco Brioschi, Costanzo di Girolamo. Da parte dei critici di formazione marxista e semiologica (Luperini, Segre, Eco) sono state mosse numerose obiezioni alla critica decostruzionista. (Casadei 2001: 151-152).
L'ermeneutica, ossia la tecnica dell'interpretazione, riconosce al linguaggio una funzione non solo comunicativa, ma anche quella di trasmettere “simboli dotati, oltre che di una referenza linguistica immanente, anche di una pluralità di significati, coincidenti con il senso ontologico e trascendente dell'esistenza umana. “ ( Hirsch trad. 1977 in Zaccaria, Benussi 2002: 74-75). La distanza storica tra l'autore e il lettore favorisce un continuo contatto tra la modernità a la tradizione. In Italia si sono mostrati attenti ai problemi di ermeneutica Emilio Betti, Luigi Pareyson, il quale afferma la necessità di unire ontologia e storia, Gianni Vattimo, Ezio Raimondi, Bruno Basile (studi su Tasso), Andrea Battistini (studi su Vico e su Galilei, con Maria Luisa Altieri Biagi), Lina Bolzoni (Casadei 2001: 138-139).
La critica postmoderna, così come l'ermeneutica e i decostruzionismo, in Italia non hanno suscitato molto interesse. La critica postmoderna sottolinea le strategie autoreferenziali, metanarrative, metalinguistiche e l'intertestualità dell'opera, evidenzia il carattere ludico del rapporto con il lettore. L'elaborazione elettronica influenza la critica cambiando i presupposti culturali sui concetti di lettura e scrittura.
Codeste metodologie rientrano in una concezione “a ntropologica” che considera il testo letterario come espressione e prodotto, documento di una visione del mondo, in cui l'individualità dell'autore si incontra con le tendenze del momento storico (Zaccaria, Bennussi 2002: 92).
Negli anni Novanta i massmedia contribuiscono all'abolizione della divisione tra cultura alta e bassa. L'indifferenza per il valore estetico delle opere costituisce un limite concreto per l'analisi. Ci si rende conto delle difficoltà di organizzare i segni in una scienza generale, ciò comporta una crisi della semiotica. La critica rinnova il suo interesse per i contenuti, si sviluppa la critica tematica (gender ecc.), permane l'interesse per il ruolo del lettore. La possibilità di applicare approcci differenti conduce a una visione multiprospettica, in cui parecchie metodologie critiche trovano un riuso. Ma la critica europea non ha fornito negli ultimi anni del Novecento e nei primi del Duemila teorie d'insieme.
In Italia, a partire dagli anni Ottanta, grazie alle nuove tecnologie informatiche, si svolgono numerosi studi linguistico-storici. Nasce la CIBIT, il patrimonio di testi informatizzati contenuto nella Biblioteca italiana telematica. Sono stati raggiunti notevoli successi nei commenti dei classici, ad esempio su Petrarca, ad opere di Marco Santagata e di Rosanna Bettarini. Da piccole case editrici legate al circolo universitario vanno pubblicati numerosi titoli attinenti alla critica letteraria, ma la loro diffusione è sempre più circoscritta all'ambito specialistico. Non mancano le polemiche sulla funzione della critica nei mass-media a nei blog; Carla Benedetti sostiene che la critica letteraria avrebbe abdicato al ruolo di stimolatrice e di cercatrice di nuovo (Benedetti 1998 e 2002, in Casadei 2001: 172-173). Si cerca di individuare nuove forme di analisi complessiva, riconducendo la produzione al contesto socioculturale, grazie ad uso accorto delle nozioni di genere e di tema, sfruttando gli studi stilistici della migliore critica novecentesca. Purtroppo questa impresa è ostacolata dalla subordinazione al fattore di successo (Casadei 2001: 171-176).
La fusione dei testi scritti con quelli visuali ed audiovisuali, la possibilità di variare il testo tramite la funzione attiva del lettore, sconvolgono totalmente le prospettive critiche; per chi vorrebbe mantenere una distinzione tra il giudizio culturale e quello estetico, la prospettiva di una perdita dell'identità letteraria è forte. Il compito di una nuova critica è quello di non rimanere ancorati alla sterile difesa della tradizione, ma aprirsi alle riletture anche trasgressive e soggette al conflitto delle interpretazioni (Ivi: 176-179).
4. UN GLOSSARIO PER UN BREVE RIPASSO DEL LESSICO LETTERARIO
Nella preparazione dell'unità didattica potrebbe rivelarsi utile di inserire, assieme alla terminologia che figura nel testo presentato, un glossario delle espressioni comuni che si usano parlando di letteratura. Sono stati individuati, come il minimo indispensabile, i seguenti termini:
Poesia, poeta, poetessa, lirica, epos, inno, componimento poetico, raccolta
Prosa, romanzo, novella, racconto
Eroe, antieroe, antagonista
Tragedia, dramma, commedia, monologo, dialogo
Tema, argomento, movimento, corrente, genere letterario, concetto, sguardo, testo, particolarità, caratteristica, atmosfera, desiderio, nostalgia, tristezza, gioia, ambito, territorio, nesso, connessione, contesto, discorso diretto/indiretto
Trattare, trattarsi, confrontarsi con, affrontare, descrivere, rappresentare, mostrare, chiarire, illustrare, esprimere, usare, adoperare, sottolineare, rendere, riprodurre, distinguersi, suggerire, influenzare (esercitare influenza su), sentire, aspirare (Frasinetti, Rota 2014).
5. LE STRUTTURE DEL LINGUAGGIO E LA CRITICA LETTERARIA
5.1. L'ANALISI STRUTTURALE
Il testo rappresenta il termine di riferimento obbligatorio per ogni discorso critico-letterario. Nel giudizio critico gli elementi costruttivi della lingua possono offrire importanti sussidi. Gli elementi grammaticali, tradizionalmente ripartiti in fonologici, morfologici e sintattici, svolgono nell'analisi letteraria un ruolo importante. Oggi un testo va inteso anche come uso particolare delle norme grammaticali, cosi anche il critico letterario affronta i problemi della scrittura e dello stile d'autore.
La scelta delle parole e la loro collocazione all'interno del periodo contraddistinguono lo stile del testo, assieme agli effetti fonici, ritmici ed effetti delle corrispondenze21 . La musicalità della parola è data attraverso l'uso sapiente degli elementi tecnici e lessicali. Ma anche la prosa ricerca gli effetti verbali, ad esempio la cadenza (cursus), originariamente per sopperire alla perdita della misura quantitativa del latino (Zaccaria, Benussi 2002: 119).
5.2. LE FIGURE RETORICHE
Le recenti tendenze della critica, il formalismo e lo strutturalismo, hanno rivalutato gli studi di retorica, intesa come capacità tecnica di costruire il discorso letterario. La retorica riguarda tutti i livelli dell'espressione, da quello concettuale, riferito alla logica, a quello delle scelte espressive e formali, riferito all'estetica. (Ivi: 114-123)
Le figure retoriche si possono dividere in quattro categorie: 1, morfologiche, 2, sintattiche, 3, semantiche, 4, logiche. Le più importanti figure retoriche (Ivi: 123-128) sono: Accumulazione, adynaton, allegoria, alliterazione, allusione, anacoluto, anadiplosi, anafora, anastrofe, antifrasi, antitesi, antonomasia, aposiopesi, apostrofe, asindeto, catacresi, chiasmo, climax, correctio, diafora, ellissi, endiadi, enfrasi, enumerazione, epanortosi, epifora, epiteto, eufemismo, figura etimologica, hysteron proteron, interrogativa retorica, ippalage, iperbato, iperbole, ipotiposi, ironia, metafora, metonimia, onomatopea, ossimoro, parallelismo, paronomasia, perifrasi, personificazione, poliptoto, polisindeto, preterizione, prolessi, prosopopea, reticenza, sineddoche, sinestesia, tmesi, zeugma. Il docente non avrà difficoltà di munirsi dei volumi che trattano l'argomento delle figure retoriche. Oltre al testo citato, corredato anche dagli esempi di uso, può essere utile anche il volume di Gino Tellini “Letteratura italiana. Un metodo di studio: La fabbrica del testo” (Tellini 2011). Chi vorrebbe optare per l'infantilizzazione come una delle moderne tecniche didattiche, può adottare il volume di Cecilia Campironi “Che figura!”, una divertente raccolta delle figure retoriche in cui “il mago Ossimoro si rinfresca col fuoco e si scalda col ghiaccio...” (Campironi 2016).
Per un discente di non madre lingua italiano riconoscere le figure retoriche diventa fondamentale per la comprensione del testo. Il mancato riconoscimento di un enjambement nella tentata parafrasi o traduzione potrebbe condurre agli effetti davvero fuorvianti e comici.
5.3 LA PARAFRASI
La parafrasi nell'ambito della glottodidattica è un capitolo al quale bisogna dedicare molta attenzione. Una parafrasi deve essere eseguita come un travaso di dati storici e culturali altrui entro il proprio sistema di riferimento. Ma il docente dovrebbe sempre ribadire al discente di rendersi conto che neanche la migliore delle parafrasi possa dire la stessa cosa che dice il testo letterario coi propri mezzi, a maggior ragione quando si tratta di un testo poetico. A questo si aggiunge la problematica della disposizione logica e sintattica (sopratutto nella poesia prenovecentesca gli effetti della dispositio sono più mossi). Comporre l'ordine grammaticale, oltre ad essere necessario per la comprensione, metterà il discente a confronto con la “programmatica infrazione poetica” (Ardissino, Stroppa 2009: 74).
“La struttura metrica del testo poetico andrà (…) considerata come una forma di violenza organizzata, nell'ambito di una convenzione, nei confronti della lingua standard” (Di Girolamo 1983 in Ardissino, Stroppa 2009: 74).
6. CURRICOLO, MODULO, UNITA' DIDATTICA
6.1. IL CURRICOLO
Il curricolo, cioè l'obiettivo glottodidattico del discente, varia da un discente all'altro e può anche cambiare nel tempo. Per la preparazione del materiale didattico diventa necessario concordare e consolidare questi obiettivi tra il docente e il discente.
Non tutti discenti dell'italiano come LS che si preparano a svolgere gli esami della certificazione linguistica saranno interessati ai corsi di letteratura italiana (ad esempio nei corsi aziendali). I testi letterari in questo caso possono essere impiegati come testi autentici ai fini glottodidattici, sempre con il beneficio di costituire un veicolo motivazionale. Nello stesso modo si possa giustificare l'impiego dei brani di critica letteraria, visto anche che tali testi fanno parte del materiale impiegato agli esami di certificazione linguistica (vedasi il primo capitolo). In tal caso questi testi non verranno inseriti nel curricolo attraverso i moduli della letteratura, ma dell'insegnamento linguistico, ad esempio come un modulo della tipologia testuale, senza dover variare l'unità didattica proposta nel capitolo 6.3.
6.2. IL MODULO
Si è già accennato nei capitoli precedenti che la storia letteraria può essere ricostruita alla fine del percorso attraverso i moduli.
“Un modulo [22] è un'unità di insegnamento/approfondimento indipendente e autonoma. Può riguardare un tema, un problema, un procedimento, una competenza e ha degli obiettivi ben definiti. Non è costruito secondo un criterio di linearità, ma ha una struttura interna ramificata o reticolare. Il modulo si colloca in una metodologia flessibile centrata sull'apprendente.” (Pozzi Lolli 2006 in Della Valle 2014, 110)
M. L. Pozzi Lolli propone le seguenti varietà di moduli:
- modulo di genere (genere letterario nel suo divenire storico)
- modulo tematico (il tema nell'evoluzione storica)
- modulo “ritratto d'autore”
- modulo “incontro con un'opera”
- modulo movimento letterario
- modulo metodologico (ad esempio, come si legge un racconto) (Pozzi Lolli 2006 in Della Valle 2014:110)
Paola Celentin e Rosella Beraldo (Celentin, Beraldo 2014:7) propongono invece di organizzare l'ipertesto attraverso varie tipologie di percorso:
o percorso per autore (analisi della sua produzione, del suo tempo, collocazione nel panorama letterario
o percorso per opera (analisi dell'opera, collegamento alla produzione dell'autore e al panorama letterario, collegamento ad altri testi per affinità tematiche o strutturali)
o percorso per analisi del contesto (determinato periodo storico o letterario)
o percorso di tipo tematico (argomenti vicini alla sensibilità degli studenti)
Il percorso tematico, secondo Celentin e Beraldo, permette di trattare gli autori del Novecento in qualsiasi momento e di poter concentrarsi su problematiche contemporanee (razzismo, condizione della donna, omosessualità, ecc.) (Ibidem)
Un modulo, secondo Paolo E. Balboni (Balboni 2006: 16-20), è
“una sezione, una porzione, un sottoinsieme di un curricolo, una sezione autosufficiente, conclusa in se stessa, in modo da poter essere accreditata nel portfolio dello studente; pur nella sua autonomia, un 'modulo' deve essere raccordabile con altri moduli.”
Balboni propone due tipi di moduli nella didattica della letteratura italiana:
- Moduli tematici, centrati sul contenuto
Tra questi, i primi due sono moduli tradizionali, incentrati su un movimento o un periodo e moduli su un autore di grande spessore, gli altri sono stati aggiunti recentemente, moduli su un tema psicologicamente rilevante e moduli basati sui diversi generi letterari. Negli ultimi sono i singoli testi a legarsi alla storia letteraria.
- Moduli metodologici, per lo sviluppo di un'abilità
Il primo ha come lo scopo la metodologia di lettura e analisi di un testo letterario, il secondo la metodologia storico-critica.
6.3. LA CRITICA LETTERARIA INSERITA NEL CONTESTO DELL'UNITA' D'APPRENDIMENTO
6.3.1. LA MOTIVAZIONE E LA GLOBALITA'
Questa fase sarà composta dalla lettura del testo letterario di partenza (in caso delle opere estese dei brani scelti). Siamo del parere, che nei corsi di lingua ai livelli molto avanzati, non dobbiamo più tener conto dei limiti posti dalla lunghezza del testo, sicché il discente è già in grado di leggere il testo intero in autonomia. Nella fase di globalità, mentre presenteremo il testo al discente, è preferibile una performance di alta qualità, in quanto il discente dovrebbe percepire oltre alla pronuncia perfetta gli stati d'animo, ritmi, pause-silenzi.
La tipologia del discente ci permette di inserire il testo letterario direttamente senza premesse, in quanto si tratta di persone con un certo pregresso letterario, ben consce del piacere che possono trarre dalla letteratura.
6.3.2. LA LETTURA INTENSIVA
Questo è il momento, riservato all'analisi linguistica e letteraria del testo, il momento di proporre il testo della critica letteraria. Oltre alla scelta della tipologia critica, può essere opportuno di abbreviare i testi o presentare solo alcune sequenze. Potrebbe rivelarsi interessante, invece di presentare un saggio voluminoso, proporre due testi abbreviati di autori diversi, dedicati alla stessa opera, sia se usano le metodologie diverse, sia simili, e paragonare i diversi punti di vista. Questa fase è finalizzata al perseguimento dell'obiettivo prescelto, perciò diventa molto importante che sia costruita sullo specifico, in coerenza con gli obiettivi formativi del discente.
6.3.3. LA SINTESI E LA RIFLESSIONE
In questa fase si torna a parlare del testo di partenza. Appresa la lezione del critico, il discente avrà potenziato le sue capacità linguistiche e critiche, ora è in grado di interpretare l'opera con un linguaggio adeguato, esprimendo anche un proprio giudizio.
CONCLUSIONE
Come si già detto, gli obiettivi dell'insegnamento della letteratura italiana ai discenti stranieri e italiani sono i medesimi. Tuttavia, diverse saranno le esigenze tra queste due tipologie dei discenti. Lo studente italiano, per essere educato all'amore per la letteratura, non avrà bisogno delle 'autopsie' del testo tramite le griglie, tramite le parafrasi, si direbbe inutili, almeno se non si tratti della comprensione della lingua antica, che spesso sostituiscono la parola poetica con la parola povera. Egli comprende il testo già per via d'intuizione. Diversa sarà la situazione del discente straniero, quando riconoscere le figure retoriche diventa fondamentale per una corretta comprensione del testo.
Opera chiusa versus opera aperta
Già di per sé, questo affascinante dualismo, analizzare un testo che a sua volta analizza un altro testo, può essere per il discente molto motivante. Ma ponendoci il problema, quale metodologia di critica proporre al discente, la risposta non è univoca e dipende da molteplici fattori. Erminia Ardissino e Sabrina Stroppa (Ardisino, Stroppa, 2009: 63) nel volume “La letteratura nei corsi di lingua: dalla lettura alla creatività” riportano tre citazioni che documentano tre visioni completamente differenti dell'approccio critico:
Maria Corti si esprime chiaramente a favore della visione del testo letterario come un'opera aperta, secondo lei non esiste una sola lettura. Ribadisce però anche la necessità di analisi della struttura dell'opera:
“Il vero destinatario del linguaggio poetico è colui che, seguendo le istruzioni di testo, varca la soglia della semantica testuale e con processo inverso a quello del poeta recupera parzialmente la fase dell'avantesto, ovvero di quella 'entrata in gioco', generatrice della parola poetica, provocata da una parola, da un ritmo, una serie fonico-timbrica, che muov e inquieta alla ricerca di un significato” (Corti 1997 in Ardissino, Stroppa: 63)
La seconda concezione è di F. Brioschi e riguarda l'importanza del metodo oggettivo. Secondo Brioschi ci si deve impegnare per adottare di volta in volta delle strategie di analisi più appropriate.
“..solo a posteriori riconosceremo ciò di cui eravamo in traccia. Solo allora potremo distinguere l'erudizione ingombrante della notizia rivelatrice, l'aneddoto accessorio dal riferimento che di colpo illumina ai nostri occhi una trama stilistica, una correlazione verbale, un significante ancora inosservato. Tutto mi può tornare utile per conoscere meglio un testo.” (Brioschi 1983, ivi)
Il terzo sguardo è da parte di un gruppo di insegnanti palermitani, che così si esperime contro una specie di “impressionismo”, si direbbe, quindi, contro i metodi soggettivi della critica letteraria:
“Ogni strategia d'approccio può essere fruttuosa, se intende osservare da vicino la struttura del testo rinunciando da subito a lodarne la diffusa e inesprimibile 'poeticità', l'impressionismo descrittivo non funziona, nella didattica, perché viene spesso trasformato dagli allievi in discorso fumoso e inconcludente. Gli insegnanti stessi, chiamati a dare un giudizio sulla rappresentazione del Novecento poetico italiano nelle più note antologie scolastiche, lamentano la carenza dell'apparato di note: evidenziabile sopratutto nella diffusa tendenza ad aggirare il significato del testo. (Zippo23 1995, ivi)
Revisionare lo strutturalismo
Lorenzo Renzi, pur dichiarandosi sostenitore delle poetiche formaliste e strutturaliste (Renzi 1991: 22), sottopone nel suo volume “Come leggere la poesia” i metodi strutturalisti ad una revisione, comprovando in maniera molto esplicativa e divertente le lacune di questo tipo di approccio. Ciò nonostante, Renzi riconosce all'analisi strutturale di aver in mano strumenti perfezionati e di aver introdotto un metodo relativamente più rigoroso, opponendosi però a chiamare questo metodo scientifico. (Renzi 1991: 28). Secondo Renzi, i procedimenti formali che la poetica strutturalista scambia per l'essenza della poesia, sono solo indizi che dobbiamo leggere il messaggio come un atto linguistico di finzione, poetico.(Renzi 1991: 161)
Giuseppe Noto nel suo intervento intitolato “Datemi un testo e ve lo s branerò: l'analisi del testo tra educazione linguistica ed educazione letteraria” al convegno “Lingua e letteratura nella s cuola secondaria di II grado, nuovi bisogni educativi e ridefinizione del canone” ribadisce l'importanza dell'attenzione sulla centralità del testo letterario. Ci si deve chiedere,
“quali sono le specificità del messaggio letterario, quelle che lo rendono diverso da tutti gli altri messaggi e ne determinano la fondamentale importanza ('non importa quel che si dice, ma come lo si dice', ovvero, banalizzando e semplificando: la forma non è sovrastruttura, esteriorità estetizzante, ma struttura che determina il messaggio letterario e che contribuisce a creare un sovrasenso, un ulteriore signiicato oltre a quello del referente cui rimanda).” (Cit. Noto 2016)
Il testo letterario, secondo Noto, va “sbranato”,, ciò significa “rompere in brani” l'unità del messaggio testuale e rilevare i suoi elementi significativi e connotativi che lo distinguono dalle altre tipologie testuali.
“ Artifex aditus artifici”
Secondo Matteo Veronesi (Veronesi 2006: 9) nelle metodologie formaliste e strutturaliste il poeta appare come un operatore passivo, agito solo dalla forza del linguaggio, piuttosto che un esecutore guidato da una spinta creativa. Il critico appare invece come uno scienziato, un analista, freddo e severo, intento ad applicare ai testi rigidi protocolli. Così come nella critica crociana, si riapre il collegamento tra estetica e linguistica e
“In ambo i casi, la genesi della poesia è tendenzialmente ricondotta ad un oscuro primum, ad un'occulta scaturigine, ad un latente etimo generatore, di natura ideale o sentimentale nel caso del crocianesimo, puramente linguistica nel caso dello strutturalismo, ma comunque preclusi alla coscienza letteraria.” (Cit. Veronesi, Ivi)
Secondo Veronesi, la critica sociologica e marxista è incentrata agli scenari storici e alle loro risonanze testuali, ma non offre strumenti adeguati, così vale anche per la critica psicanalitica che rivendica per sé una sorta di dominio esclusivo della coscienza letteraria.
Nel suo volume “Il critico come artista dall'estetismo agli ermetici”, Veronesi indaga attorno alla critica dei poeti, degli artisti e degli esteti, per ribadire che questa fa parte dei movimenti creativi del Ottocento e Novecento, e quindi, essendo collegata alla storia letteraria italiana, dovrebbe trovare più interesse negli studi metodologici. Secondo Veronesi, proprio questo tipo di critica sarebbe in grado di cogliere la tensione della coscienza letteraria, attraverso un'esplorazione di una fitta rete di simboli e analogie del discorso poetico e infine attraverso un'indagine stilistica. A differenza del critico filologico, sociologico, strutturalista, il critico “artifex” è un critico soggettivo, compartecipe, appassionato. Questo apparentemente potrebbe compromettere il preconcetto e l'imparzialità del giudizio. Ma è proprio la presunzione di scientificità a tradursi in mancanza di oggettività. Il rapporto tra il critico e l'opera letteraria è talmente delicato che deve per forza ricondurre ad un equilibrio di adesione e distacco, di passione e metodo.
L'era del post-comunicativo
L'approccio ermeneutico nella didattica delle lingue straniere è sperimentato recentemente nella Provincia di Bolzano. Questo procedimento induce il lettore a riflettere e sviluppare un proprio pensiero. Il discente acquisisce le competenze linguistiche facilmente spendibili. Questo approccio si avvia a verso una nuova era glottodidattica, l'era del post-comunicativo. Al dialogo “preconfezionato”, artificioso e prevedibile, si preferisce un dialogo spontaneo, reale, anche al costo di essere a volte imperfetto (Magnani 2005).
***
Il pensiero dei formalisti è ben organizzato e questo facilita la comprensione. Il testo è facilmente riassumibile. Ma un testo letterario non si realizza solo per la forma, allo scrittore occorre anche altro che soli strumenti: come minimo si devono realizzare delle specifiche condizioni ambientali dell'autore e del lettore. Ad un futuro studente della letteratura o dell'arte italiana, oppure a chi nutre un particolare interesse per la poesia, andrà di certo proposta anche la critica dalle metodologie più soggettive, il cui linguaggio è così raffinato da rappresentare un vertice linguistico e culturale. La sola comprensione sarà già di per sé molto gratificante. Infine, saper anche interpretare queste grandi emozioni ripagherà tutte le difficoltà dell'apprendimento.
Aggiungeremo che l'argomento meriterebbe un'esplorazione tra le poetiche critiche contemporanee. Di certo non ci mancherebbero le risorse bibliografiche dei recenti brani critici, ma le analisi di questi non sono state inserite piuttosto per la mancanza degli strumenti adeguati; non sono ancora disponibili le valutazioni critiche di questi recenti procedimenti metodologici.
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- Ponzio Augusto, Fuori luogo, Lo spazio dell'università, le scienze del linguaggio, in Linguaggi, scienze, professionalità, a cura di Cardona Mario e Ponzio Augusto, PLAT quaderni, Lecce 2008
- Renzi Lorenzo, Come leggere la poesia, Società editrice il Mulino, Bologna 1985, edizione aumentata 1991
- Rossi Aldo, Protocolli sperimentai per la critica, Paragone Letteratura, aprile 1967, n. 206/26
- Stagi Scarpa M. (a cura di), Insegnare letteratura in lingua straniera, Carrocci Faber, Roma 2005
- Tassoni Luigi, Scritture di scritture, 2004, units.it/news/filos/convegnopetrarca/tass.pdf
- Tellini Gino, Letteratura italiana. La fabbrica del testo, Le Monnier, Milano 2011
- Vecchio Paola, Nuovo sillabo della certificazione PLIDA, Società Dante Alighieri, Roma 2015, www.plida.it, ultima visualizzazione 01.06.2016
- Veronesi Matteo, Il critico come artista dall'estetismo agli ermetici, Azeta Fastpress, Bologna 2006
- Zaccaria Giuseppe, Benussi Cristina, Per studiare la letteratura italiana, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano 2002
[...]
1 La funzione etica è sostenuta da tutte le correnti estetiche del secondo dopoguerra e comunque dalla stragrande maggioranza di tutti i giudizi estetici. Si suole nominare almeno Immanuel Kant e Friedrich Hegel. Quanto alla funzione dialogica, si pensi al Bachtin e la sua concezione della letteratura come “enunciazione” oppure alla Kristeva che usa invece il termine “l'intertestualità”.
2 Y. Reuter è professore di didattica del francese all'Università Charles de Gaulle -Lille 3, fondatore dell' èquipe di ricerca Theodile nella didattica del francese (nota in Cosimi, Ivi)
3 Riferimento al Quadro comune europeo
4 La causa dell'intervento è l'applicazione della metodologia CLIL alla Storia dell'arte. Lo stesso argomento è trattato da Pecci ne Il Saggio (Pecci 2015)
5 Vedasi nota Briosi (Briosi 1973:23)
6 Croce intenderà la critica stilistica
7 Secondo Briosi, questo sarebbe il punto centrale della analisi, vedasi nota Briosi (Briosi 1973:23)
8 Le metafore suppliscono alla definizione di qualità del testo, avendo rinunciato all'analisi stilistica, vedasi nota Briosi (Ibidem)
9 Si nota un ironia più o meno sottile di Rossi sia nell'accenno ai giudizi critici degli altri, sia nella parafrasi così 'secca', ed anche in “acme della sapienza poetica di d'Annunzio..” (scritto proprio i questa maniera), ma questo tratto non è per nulla tipico della metodologia formalistica.
10 Per approfondire vedasi anche Mario Luzi: L'inferno e il Limbo (Luzi in Noferi 1970: 271)
11 Avalle usa l'espressione “israelita”
12 Chiamata così da Carducci (in Conti, ivi)
13 Differentemente dal verso barbaro carducciano (ivi)
14 Riferimento a Wagner e il superamento delle barriere tra “Wort” e “Ton” (in Contini, ivi)
15 Saggio crociano su Pascoli (in Contini, ivi)
16 Il personaggio più rilevante della critica letteraria italiana del Ottocento
17 “Frate tu”...rivolto a se stesso
18 Alberto Casadei nel suo panorama della critica del Novecento inserisce la critica ermetica solo marginalemente tra “Altre correnti”(Casadei 2001: 82). Nè trova spazio nella rassegna dei metodi critici della (Corti, Segre, 1970)
19 Paginain accezione “stile”, una rarefazione, frequente nel linguaggio tipico per Bigongiari e per la critica ermetica
20 Significativo, nella nota di Briosi, la parola “pressapoco”, riferita alla intraducibilità dei concetti della corrente ermetica
21 Nelle poetiche simboliste
22 Pozzi Lolli riprende la definizione di Edehoff (Della Valle 2014: 110)
Domande frequenti
Di cosa tratta questo documento?
Questo documento è un'anteprima completa di un volume teorico sull'uso dei testi di critica letteraria nell'insegnamento della lingua e letteratura italiana a stranieri come LS (Lingua Straniera). Include l'indice, introduzione, riassunti dei capitoli, obiettivi, temi chiave, un glossario e una bibliografia.
Qual è l'obiettivo principale del volume?
<L'obiettivo è fornire strumenti ai docenti di italiano LS per impiegare i testi della critica letteraria in modo efficace. Si analizza il linguaggio della critica letteraria, le sue tipologie, e come queste possano potenziare le capacità linguistiche e critiche degli studenti stranieri.
A chi è rivolto principalmente questo volume?
È rivolto principalmente ai docenti di lingua italiana LS specializzati nella didattica delle lingue straniere, che desiderano integrare lezioni qualificate di letteratura italiana nel loro programma d'insegnamento.
Quali argomenti specifici vengono trattati nei capitoli?
I capitoli coprono vari argomenti, tra cui:
- L'importanza della letteratura nell'insegnamento delle lingue straniere.
- Il linguaggio della critica letteraria e le sue peculiarità.
- L'analisi di diverse tipologie di critica letteraria italiana novecentesca (crociana, formalistica, strutturalistica, stilistica, sociologica/marxista, simbolica/semantica, psicanalitica, semiologica, ermetica).
- Un glossario per il lessico letterario.
- Le strutture del linguaggio e l'analisi strutturale.
- Curricolo, modulo, unità didattica e come integrare la critica letteraria nel contesto di un'unità d'apprendimento.
Quali tipi di critica letteraria vengono analizzati in dettaglio?
Vengono analizzate le seguenti tipologie di critica letteraria:
- Critica crociana (e post crociana).
- Critica formalistica.
- Critica strutturalistica.
- Critica stilistica.
- Critica sociologica e marxista.
- Critica simbolica (o semantica).
- Critica psicanalitica.
- Storia della lingua italiana come forma di critica.
- Critica semiologica.
- Critica ermetica.
- I nuovi sviluppi della critica.
Come vengono presentati i moduli delle singole metodologie critiche?
Ogni modulo viene proposto seguendo uno schema standard: caratteristiche principali della tipologia critica, riassunto delle nozioni più rilevanti sugli sviluppi italiani, brani tipici delle metodologie, implicazioni didattiche, e individuazione del materiale di supporto (lessico, ecc.).
Che tipo di lessico viene suggerito per l'insegnamento?
Viene suggerito di esercitare il lessico specifico di ogni tipologia critica, come la terminologia degli scarti linguistici (figure retoriche per la critica formalistica), termini mitologici/psicanalitici (per la critica simbolica), periodi storici/movimenti culturali (per la critica sociologica), e termini della psicanalisi. Viene inoltre proposto un glossario di termini letterari comuni.
Come viene affrontata la questione della parafrasi nell'ambito della glottodidattica?
Si sottolinea l'importanza della parafrasi come strumento per la comprensione, ma si avverte che anche la migliore parafrasi non può replicare l'esperienza del testo originale, specialmente nel caso della poesia.
Quali sono le fasi di un'unità d'apprendimento proposte nel volume?
Le fasi proposte sono:
- Motivazione e globalità (lettura del testo letterario).
- Lettura intensiva (analisi linguistica e letteraria, presentazione della critica letteraria).
- Sintesi e riflessione (interpretazione dell'opera con un linguaggio adeguato, espressione di un giudizio personale).
Qual è la posizione del volume rispetto alla critica contemporanea e al decostruzionismo?
Il volume riconosce l'importanza della centralità del lettore nella critica contemporanea, ma segnala che in Italia il decostruzionismo ha avuto un'attenzione principalmente teorica e ha sollevato obiezioni da parte di critici di diverse formazioni.
Che tipo di bibliografia è inclusa nel volume?
La bibliografia è composta principalmente da volumi dedicati alla glottodidattica e alle metodologie della critica letteraria italiana, oltre alle esperienze personali di non madre lingua italiana.
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- Ivana Raguso (Author), 2016, I testi di critica letteraria nell'insegnamento dell'italiano come LS, Munich, GRIN Verlag, https://www.grin.com/document/1146587